Davvero il Pd si fa garante delle pazze promesse elettorali di Meloni?

  • Postato il 31 ottobre 2024
  • Di Il Foglio
  • 1 Visualizzazioni
Davvero il Pd si fa garante delle pazze promesse elettorali di Meloni?

Al direttore - “Bucci batte d’un pelo Orlando grazie a scajoliani e astensioni” (il Fatto quotidiano). Traduco per i meno colti: ha avuto più voti.
Michele Magno

A proposito di voti. Interessante la teoria esposta ieri dal segretario del Pd a Repubblica, per preparare la nuova fase di riscossa democratica. Interessante in particolare un passaggio. Sentite qui. “Promettevano di abolire la Fornero e invece hanno ridotto l’accesso alla pensione anticipata; parlavano di aumentare le minime e le hanno alzate di 3 euro al mese, 10 centesimi al giorno. Per non parlare della tassa sugli extraprofitti di banche e assicurazioni che in realtà è un prestito che sarà restituito nel 2027: una bugia. Rispetto alle promesse, non stanno dando risposte. Gli elettori se ne accorgeranno. Come abbiamo fatto in Liguria, il Pd si sta adoperando per superarli anche a livello nazionale. E non siamo così distanti”. In sostanza, Schlein rimprovera Meloni per non aver rispettato alcune promesse elettorali: “Gli elettori se ne accorgeranno”, dice a Rep. Ma se le promesse elettorali di Meloni erano pericolose, il Pd oggi non dovrebbe esultare per avere una premier incoerente con le sue promesse pericolose piuttosto che porsi sulla scena come garante delle pazze promesse elettorali della Meloni? Chiediamo per un amico, come si dice. 

   

    

Al direttore - Leggo commenti pieni di livore nei confronti degli elettori di centrodestra in Liguria, in particolare se questi hanno la sfortuna di abitare da Savona verso il far west scajoliano, quindi mafioso e criminogeno per definizione. Ancora ieri Aldo Cazzullo sosteneva che la destra vince perché i suoi elettori preferiscono il bene privato (sottinteso losco) al bene pubblico. Altri politici liguri di sinistra intimano di non voler avere niente a che fare con l’Imperiese. Insomma, il discorso è sempre lo stesso. Bisognerebbe che votassero sempre e solo loro, gli illuminati, meglio se residenti in centri urbani superiori ai 15 mila abitanti. Gli altri... semplicemente dei bifolchi, come spiegherebbe Rampini. Sono genovese, abito in provincia di Savona da 8 anni e ho votato Bucci. Conosco il candidato dall’ottima esperienza di Genova, dalla quale ha tolto quell’aria un po’ stantia di immobilismo che la pervadeva dopo decenni di dominio rosso per creare una città piena di cantieri, turisti e novità. Ritengo che Bucci possa rappresentare una speranza (laica) di miglioramento anche per la mia regione, per il suo futuro e quello dei miei figli. Fintanto che la sinistra non accetterà il fatto che chi vota il centrodestra non è un mafioso, un ladro, un evasore, ma solo un cittadino che ha una visione delle cose diversa dalla loro, credo che saranno destinati a essere percepiti come antipatici, altezzosi e quindi invotabili. Se vogliono essere competitivi cambino questo, le alchimie sulle alleanze verranno dopo.
Giulio Parodi

E’ sempre la solita storia. E vale su molti terreni di gioco. Se gli ingranaggi della politica vengono attivati dalla destra, c’è malaffare fino a prova contraria, e se invece gli ingranaggi vengono attivati dalla sinistra c’è democrazia, fino a prova contraria. E così, per dire, se le nomine sono di sinistra bisogna parlare di ricambio, e se invece le nomine sono di destra bisogna parlare di occupazione. E allo stesso modo, se i voti sono di destra, bisogna parlare di clientela, mentre se invece sono di sinistra bisogna parlare di consenso. E’ il cialtronismo, bellezza. 

