Dante capì che a Genova si parla l’italiano originale un libro di Emanuele Celesia salvato da Amazon spiega tutto

  • Postato il 24 agosto 2025
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Dante l’aveva capito che a Genova si parla l’italiano originale e per questo trattava con spregio i genovesi: erano un ostacolo vivente alla sua tesi che voleva il fiorentino l’idioma italiano per eccellenza. Così ci sfotteva scrivendo, nel “De vulgari eloquentia”, che “se per un’amnesia, perdessero la lettera z, o diventerebbero del tutto muti o si dovrebbero inventare una nuova lingua. La z infatti tiene la più gran parte del loro linguaggio, ed è una lettera che si pronuncia con molta durezza”. Vero ancora oggi quanto irrilevante.

Nel Purgatorio della Divina Commedia Dante dava il colpo di grazia: “Ahi! Genovesi huomini diversi d’ogne costume e pien d’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?” 33º Canto dell’Inferno. Questa è la celeberrima invettiva contro i genovesi.

Genova incrocio dei più vecchi europei

Dante capì che a Genova si parla l’italiano originale un libro di Emanuele Celesia salvato da Amazon spiega tutto, ella foto Genova da Castelletto
Dante capì che a Genova si parla l’italiano originale un libro di Emanuele Celesia salvato da Amazon spiega tutto – Blitzquotidiano.it (Genova fotografata da Castelletto da Sergio Gandus)

Quella che i liguri siano la più antica popolazione dell’Europa, fin da 8 mila anni fa, progressivamente ridotti a poco più di quell’angolo d’Italia tanto aspro da non essere appetibile a conquistatore alcuno non è solo mia convinzione ma scienza diffusa anche se occultata dai miti celtici e latini.

In origine, sostiene Emanuele Celesia (vedi sotto) nel suo “Dell’antichissimo idioma dei liguri”, i liguri erano stanziati fra il Tigri e l’Eufrate e erano ariani, cioè indo europei o proto indo europei. Fino a quando una qualche catastrofe climatica o anche soltanto la sovrappopolazione li spinsero a cercare nuovi spazi a occidente. Fu così che queste poche migliaia di esseri umani si sparpagliarono dalla Germania all’Italia alla penisola Iberica portando con sé un prezioso know how: l’agricoltura.

Che la lingua di questi liguri preistorici e non il latino sia il vero sostrato delle lingue ingiustamente dette neo latine (italiano, francese, spagnolo, portoghese) è una teoria che mi sono messo in testa partendo dalle ricerche di un francese, Henry de Jubainville, a fine ‘800.

Ma ai francesi l’idea non piaceva proprio: Jubainville fu sommerso di improperi e silenziato. L’idea non garbava nemmeno agli italiani, prigionieri, da Garibaldi a Mussolini, del mito di Roma.

Così un altro grande studioso dell’’800, patriota e poi educatore, Emanuele Celesia, finì nel dimenticatoio.

Ne ho già scritto, alcuni mesi fa.

A Roma, sottolineavo è rimasta una strada a lui dedicata, a Genova ci sono una strada e un ospedale nella periferia ex operaia di Rivarolo. A Genova, in corso Firenze, c’era anche una scuola elementare, dove ho frequentato la prima e dove ho forgiato una amicizia durata una vita con Gughi Valobra. Ora c’è un misterioso Istituto Comprensivo da cui non hanno avuto il coraggio di cancellare il titolo della scuola femminile dedicata a Maria Mazzini, madre di Giuseppe. Ma di Celesia si è persa la traccia.

Celesia prima di tutti capì che Dante…

Celesia ha pubblicato il frutto dei suoi studi nel 1863, con largo anticipo su un altro libro dedicato alla storia dei liguri, quello di Henri d’Arbois de Jubainville, Les Premiers Habitants d’Europe, che è del 1877. Il lavoro di Jubainville occupa più di 400 pagine ma è fermo alla ricerca etnica. Il libro di Celesia è di sole 114 pagine ma dimostra, con precisi confronti, l’ascendenza ligure di italiano, francese, spagnolo, portoghese, nonché piemontese e ligure-genovese.

La lingua più del DNA è la prova della eredità di un popolo. In quello dei liguri ce ne è per un terzo di greco. Per non dire dell’Italia.

Come disse Metternich nel 1847, “L’Italia è solo un’espressione geografica”, ma l’osservazione di Metternich è ancora ampiamente valida oggi, ha scritto Maciamo Hay su Academia.edu, aggiungendo: Non esiste

un solo popolo italiano, ma una moltitudine di gruppi etnici e culturali, spesso con una propria storia indipendente che risale a tempi antichi.

Innumerevoli popoli si sono stabiliti in Italia fin dal Neolitico: agricoltori del Vicino Oriente, tribù italiche, Liguri, Etruschi, Fenici, Greci, Celti, Goti, Longobardi, Bizantini, Franchi, Normanni, Svevi, Arabi, Berberi, Albanesi, Austriaci e altri ancora. Tutti hanno lasciato la loro impronta genetica sulle popolazioni delle regioni in cui si sono insediati.

