Dazi al 10%: a rischio 20 miliardi di export italiano e 118mila posti di lavoro

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Di Panorama
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La data del 9 luglio si avvicina sempre di più. Lunedì prossimo, infatti, tutti i dazi imposti dall’amministrazione americana nell’ormai noto “Liberation Day” entreranno nuovamente in vigore, dopo la scadenza della pausa di 90 giorni. Per l’Unione Europea, questo significherebbe una tariffa del 20% su tutti i prodotti esportati nel mercato americano,

Per scongiurare questa eventualità, che tuttavia appare sempre più reale, l’Unione Europea deve decidere se accettare un accordo simile a quello siglato fra Usa e Regno Unito, che ha lasciato un dazio del 10% su quasi tutti i prodotti britannici esportati negli Stati Uniti, o se resistere e affrontare i rischi di una guerra commerciale. Germania e Italia sembrano orientate a prediligere la prima soluzione. Anche questo dazio ridotto, però, avrà conseguenze durature.

A parlarne al Corriere è stato il Presidente della Confindustria, Emanuele Orsini. Secondo cui anche il dazio ridotto del 10% potrà dare «contraccolpi molto pesanti». Non bisogna infatti dimenticare che una delle conseguenze della “guerra dei dazi” di aprile e maggio è stata la svalutazione del dollaro, che da inizio anno ha perso circa il 13% del suo valore rispetto all’euro.

Può sembrare cosa da poco, ma è di fondamentale importanza quando si parla di commercio. Come dice Orsini, «un prodotto che un anno fa un’impresa italiana vendeva negli Usa a 100 oggi al nostro cliente americano costa 123», oltre al dazio del 10% va infatti aggiunta la perdita di valore del dollaro.

Secondo il Presidente di Confindustria, con dazi al 10% «nel 2026 rischiamo di perdere 20 miliardi export e 118 mila posti di lavoro. Il fatto è che l’Italia non esporta solo prodotti di lusso, con una domanda poco sensibile al prezzo: esportiamo soprattutto macchinari, mezzi di trasporto, pelletteria». Le conseguenze si farebbero sentire.

Mentre il Commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič, si trova negli Stati Uniti per trattare con l’amministrazione americana e trovare un accordo che scongiuri l’entrata in vigore dei dazi, l’approccio suggerito da Orsini è quello di ricordare agli States che se sul commercio il gli Usa hanno un deficit commerciale, sui servizi il saldo tra entrate e uscite è tutto a loro vantaggio. Senza dimenticare che l’aumento nella spesa sulla Difesa deciso dalla Nato vorrà dire che l’acquisto di armi dagli Usa aumenterà dell’80%.

Da evitare, in questo contesto altamente volatile, è una risposta ai dazi americani con contro-dazi europei, «significherebbe avere un danno ancora maggiore. Dobbiamo trovare un equilibrio non minacciando penalizzazioni ma promettendo vantaggi a fronte di una politica Usa ragionevole sulle tariffe. In ogni caso serve concentrarci comunque sugli Usa, che sono un mercato prioritario, e al contempo aprire nuovi mercati».

Insomma, sulla “guerra dei dazi” siamo alla resa dei conti finale. Secondo quanto riportato dal Financial Times, lunedì gli ambasciatori degli Stati membri avrebbero sollecitato il commissario europeo al Commercio affinché durante il suo viaggio negli Stati Uniti in corso in queste ore, insista perché qualsiasi accordo includa, a partire dal 9 luglio, una riduzione del dazio del 10% attualmente in vigore, nonché tagli ai dazi settoriali più elevati.

Fra le concessioni che Bruxelles è disposta a fare, secondo le stesse fonti, rientra la disponibilità a predisporre a beneficio di Washington sia la semplificazione normativa europea, sia la rimozione delle barriere interne al mercato europeo.

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Panorama

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