Dallo scudetto alla Serie C: la parabola della Sampdoria e il suo futuro
- Postato il 14 maggio 2025
- Di Panorama
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Un pubblico da Serie A per una squadra che per la prima volta nella sua storia, lunga quasi 80 anni, conosce l’umiliazione della retrocessione in Serie C. C’era una volta la Sampdoria grande realtà del calcio italiano e adesso non c’è più. Caduta dal purgatorio della B all’inferno della terza divisione mai conosciuta in quasi un secolo, perché non sempre nella Genova blucerchiata si è giocato per vincere, ma mai errori, incapacità, crisi tecniche e societarie avevano partorito lo scempio di una stagione conclusa uscendo dai radar del pallone che conta. Sono passati 34 anni dai giorni della festa scudetto, della Samp del presidente Mantovani e dei ragazzini terribili Vialli e Mancini, della saggezza di mister Boskov e della sensazione che tutto sarebbe stato bellissimo per sempre. Quella Sampdoria non esiste più da tempo, ma quella che è scivolata in serie C è troppo lontana per accettare il verdetto del campo senza provare un dolore quasi fisico.
Un tricolore, una Coppa delle Coppe nel 1990 e la finale della Coppa dei Campioni persa a Wembley contro il Barcellona quasi per uno scherzo del destino: questi sono stati i colori blucerchiati nel momento più alto della loro storia. E poi quattro volte la conquista della Coppa Italia e una della Supercoppa Italiana, sempre spinti dalla passione di un popolo che anche nell’ultima, agonizzante, annata in Serie B non ha fatto mai mancare il proprio appoggio. Per capirci, fosse stata in serie A la Samp avrebbe avuto l’undicesimo dato per presenze medie allo stadio dell’intero campionato. Commovente e inutile; nulla è stato in grado di risollevare il piano inclinato su cui una squadra mediocre e senza carattere ha iniziato da subito a scivolare senza più fermarsi fino al verdetto amaro della retrocessione.

L’immagine simbolo è l’attaccante Niang che sbaglia un rigore in movimento a un soffio dal fischio finale della sfida con la Juve Stabia: l’ultima porta scorrevole che avrebbe permesso di arrivare almeno allo spareggio. Quindi le lacrime e la rabbia di una piazza che ha assistito inerme allo sfascio. Come è stato possibile arrivare fino a qui? Perché, una volta scongiurata la tragedia sportiva del fallimento, usciti indenni dalla gestione Ferrero, i sampdoriani hanno dovuto bere l’amaro calice della calata tra i semi professionisti?
Dopo Ferrero il tentativo di Matteo Manfredi, prima con Radrizzani e poi da solo. Tanti soldi investiti male: cento milioni di euro nelle parole della proprietà. Un progetto sportivo costruito male, con il secondo monte ingaggi della Serie B alle spalle del solo Sassuolo risalito senza problemi nella massima divisione. Quattro allenatori, da Pirlo a Evani passando per Sottil e Semplici. Il tentativo romantico e disperato dei ragazzi del ’91 di correre al capezzale della cara, vecchia, Sampdoria per provare a salvare il salvabile quando però era già troppo tardi. Le visite di Roberto Mancini a Bogliasco, il lavoro di Chicco Evani e Attilio Lombardo, un atto d’amore che non è stato sufficiente perché la squadra trovasse energie e motivazioni, cuore e tecnica, per evitare l’umiliazione della retrocessione.
Non sarà facile tornare in alto in fretta. Il club è nelle mani di Joseph Tey, uomo di finanza di Singapore che ha al suo fianco altri investitori orientali e che ora dovrà decidere cosa fare della Sampdoria e in che tempi. La caduta in Serie C significa l’azzeramento quasi totale dei ricavi, la necessità di tagliare e di mettere mano al portafoglio per sostenere la ripartenza: serve un altro atto d’amore, possibilmente accompagnato dalla competenza che è mancata negli ultimi anni blucerchiati. La squadre era tornata in A nel 2012 un solo anno dopo la scioccante caduta in seconda serie. Sembrava il punto più basso e invece il peggio doveva ancora venire.