Dazi Usa, come funziona il “meccanismo anti coercizione” evocato da Macron per rispondere a Trump

  • Postato il 14 luglio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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È l’elefante nella stanza. “È stato creato per situazioni straordinarie. Non siamo ancora arrivati a quel punto”, si è affrettata a specificare Ursula von der Leyen durante un punto stampa a Bruxelles. “Preferiamo una soluzione negoziata”. Ma la sera prima il presidente francese Emmanuel Macron, che da tempo spinge per una reazione muscolare alle minacce di Donald Trump, aveva esplicitamente chiesto di mettere in campo “tutti gli strumenti a disposizione, compreso il meccanismo anti coercizione, qualora non si raggiunga un accordo entro il 1° agosto”. L’aggressiva lettera recapitata sabato alla numero uno della Commissione Ue, con l’annuncio di tariffe generalizzate del 30% su tutte le merci europee esportate oltreoceano, riporta in auge l’ipotesi di utilizzare uno strumento non a caso ribattezzato “bazooka” nei corridoi di Bruxelles.

Bruxelles come è noto ha preparato già la scorsa primavera, in risposta ai primi dazi su acciaio e alluminio, un primo pacchetto di misure di riequilibrio (contro-dazi su prodotti statunitensi come i jeans Levi’s e le Harley) che sarebbe dovuto entrare in vigore alla mezzanotte di lunedì ma verrà ulteriormente congelato, ha spiegato von der Leyen, per continuare a trattare. Un secondo elenco di contromisure su beni per un valore di 72 miliardi di euro, reazione ai dazi universali del 10% in vigore dal 9 aprile, è pronto ad essere attivato una volta ottenuto il via libera finale dei Ventisette. Ma sul tavolo c’è, appunto, anche un’opzione mai sperimentata: l’Anti-Coercion Instrument, approvato dalle istituzioni europee nel 2023 come arma di deterrenza nei confronti della Cina che aveva “punito” con restrizioni commerciali la Lituania colpevole di aver rafforzato i legami con Taiwan.

Una volta attivato, quello strumento pensato per “scoraggiare l’intimidazione economica” consentirebbe di adottare un’ampia gamma di misure che va ben oltre i contro-dazi. Si parla per esempio di limitare l’accesso dei gruppi Usa ai mercati finanziari europei, escluderli da appalti pubblici, revocare loro licenze di importazione e persino introdurre restrizioni sui diritti di proprietà intellettuale. Bruxelles potrebbe tra il resto arrivare a vietare ai gruppi statunitensi di monetizzare in Europa servizi digitali come le piattaforme di streaming o l’utilizzo di software. Divieti e limiti possono colpire un intero Paese ma anche singoli individui o aziende.

Parigi sostiene da tempo la necessità di tirare il bazooka fuori dai cassetti per rispondere a tono all’offensiva di Trump. Altre capitali sono molto più caute, a partire da Roma. Ma anche la Germania, che ha negli Usa il primo mercato di esportazione, predica la de-escalation e la necessità di un accordo equo. Lo strumento anti coercizione è considerato un’opzione estrema. Innanzitutto perché, al netto delle reazioni di Washington, il timore è che a pagare siano i consumatori e le imprese Ue. Attraverso una riduzione dei servizi, considerato che quasi tutti i gruppi che li offrono sono statunitensi, o un aumento dei costi. Poi perché per attivarlo su proposta della Commissione, che deve attestare l’esistenza di un tentativo di “coercizione economica”, serve un voto a maggioranza qualificata in Consiglio: devono esprimersi a favore 15 Paesi su 27, che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Se le principali capitali – Germania, Italia, Spagna – non convergessero, il meccanismo resterebbe lettera morta. Una volta superato quello scoglio, però, l’esecutivo Ue avrebbe ampia discrezionalità, perché le contromisure che decidesse di proporre scatterebbero automaticamente a meno che gli Stati membri non votassero a maggioranza qualificata per bloccarle.

In parallelo resta ovviamente aperta l’ipotesi di colpire in altro modo la “corporate America”. Per esempio con una digital service tax comunitaria, simile a quelle adottate da singoli Paesi tra cui Francia e Italia. La Commissione ha espunto l’idea dall’ultima bozza di proposte in tema di nuove risorse proprie con cui alimentare il prossimo bilancio comunitario. Dopo la lettera di Trump, e se nelle prossime settimane i negoziati non faranno passi avanti, potrebbe valutare un ripensamento. Molti economisti, come il premio Nobel Joseph Stiglitz, sono convinti che – al di là della disfida commerciale di cui si discute in questi giorni – una digital tax sia un ottimo modo per consentire ai Paesi di recuperare entrate da grandi multinazionali che oggi riescono ad evitare la tassazione spostando profitti nelle giurisdizioni più compiacenti. Tanto più che quelle statunitensi su pressione della Casa Bianca hanno ottenuto da parte del G7 la promessa di un’esenzione dal pagamento della global minimum tax del 15% concordata nel 2021 e in vigore nell’Unione europea dal 2024.

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Il Fatto Quotidiano

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