De Gregori e Rimmel cinquant’anni dopo: una lezione di arte e di lingua da portare anche in classe

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Francesco De Gregori sta per tornare in tour con Rimmel, a cinquant’anni dalla sua uscita. Porterà in giro per l’Italia un pezzo essenziale della nostra musica d’autore, suonando l’intero disco — cosa sempre più rara — con una fedeltà che non è nostalgia, ma rispetto per la forma originale, dopo tante deviazioni artistiche. Ogni tour di De Gregori è stato una sperimentazione: riletture, inversioni, nuovi arrangiamenti, improvvisazioni che lo avvicinano al suo maestro dichiarato, Bob Dylan. Come Dylan, De Gregori sa che la canzone è una materia mobile, che vive solo se riscritta nel tempo, a costo di non far canticchiare il pubblico pagante, come è spesso accaduto nei suoi concerti e come invece non succederà stavolta. Sarà uno spettacolo che somiglia più a un gesto d’arte che a un concerto: un’opera che torna viva nel tempo, capace ancora di insegnare. In questa scelta, che stavolta piacerà a chi vorrà commuoversi, c’è la coerenza artistica di un autore che, in mezzo secolo di carriera, non ha mai smesso di cercare, ma c’è anche l’ultimo De Gregori, più disponibile con il pubblico e più smussato nei modi con chi lo tratta, lo descrive e magari lo attende fuori dai teatri come fosse il nuovo Omero, alla ricerca di un commercialissimo selfie anziché due chiacchiere, come si converrebbe.

De Gregori nel solco di Dylan per produzione, stile e ispirazione, quindi, e proprio Dylan, con il suo Pulitzer (2008) e il suo Nobel (2016), ha aperto un varco e portato a riconoscere che i cantautori abitano a pieno titolo la repubblica delle lettere: scrivono in metrica, curano l’estetica e il suono, scelgono ogni parola – per dirla con Ezra Pound – caricandola al massimo grado di significato: sono scienziati del suono e ricercatori di senso. Ogni canzone, scritta con intenzionalità d’arte, è un laboratorio linguistico e poetico.

Ecco perché si dovrebbe fare un passo in più: se De Gregori porta Rimmel nei teatri, noi dovremmo portare De Gregori a scuola. Non come parentesi musicale, o approfondimento da sbrigare in un ritaglio di tempo, ma come autore capace di raccontare l’Italia e i suoi sentimenti con lo stesso rigore di uno scrittore. Nelle sue canzoni ci sono figure retoriche e la storia italiana di fine secolo, ci sono costruzioni sintattiche elaborate e rimandi alle questioni più scottanti degli anni Ottanta, Novanta e dei primi anni Duemila: ci sono temi, registri e simboli che appartengono pienamente alla letteratura.

Probabilmente, se De Gregori leggesse queste righe, si ribellerebbe. Si schermirebbe, ironizzerebbe, rivendicherebbe altri territori per la sua scrittura e per la sua produzione. Ha delle ragioni, perché un cantautore ha doppia cittadinanza, quella musicale e quella letteraria, ma è proprio questa ritrosia a confermarne la grandezza: gli autori davvero letterari non aspirano mai a esserlo, e proprio per questo lo diventano.

Portare De Gregori – e i suoi fratelli cantautori – a scuola significa riconoscere che la letteratura non finisce nei manuali, non è fatta solo di libri antichi, non è una disciplina datata per definizione, ma continua a vivere nelle parole misurate che scegliamo per raccontarci. E che certi versi — come certi brani — resistono al tempo perché nascono già in dialogo con esso, lo analizzano, lo sintetizzano e lo rappresentano.

Cinquant’anni dopo, Rimmel continua a parlarci di amore e disincanto, con una lingua e vera. Chi vorrà ascoltarlo dal vivo, sul palco troverà una band che è ormai una famiglia: il capobanda Guido Guglielminetti al basso e alla direzione musicale, Paolo Giovenchi e Alessandro Valle alle chitarre, Carlo Gaudiello alle tastiere, Primiano Di Biase all’organo, Simone Talone alle percussioni e Francesca La Colla ai cori. Musicisti che ricamanouna forma d’arte collettiva in cui la parola incontra il suono e la canzone torna a essere, come per Demodoco – cantautore ante litteram omerico -poesia in musica.

Autore
Panorama

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