Dazi, le pressioni delle multinazionali europee indeboliscono la posizione negoziale dell’Ue
- Postato il 3 luglio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Sui dazi con gli Usa “noi puntiamo” all’intesa “per il 9 luglio. È un compito molto esteso e complesso. Stiamo puntando su un accordo di principio, è quello che anche la Gran Bretagna ha fatto”, dice la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Poi ribadisce: “vogliamo una soluzione negoziale ma allo stesso tempo ci stiamo preparando nel caso non ci sia un’intesa. Vogliamo tutelare gli interessi europei e per questo ogni opzione è sul tavolo“. Da mesi Bruxelles minaccia ritorsioni contro la muscolare politica commerciale della Casa Bianca. Tuttavia. l’Ue sembra più orientata a limitare i danni che a infilarsi in una guerra commerciale in cui ha molto da perdere, considerando il grande avanzo che vanta nei confronti degli Usa e le leve negoziali di cui dispone Washington, non solo di natura economica.
“Il costo sicuro è quello dell’incertezza, un costo sicuro e immediato. Non sapremo il negoziato dove andrà a parare, ma se dura troppo tempo questo produce dei danni. Per questo avevo caldeggiato un compromesso onorevole che mettesse da subito fine all’incertezza che permane e forse permarrà anche la prossima settimana”, commenta il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che osserva pure come la perdita di valore del dollaro sui mercati valutari è una forma di “dazio implicito”.
Al solito, la compagine europea è tutt’altro che compatta. Stati diversi, del resto, hanno interessi economici differenti. La priorità della Germania è la salvaguardia delle sue industrie automobilistiche e della chimica, la Francia ha un’ attenzione più spiccata sull’agroalimentare, e via dicendo. Come se non bastasse il complicato gioco di equilibrio tra le capitali europee, sono le tesse grandi aziende a muoversi in autonomia per portare acqua al loro mulino.
L’agenzia Bloomberg dà conto di una frenetica attività da parte di multinazionali come Mercedes o Lvmh, fatta di incontri segreti tra dirigenti e funzionari statunitensi, all’ombra delle trattative ufficiali. Secondo fonti interpellate dall’agenzia, i colossi europei stanno facendo pressione su Bruxelles per raggiungere un accordo rapido e per l’eliminazione di misure di ritorsione contro prodotti americani iconici, come il bourbon. le lobby industriali sono terrorizzate dall’ipotesi di arrivare al 9 luglio senza neppure un’intesa di massima, circostanza che farebbe scattare tariffe del 50% sulle importazioni statunitensi di quasi tutti i prodotti europei. La Ue ha più volte ripetuto che, in mancanza di un accordo soddisfacente, scatterebbero subito misure ritorsive su beni Usa per 95 miliardi di euro ma, se la Commissione dovesse recepire le istanze delle aziende europee, e di alcuni governi, la lista si ridurrebbe per un controvalore di circa 70 miliardi.
“Si pensa che punire gli esportatori americani aiuterebbe l’industria europea. Semplicemente non è vero”, ha detto a Bloomberg Oliver Bisazza, amministratore delegato del gruppo lobbystico MedTech Europe, che rappresenta aziende come Philips, Bayer e Siemens. “Se l’UE reagisse, il settore verrebbe colpito due volte e i costi di produzione dei dispositivi medici aumenterebbero”, osserva. Allo stesso modo, una serie di case farmaceutiche europee, tra cui la francese Sanofi , si sono impegnate a spendere miliardi per sviluppare e produrre farmaci negli Stati Uniti.
Dall’Italia, il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, afferma che “Il nostro obiettivo arrivare allo 0 a 0 oppure a un’esclusione della farmaceutica dai dazi, proprio per il valore che rappresentano farmaci e vaccini in termini di possibilità di cura”. Se si dovesse alla fine chiudere al 10% “sarebbe una sconfitta dall’impatto di circa 2,5 miliardi di euro”.
Funzionari Ue testimoniano che gli interventi a gamba tesa sui negoziati in corso tra Washington e Bruxelles sono arrivati soprattutto dalle case automobilistiche tedesche ossia Mercedes, Bmw e Volkswagen che hanno avanzato le proprie proposte durante i colloqui con i funzionari statunitensi. I manager dei tre gruppi si sono recati a Washington per incontri a porte chiuse con gli alleati di Trump, tra cui il Segretario al Commercio Howard Lutnick.
Per ingraziarsi l’amministrazione Usa, Bmw ha annunciato nuovi investimenti negli Stati Uniti, Mercedes ha trasferito la produzione del SUV GLC – uno dei modelli più venduti del marchio – in Alabama, e la svedese Volvo si è impegnata a espandere la produzione negli Stati Uniti. I funzionari europei temono che le aziende possano convincere pure i loro fornitori a trasferire anche parte degli investimenti e della produzione oltreoceano.
Anche le associazioni industriali che rappresentano i produttori di cognac francese e whisky irlandese hanno intensificato le attività di lobbying, avvertendo che i dazi di ritorsione colpirebbero un settore in cui Stati Uniti e Cina rappresentano oltre l’80% delle loro esportazioni. Il presidente del colosso del lusso Lvmh, Bernard Arnault, ha avvertito che il mancato raggiungimento di un accordo potrebbe essere catastrofico per l’industria francese del vino e dei liquori e ha auspicato un compromesso anziché un conflitto, suggerendo l’introduzione di una zona di libero scambio tra Ue e Stati Uniti. Il miliardario francese, amico di vecchia data di Trump ha visitato Washington almeno due volte dall’insediamento di Trump, mentre suo figlio Alexandre ha incontrato alcuni funzionari a maggio.
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