   

      

Al direttore - L’assegnazione del Cenacolo alla Pinacoteca di Brera non provoca nessun depauperamento dei musei della Lombardia come intende l’articolo firmato da Maurizio Crippa sul Foglio di martedì 29 ottobre (“A chi il Cenacolo? A noi! La curiosa svolta sovranista del Mic a Milano”). E l’assessorato alla Cultura della regione Lombardia, retto magistralmente da Francesca Caruso, non ha nessuna competenza, né l’ha mai avuta, per quanto riguarda il Cenacolo. Dunque non c’è nessuna manovra sovranista in atto. Il Cenacolo da sempre è un Istituto di stato i cui ricavi non hanno mai contribuito alla rete dei 600 musei lombardi (come dice l’articolo) con cui non ha nessun legame. Il Cenacolo prima di passare sotto Brera faceva parte comunque dello stato e più precisamente della Direzione regionale musei di stato che comprende in Lombardia solo 13 musei, adesso 12, di cui alcuni molto piccoli come la Cappella espiatoria di Monza o altri più importanti, in termini di ricavi, come le grotte di Catullo a Sirmione. Tra l’altro, i musei autonomi di stato, come Brera, ogni anno retrocedono alla Direzione generale dei musei di stato (e dunque per proprietà transitiva alla Direzione regionale dei musei di stato) un fondo di solidarietà pari al 20 per cento dei propri ricavi. La ratio di questa riforma che riguarda l’organizzazione dei musei di stato e non della regione, con cui il Cenacolo di stato viene affidato al Museo autonomo della Pinacoteca di Brera di stato, è facilmente comprensibile: si pensa che costituire un grande polo museale di stato in Lombardia, con Brera e il Cenacolo, possa far incrementare i ricavi di stato e dunque aumentare, non diminuire, i fondi che saranno in seguito destinati anche ai 12 musei di stato della Lombardia. In questa prospettiva basti pensare alla performance degli ultimi otto anni degli Uffizi di Firenze che nel 2023 hanno raggiunto i 63 milioni di ricavi: una cifra straordinaria che permette di dare linfa e vita a tutto il sistema dei Musei di stato in Toscana.
Angelo Crespi, direttore generale della Pinacoteca di Brera


Risponde Maurizio Crippa. Ringrazio per la cortese puntualizzazione il direttore Crespi, e faccio ammenda per l’errore in cui sono incorso: i ricavi del Cenacolo non vanno ai musei e istituzioni culturali della Lombardia. L’errore di fatto, però, non inficia il giudizio sull’assegnazione a Brera: legittima, ma politicamente discutibile. Le Direzioni regionali dei musei sono state create come articolazione territoriale del ministero, in un’ottica che un tempo avremmo chiamato di “decentramento”. Si occupano di “garantire omogeneità di servizi”, e di “promuovere la costituzione di un sistema museale integrato”. Decapitare la direzione lombarda significa toglierle importanza e capacità operativa. Certo, gli incassi del Cenacolo rientravano al ministero e poi, secondo le consuete logiche, venivano redistribuiti quota parte. Ora l’incasso dei biglietti passerà a Brera, che ovviamente restituirà al ministero, eccetera. La differenza, tutto funzionando bene, è che si allungherà la filiera. E’ necessario? Non è senza significato quanto dichiarato dal direttore dei Musei della Lombardia, Rosario Maria Anzalone, per il quale il passaggio “configura senz’altro una perdita per la Direzione regionale, ancor più in considerazione dell’imminente acquisizione di autonomia finanziaria e contabile, che incide sui meccanismi di sussidiarietà di cui tradizionalmente hanno beneficiato i luoghi della cultura meno risonanti”. L’operazione del Mic è politica, e va in un senso centralista opposto a quello delle autonomie. E, dal punto di vista dell’organizzazione dei musei, è una questione di economia politica. Si sceglie di accorpare in una sola “azienda” due poli con l’obiettivo di raddoppiare il peso specifico di Brera. Ovviamente auguriamo i migliori traguardi a Brera e al suo ottimo direttore. Che per ottenerli si debba indebolire un sistema improntato in direzione di una logica di autonomie crescenti, è discutibile.

Continua a leggere...

Autore
Il Foglio

Potrebbero anche piacerti