Alla base di tutto i resti incancellabili della lingua ancestrale.

Genova, poi, è Liguria fino a un certo punto: fenici, ebrei, valdesi, profughi e marinai di ogni razza, inclusi i primi immigrati dal Sud Italia, confluiscono nel nostro DNA. Nella nostra lingua ci sono tracce di arabo: gabibbo, usato per definire i nostri meridionali, viene da habib, amico in arabo. Al confine tra Siria e Libano, qualche anno fa, pensai per un attimo di essere a Genova mentre decine di camionisti si salutavano con una raffica di habib.

Per me la prova della connessione fra le lingue non tanto nelle parole quanto nella grammatica e nella sintassi. Le lingue romanze le hanno uguali, mentre il latino è del tutto diverso, come sa chi ha sofferto fin da bambino studiando Aurea Roma e altri sacri testi.

Ho appena ricevuto da Amazon il libro di Celesia. Siamo di fronte a un autentico miracolo del progresso.

Dí questo libro, “Dell’antichissimo idioma dei liguri”, si sarebbero perse le tracce, non fosse per Google e altre onorabili istituzioni che ne mettono a disposizione la lettura on line gratuitamente. Lo stesso vale per Jubainville e per Alfred Merlin (L’Aventin dans l’antiquite). Nel caso di Celesia viene usata una copia recuperata dalla biblioteca di una università americana, il Dartmouth College. Grazia anche ad Amazon che ne ha permesso la stampa, in un unico esemplare in una tipografia in Inghilterra.

La mia copia mi è arrivata in settimana e subito vi trascrivo le fondamentali parole della conclusione.

 

Si può affermare, scrive Celesia:

Che l’osco-ligure fu nelle sue origini affine alle lingue arie.

Che fu base e cemento delle altre favelle italiche.

Che invaso da influenze fenicie, iberiche, etrusche, galliche, laziari e saracene, serbò nondimeno tal fondo etnografico e tale un tipo gramaticale ed eufonico, da mostrarsi a prima giunta linguaggio originale.

Che l’antico osco-ligure non era, vuoi nelle voci, vuoi nelle profferenze, che l’ odierno volgare, con le modificazioni ed innesti che le ragioni del tempo e il progressivo lavoro della sintassi v’hanno di necessità

ovuto introdurre.

Che la medesimezza delle voci e dei nomi topici in Italia, in Ispagna, in Gallia ed altrove, accusa lo spargimento e la vitalità d’un linguaggio, che fu la scaturigine di tutti i loro volgari.

Riconosce peraltro Celesia:

Sento l’ arditezza e la novità delle mie conclusioni, alle quali per altro prepotentemente mi tirano tutti gli studi a tal uopo intrapresi.

Forse Dante stesso ne’ suoi divini concepimenti presentia questo vero, quando cerniti e riprovati tutti i volgari d’Italia, non d’ altro appunta il genovese dialetto, che della asperità in lui derivante dalla lettera z.

È la lingua che in tutto a un dipresso il territorio che essi occupavano, conserva un’indole meravigliosamente uniforme, se non che in Piemonte e in Lombardia ha più mescolanza di gallico e di longobardo, e a Venezia si abbella d’una cotal tinta greca dei bassi tempi; del rimanente la sua somiglianza col ligure proprio, par tanto maggiore, quanto i due popoli son più divisi l’uno dall’altro

Sento l’ arditezza e la novità delle mie conclusioni, alle quali per altro prepotentemente mi tirano tutti gli studi a tal uopo intrapresi. Forse Dante stesso ne’ suoi divini concepimenti presentia questo vero, quando cerniti e riprovati tutti i volgari d’ Italia, non d’altro appunta il genovese dialetto, che della asperità in lui derivante dalla lettera z; certo vi alludeva Edilio Raggio scrivendo: un monumento non mica di pietre, ma vivo e sonante della dominazione di que’ Liguri vetusti rimane.

È la lingua; che in tutto a un dipresso il territorio che essi occupavano, conserva un indole meravigliosamente uniforme, se non chè in Piemonte e in Lombardia ha più mescolanza di gallico e di longobardo, e a Venezia si abbella d’una cotal tinta greca dei bassi tempi; del rimanente la sua somiglianza col ligure proprio, par. tanto maggiore, quanto i due popoli son più divisi l’uno dall’altro.

A questo nostro vernacolo cosi succinto, snodato e ubbidiente al pensiero, deve l’Italia i più celebri esempi di laconismo. Costretto un Doge genovese ad ossequiare Luigi XIV in Parigi, ed ivi accolto con singolar pompa, a chi gli chiedeva quale fra le meraviglie del luogo reputasse la meraviglia maggiore – mi chi – (io qui) rispondeva quel fiero. Fanno riscontro a questi due monosillabi — l’ aigua a e corde — e il — che l’ inse? — memorabili nei liguri annali. Un popolo non si smenti-sce: la sua lingua risponde alla sua storia.

 

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Blitz

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