Debito pubblico al nuovo record storico: FdI (che a luglio rivendicava il calo) ora non ne parla
- Postato il 14 agosto 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un mese fa Fratelli d’Italia aveva trasformato in manifesto politico un mini calo di 10 miliardi del debito pubblico registrato a maggio, rivendicandolo come merito dell’esecutivo e prova dell’inaffidabilità delle “narrazioni catastrofiste della sinistra”. Narrazioni esemplificate, per il partito della premier, dal titolo di un blog del Fatto, “Il debito pubblico con Meloni sarà il più alto di sempre“. Oggi Bankitalia ha pubblicato il nuovo aggiornamento dei dati, ma sui profili social di FdI non ce n’è traccia.
Stavolta nessuna card con Giorgia Meloni sorridente: i social media manager optano per la tolleranza zero contro le occupazioni abusive e le polemiche sui campi rom. Del debito non si parla perché a giugno è tornato a correre, segnando +18 miliardi e toccando quota 3.070,7 miliardi, nuovo record storico. Un anno prima era a 2.954 miliardi. L’aumento mensile è stato determinato solo dall’indebitamento delle amministrazioni centrali, salito di 19,7 miliardi mentre quello degli enti locali è sceso di 1,7.
A metà luglio il calo di maggio, come detto, era stato celebrato da FdI su Instragram con la frase: “Grazie al Governo Meloni, i conti migliorano e l’Italia cresce”. In grafica, come esempio di “fake news” delle opposizioni, campeggiava il post di Mario Pomini, docente di Economia all’università di Padova e blogger del Fatto, che commentando il Piano strutturale di bilancio di medio termine scritto dal governo notava tra il resto come in termini assoluti il debito sarebbe salito al livello più alto di sempre.
Quasi una non notizia: come mostra plasticamente il grafico sotto, in valori assoluti e trascurando le ininfluenti fluttuazioni mensili il debito tocca nuovi record con ogni esecutivo. Semplicemente perché lo Stato per pagare pensioni, stipendi pubblici, sanità, infrastrutture e altre misure spende sempre più di quanto incassa – è il cosiddetto disavanzo – e per colmare quel divario emette nuovi titoli come i Btp (ovvero nuovo debito), oltre a rifinanziare quelli in scadenza.
Per questo il debito pubblico in termini assoluti non dice nulla sulla bontà delle scelte di politica economica. Per valutare la sostenibilità dei conti, il dato che conta davvero è il rapporto debito/Pil, cioè il peso dell’indebitamento rispetto alla ricchezza prodotta: un indicatore che tiene conto della crescita economica e della capacità di onorare il debito e che può migliorare anche con un debito nominale più alto, se il Pil aumenta più velocemente. Secondo Eurostat, nel primo trimestre 2025 il debito/pil italiano era al 137,9%, secondo in Ue dopo quello della Grecia (152,5%). Il Piano Strutturale di Bilancio prevede che, dopo un aumento legato all’impatto dei bonus edilizi, inizierà a scendere solo nel 2027.
A giudicare dall’andamento dello spread, cioè il differenziale di rendimento tra i titoli di un Paese e quelli della Germania utilizzati come benchmark, i mercati stanno comunque giudicando positivamente la gestione dei conti pubblici italiani, almeno rispetto a quella di altri grandi Paesi come la Francia. Lo spread tra Btp e Bund è sceso negli ultimi giorni sotto gli 80 punti, ai minimi da oltre un decennio, e si sta avvicinando a quello tra i Bund e gli Oat di Parigi, che ha un debito/pil del 114,1% ma un deficit elevato e un governo debole che teme disordini sociali come reazione alla manovra lacrime e sangue annunciata a luglio da François Bayrou.
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