Dazi Usa, l’Ue vuole “reagire duramente”. Dalla rappresaglia fino alla esclusione delle aziende: Bruxelles ha gli strumenti, non l’unità per adottarli
- Postato il 28 febbraio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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I contorni della guerra commerciale all’Ue preannunciata da Donald Trump mercoledì sono ancora fumosi. Il presidente Usa ha minacciato molte volte di imporre dazi reciproci sulle merci importate da oltreoceano. Con le parole pronunciate durante la prima riunione di gabinetto si è limitato ad annunciarne il valore, 25%, ma senza dettagli sui prodotti colpiti (“auto e altre cose”, ha detto). Bruxelles, oltre a guardare esplicitamente verso altri mercati, ha comunque risposto a stretto giro promettendo ritorsioni “contro barriere ingiustificate al commercio libero ed equo”. Ma quali sono gli strumenti a disposizione dei Ventisette? Ecco le opzioni in campo, dal negoziato al “bazooka” messo a punto due anni fa per rispondere alle mosse della Cina. Con un’avvertenza: qualsiasi strategia comunitaria dovrà reggere alla prova da sforzo rappresentata dai negoziati bilaterali che il tycoon predilige. Tradotto: i leader a lui più vicini potrebbero strappare esenzioni o trattamenti di favore e sfilarsi da azioni comuni. Così l’amministrazione Usa troncherebbe sul nascere l’ambizione di ricorrere a quella che sulla carta è la cornice legale più robusta a disposizione dell’Unione: il nuovo meccanismo anti coercizione.
La strada delle concessioni – I dazi per Trump “sono merce di scambio“, ha ricordato Matteo Salvini a chi non se ne fosse accorto. In quest’ottica la prima strada da esplorare sarebbe quella delle concessioni ai desiderata del tycoon. Per esempio più acquisti di costoso gas naturale liquefatto statunitense: possibilità non sgradita alla Commissione stando all’Affordable energy action plan presentato mercoledì, in cui si cita come modello virtuoso quello del Giappone che da tempo acquista quote in infrastrutture per l’export di gnl all’estero in cambio di accesso al gas a prezzi preferenziali. E il tanto sollecitato aumento della spesa militare attraverso l’acquisto di armamenti made in Usa. Infine, la Ue potrebbe mettere sul piatto la riduzione delle tariffe che a sua volta già applica su alcuni prodotti Usa, a partire da quella del 10% sulle auto importate che è di quattro volte superiore a quella reciproca di Washington.
Dazi mirati su singoli prodotti – Come è noto, già durante il primo mandato di Trump l’Unione europea ha conosciuto un primo assaggio di guerra dei dazi. In quel caso gli Usa hanno però colpito solo singoli comparti, in particolare le importazioni di alluminio (con dazi del 10%) e acciaio (25%). La risposta del Vecchio continente è stata quella “di scuola”, in linea con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio: tre mesi dopo la Commissione ha varato contromisure altrettanto mirate, ovvero tariffe di riequilibrio da 2,8 miliardi su una serie di prodotti icona americani, dalle Harley-Davidson al whiskey passando per jeans e burro d’arachidi. Nel 2021, durante l’amministrazione di Joe Biden, i dazi sono stati rimossi ma dal 12 marzo torneranno in vigore: Trump due settimane ha revocato le eccezioni ed esenzioni nazionali in vigore.
Il meccanismo anti coercizione – Questa volta l’inquilino della Casa Bianca potrebbe optare per tariffe generalizzate su tutte le merci in arrivo dall’Europa, per intaccare un surplus commerciale nei confronti degli Usa che ha definito “un’atrocità” (ignorando il particolare che sui servizi è Washington a risultare in avanzo) e rastrellare gettito fino a poter abolire l’imposta sul reddito (anche se secondo gli economisti i conti non tornano e i dazi si ritorceranno sui consumatori americani attraverso un aumento dell’inflazione). Uno scenario del genere potrebbe indurre Bruxelles a servirsi per la prima volta di un nuovo strumento varato dopo lunghi negoziati nel 2023 come arma di difesa nei confronti della Cina, il “meccanismo anti coercizione”. All’epoca l’allora commissario al commercio Valdis Dombrovskis l’aveva definito “vitale per fare da deterrente contro l’intimidazione economica e difendere gli interessi Ue in un mondo sempre più volatile”. Si tratta di una “cassetta degli attrezzi” a cui si può far ricorso quando la Commissione ritiene che un Paese terzo stia utilizzando il commercio per far pressione sull’Unione (o anche su un solo Paese) e interferire con le sue scelte sovrane. Comprende dazi, restrizioni nella partecipazione agli appalti pubblici ma anche l’eventuale ritiro di licenze di importazione e lo stop all’accesso ai mercati assicurativi e finanziari e allo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale.
Il nodo della maggioranza qualificata – All’inizio di febbraio il Financial Times ha scritto che l’Ue era intenzionata a esplorare proprio quest’ultima opzione: prendere di mira i servizi di Big tech come lo streaming o addirittura consentire l’uso gratuito dei loro software. Un'”arma fine di mondo” che darebbe con certezza inizio a un’escalation, visto che Trump già accusa il Vecchio continente di danneggiare le multinazionali Usa con le web tax, la tassa minima del 15% negoziata in sede Ocse e regolamentazioni come il Digital Markets Act e il Digital Services Act. Ma l’attivazione del meccanismo, a differenza delle tariffe di riequilibrio, richiede un voto a maggioranza qualificata in Consiglio: devono esprimersi a favore 15 Paesi su 27 in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione del blocco. Difficile arrivarci se le maggiori capitali non saranno allineate: Germania, Italia, Spagna e Polonia, per dire, contano da sole circa il 50% dei cittadini dell’Unione. Lo stato delle relazioni intercontinentali, mandate in frantumi dalla fuga in avanti di Usa e Russia sulla guerra in Ucraina e dalla debolezza economica dell’area, fa dubitare che sia un esito probabile.
L’incrocio con il verdetto su Alphabet, Apple e Meta – Tassello finale: la decisione sul ricorso al Meccanismo in Consiglio potrebbe incrociarsi con la chiusura dell’indagine avviata a marzo 2024 dalla Commissione per verificare se Alphabet, Apple e Meta rispettano il Digital markets act, in base al quale le grandi piattaforme digitali (“gatekeepers”) sono tenute a garantire l’apertura dei servizi. Devono per esempio consentire agli sviluppatori di app di chiudere contratti con i consumatori al di fuori della piattaforma stessa e non possono imporre agli utenti lo sfruttamento dei loro dati personali. Il verdetto finale è atteso entro il 25 marzo e potrebbe tradursi in multe fino al 10% del fatturato annuo dei tre gruppi. Un esito che scatenerebbe le ire dei numeri uno dei giganti tecnologici Usa, tutti in prima fila alla cerimonia di inaugurazione di Trump in Campidoglio. E potrebbe innescare ulteriori ritorsioni della Casa Bianca.
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