Damato: con Berlinguer il moralismo è entrato in politica e poi ci è rimasto

  • Postato il 18 ottobre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Damato: con Berlinguer il moralismo è entrato in politica e poi ci è rimasto

Pur in debito professionale con Enrico Berlinguer per quello storico ”esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre”, cioè del comunismo, strappatogli in una tribuna politica televisiva di fronte al regime militare autoimpostosi dalla Polonia alla fine del 1981 per evitare una occupazione sovietica, non mi piacciono né mi convincono le ricorrenti santificazioni del leader comunista. Neppure quella riproposta più ancora che dal film su di lui appena presentato al festival romano del cinema, da certi commenti che gli sono stati dedicati. Come quello che intesta a Berlinguer la palestra della buona politica chiusa o tradita dopo la sua morte. Con tutto il rispetto dovutogli, per carità, e anche con la simpatia che ancora mi procura, ogni volta che la ritrovo nelle ricerche di lavoro, quella foto che lo riprese sulle braccia di un giovane Roberto Benigni, imitato molti anni dopo da un ben più possente Guido Crosetto con un'ancora più gracile Giorgia Meloni, continuo ad attribuire alla buonanima di Berlinguer, consapevole o inconsapevole che fosse stato, il ritorno in qualche modo del qualunquismo negli anni Ottanta, dopo la lontana fine di quello di Guglielmo Giannini.

La famosa “questione morale” nella quale fu incartata la celebre intervista di Berlinguer a Eugenio Scalfari, il 28 luglio 1981, a me sembra ancora oggi, o ancor più oggi, dopo tutto quello che è accaduto, la premessa o l'apertura di una stagione moralistica. Che si è tradotta nella delegittimazione della politica, nella sua rappresentazione, quando praticata da avversari, come di un'attività ai confini della malavita, e persino oltre. Come si gridava nelle piazze fra il 1992 e il 1993 inneggiando alle manette che scattavano ai polsi dei politici della cosiddetta Tangentopoli, molti dei quali poi assolti o neppure processati. Berlinguer non c'era più, ma era cresciuto quello che egli aveva seminato nell'immaginario collettivo rivendicando orgogliosamente la “diversità” del suo partito rispetto a tutti gli altri. A cominciare dalla Dc, con la quale egli si era pure accordato fra il 1976 e le prime settimane del 1979 per la parentesi della “solidarietà nazionale” gestita da due governi monocolori di Giulio Andreotti. Delle conseguenze di quella diversità, immediate sul piano delle alleanze e in prospettiva sul piano della cultura e della lotta politica, si resero conto subito anche dirigenti del partito di Berlinguer come Giorgio Napolitano.

PIETRA TOMBALE
Da cronista parlamentare del Giornale di Indro Montanelli raccoglievo sfoghi riservati di deputati e senatori del Pci contro l'aureola nella quale si era avvolto il loro segretario isolandosi. La sua morte -e che morte, sul campo praticamente di un comizio nella campagna elettorale del 1984 per il rinnovo del Parlamento europeo- ridusse tutti nel Pci al silenzio. E al pianto. La diversità del suo partito dagli altri fu vantata, sventolata come una bandiera, da Berlinguer mettendo la pietra tombale sull'esperienza già ricordata della solidarietà nazionale, come per spiegarne e motivarne la fine. Che era stata d'altronde da lui stesso interrotta nel 1979, ma non per questioni morali, bensì un po' per i voti costati al suo partito l'appoggio esterno ai governi monocolori democristiani, un po' perla morte -e che morte, pure quella- del principale tessitore dei rapporti col Pci da parte della Dc, cioè Aldo Moro, e un po', o forse soprattutto, dalla indisponibilità comunista ad accettare il riarmo missilistico della Nato imposto dal vantaggio acquisito dal blocco sovietico puntando gli SS 20 contro le capitali dell'Europa occidentale.

CONVERGENZA
Eppure era stato proprio Berlinguer, in una celebre intervista a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, ripresa solo parzialmente dall'Unità, a parlare della Nato come di un ombrello sotto il quale i comunisti italiani avrebbero dovuto o potuto sentirsi protetti, dato il rapporto subordinato con i partiti comunisti “fratelli” che si concepiva e praticava a Mosca. Quando si trattò, con una convergenza soprattutto fra tedeschi e americani, di riparare quell'ombrello compromesso dal vantaggio del blocco dell'Europa dell'est, Berlinguer si tirò indietro. E il Pci alimentò le piazze mobilitate all'insegna del solito pacifismo a senso unico. Ricordare queste cose può risultare comprensibilmente scomodo, e persino ingiusto, per i cultori del mito berlingueriano, con o senza la tessera d'iscrizione al Pd su cui quest'anno sono riprodotti proprio gli occhi del leader comunista, ma credo sia doveroso per una cronaca o storia onesta.

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Libero Quotidiano

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