Dazi Usa, nel mirino 65 miliardi di export italiano. I settori più esposti? Dalla farmaceutica a macchinari e bevande
- Postato il 13 luglio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Può essere solo l’ennesimo colpo di teatro di Donald Trump, una mossa “da bullo” per cercare di ottenere da Bruxelles ulteriori concessioni. Oppure il primo passo concreto verso un’escalation tariffaria che – al netto delle reazioni dei mercati – gonfierebbe il gettito statunitense aiutando a tamponare il maxi disavanzo generato dal Big beautiful bill. In attesa di scoprirlo la minaccia di dazi generalizzati del 30% sulle importazioni dalla Ue a partire dal 1° agosto, in aggiunta a quelli su auto, acciaio e alluminio, spaventa i produttori italiani che hanno stretti legami con il mercato statunitense. Già a marzo, prima del Liberation day che ha segnato l’avvio della guerra commerciale del tycoon, l’Istat aveva segnalato che la Penisola rischia più degli altri grandi Paesi europei. Perché nel 2024 quasi il 48% dell’export italiano ha avuto come destinazione Paesi extraeuropei, contro il 45% di Germania e Francia e il 37% della Spagna, e proprio gli Usa sono il nostro primo mercato di sbocco fuori dall’Unione con quasi 65 miliardi di merci esportate oltreoceano e un avanzo commerciale di oltre 38 miliardi. Non solo: diversi comparti del made in Italy dipendono in misura strutturale dalla domanda Usa.
Non solo cibo e moda – Da notare che non si tratta solo o in prevalenza, come vuole la vulgata, di cibo e moda. Il settore trainante è quello dei macchinari industriali, con 12,8 miliardi di export, seguito dalla farmaceutica e chimica (10 miliardi), dai mezzi di trasporto (7,9 miliardi prima dei dazi al 25%), dagli alimentari e bevande (7,8 miliardi) e in coda abbigliamento e accessori (5,5 miliardi). Nel complesso gli Stati Uniti valgono il 21% dell’export italiano extra-Ue, contro il 19,7% della media europea, ma anche qui la media maschera un peso ben più importante per alcune tipologie di prodotti. Stando a un’analisi del centro studi di Confindustria, in termini relativi gli Usa assorbono il 39% dell’export italiano extra-Ue di bevande, il 30,7% di quello di farmaci e autoveicoli e il 23% dell’agroalimentare. Ovviamente, più alta è la quota maggiore è il rischio economico legato a politiche commerciali che renderebbero il made in Italy proibitivo a livello di costi per consumatori e imprese statunitensi.
Chimica e farmaceutica i più a rischio – Applicando tre criteri di vulnerabilità – esposizione al mercato americano, surplus commerciale “eccessivo” e strategicità per Washington – gli analisti di viale dell’Astronomia arrivano alla conclusione che i settori più a rischio sono la chimica e la farmaceutica, seguiti da mezzi di trasporto, macchinari e agroalimentare. Quanto alla geografia industriale, i territori potenzialmente più colpiti in valore assoluto sono Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto, ma il peso relativo maggiore dell’export verso gli Usa si registra – sempre basandosi su dati relativi al 2024 – in Liguria (per la cantieristica navale) e in Molise (automotive e chimica).
Le stime sui danni – Associazioni e federazioni delle imprese azzardano stime sulle possibili conseguenze per il tessuto produttivo italiano. La Cgia è arrivata a paventare una riduzione dell’export di 35 miliardi. Farmindustria stima danni per oltre 4 miliardi per il settore farmaceutico considerando anche la svalutazione attuale del dollaro. Il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, avverte che il 30% di dazio “sarebbe quasi un embargo per l’80% del vino italiano”: costerebbe troppo e l’export si azzererebbe. Sempre che i produttori non si accollino gran parte del costo aggiuntivo. Il Consorzio Grana Padano nota che il formaggio stagionato dop è già colpito da un dazio del 15% e con un ulteriore 30% arriverebbe a superare i 50 dollari al kg. La richiesta è che l’Europa si muova unita e reagisca con le armi della diplomazia. E, ovviamente, che in caso di mala parata il governo italiano valuti “misure compensative“.
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