Dazi Usa-Ue, cosa cambia per l’Italia dopo l’accordo Trump-Von der Leyen
- Postato il 28 luglio 2025
- Di Panorama
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L’aria trionfale con cui la Presidente della Commissione europea ha salutato il raggiungimento dell’accordo commerciale con gli Stati Uniti ha lasciato molti commentatori spiazzati in Europa. E non si fatica a immaginare il perché. I dazi generali del 15% sui prodotti europei, seppur ridotti dal 30% minacciato da Trump, sono comunque un brutto colpo per l’Europa, ancor di più per quelle economie, come l’Italia, che fanno dell’export di beni uno dei punti di forza delle loro economie.
Prima dell’inizio della “guerra dei dazi” lo scorso aprile, i prodotti europei (e quindi anche quelli italiani) esportati negli Stati Uniti erano soggetti a dazi del 4,8%, successivamente questa cifra è stata portata al 10%, infine, una volta che l’accordo siglato ieri entrerà in vigore, per la maggior parte dei beni i dazi verranno alzati ulteriormente al 15%.
Cosa significa per l’export italiano
Il rischio concreto è che i naturali aumenti di prezzo dei beni finali potrebbero far risultare troppo costosi i prodotti italiani nel mercato americano. L’alternativa per le imprese sarebbe di farsi carico, almeno in parte, dei maggiori costi, riducendo così o margini di profitto per le imprese. Questa strategia risulta però di difficile applicazione, perché dal 2 aprile a oggi l’euro si è apprezzato di circa il 10% rispetto al dollaro, andando quindi ad aumentare ulteriormente i costi per le imprese esportatrici.
Per l’Italia, l’introduzione del dazio comporterà un impatto negativo pari a circa mezzo punto di Pil, ossia intorno ai 10 miliardi di euro. Secondo le stime del Centro Studi di Confindustria, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti subiranno una contrazione di 22,6 miliardi, con una perdita di oltre un terzo del loro valore sul mercato americano. Una parte di questo calo, circa 10 miliardi, potrà però essere compensata da un aumento delle vendite verso altri mercati.
Le esportazioni italiane negli Usa valgono circa 65 miliardi ogni anno. Fra i settori più colpiti ci sarà sicuramente quello agroalimentare, con l’introduzione di tariffe al 15%, alcuni prodotti, come il vino, rischiano di essere penalizzati. Altri, come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, subivano già un dazio speciale del 15%, occorrerà quindi capire se la cifra rimarrà invariata o se i dazi annunciati ieri verranno sommati. Alcuni prodotti agroalimentari, invece, potrebbero beneficiare dell’esenzione totale dai dazi, ma l’elenco preciso deve ancora essere definito.
Anche il settore farmaceutico sarà colpito in parte colpito dai dazi del 15%. L’anno scorso l’Italia ha esportato prodotti farmaceutici per un valore di 10 miliardi, parziale ristoro potrebbe esserci per i farmaci non coperti da brevetto, che dovrebbero invece essere esentati da dazi. Niente da fare per il settore siderurgico, le cui esportazioni saranno soggette a tariffe del 50%; va detto però che l’export italiano in questo settore si è notevolmente ridotto negli ultimi anni, indi per cui il danno sarà limitato.
Buone notizie invece per l’industria automobilistica, che subirà anch’essa dazi del 15% invece del 25% minacciato da Trump. L’industria automobilistica italiana esporta ogni anno negli Stati Uniti circa 75 mila vetture, per un valore complessivo di 4 miliardi di euro. A questi si aggiungono circa 1,2 miliardi di euro derivanti dalle esportazioni di componentistica.
I motivi dell’“accordo ineguale” sui dazi
Se è vero che l’accordo raggiunto (che dovrà essere approvato da tutti i 27 Stati dell’Ue) previene il rischio di una guerra commerciale fra le due sponde dell’Atlantico, è altresì vero che esso è chiaramente sbilanciato in favore di Washington. L’Ue accetta infatti di eliminare ogni dazio sui prodotti americani e si impegna anche ad acquistare energia dagli Usa per un valore di 750 miliardi nei prossimi 3 anni. Senza dimenticare i promessi investimenti europei negli Stati Uniti per 600 miliardi.
Sorge spontanea la domanda, perché l’Ue ha accettato un trattato così sfavorevole? Von der Leyen si è trovata di fronte a un bivio: accettare una sconfitta certa, ma (forse) in parte controllabile, oppure affrontare il rischio di uno scontro dagli esiti imprevedibili e potenzialmente gravidi di conseguenze per l’Europa. Ha scelto, in sostanza, di negoziare un “accordo ineguale” con Trump, preferendo evitare un confronto diretto dalle conseguenze troppo incerte.
Andare al “muro contro muro” avrebbe sicuramente generato una tempesta finanziaria in Europa e portato verosimilmente i dazi reciproci a cifre altissime, come successo qualche mese fa con la Cina. Questo avrebbe significato mettere in crisi sia il settore finanziario europeo che quello industriale, crisi che avrebbe potuto portare ad una vera e propria crisi. Non bisogna dimenticare che l’Ue rimane in fondo una potenza manifatturiera, Trump ha quindi fatto leva sul potere del mercato americano. Forse, una risposta più dura nei mesi scorsi avrebbe permesso di limitare i danni ieri.
C’è però anche una motivazione ideologica. Nel motivare gli ingentissimi (e costosissimi) acquisti di energia americana, von der Leyen ha motivato il tutto con la necessità di azzerare le importazioni di energia russa, molto più economica di quella americana. La Ragion di Stato è stata quindi sacrificata dai tecnocrati di Bruxelles sull’altare del “supporto all’Ucraina”, per il quale l’Europa si è anche impegnata ad aumentare gli acquisti di armamenti americani, di cui almeno una parte verrà certamente girata all’Ucraina, tanti saluti al piano di riarmo europeo.
L’accordo di ieri ha dimostrato ancora una volta che l’Ue non è, e non sarà mai, un attore geopolitico indipendente.