Dalle calamite ai sapori gourmet, nove italiani su dieci comprano souvenir in vacanza
- Postato il 14 settembre 2025
- Di Panorama
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Non esiste il viaggiatore italiano che torni a mani vuote. È una certezza matematica, quasi un assioma antropologico che attraversa il Belpaese da Nord a Sud: il 66% dei nostri connazionali ha fatto del souvenir una religione laica, un rito di passaggio obbligato tra l’esperienza vissuta e il rientro alla quotidianità. Come se ogni vacanza fosse incompleta senza quella piccola, tangibile testimonianza capace di riportare in vita profumi, sapori e emozioni quando la memoria inizia a sbiadire.
L’ultima indagine di eDreams, condotta su 9.000 viaggiatori internazionali, fotografa un popolo di instancabili raccoglitori di ricordi: il 27% non parte mai senza l’intenzione precisa di comprare “quel” qualcosa di speciale, mentre il 39% acquista con la regolarità di un rito scaramantico. Solo un timido 7% confessa di resistere al richiamo del souvenir, probabilmente mentendo anche a se stesso.
Ma cosa spinge gli italiani in questa caccia al tesoro emotiva? La risposta è semplice quanto profonda: il 69% cerca un modo per cristallizzare l’esperienza, trasformare l’effimero in permanente. Non si tratta di semplice materialismo, ma di una forma di archeologia personale dove ogni oggetto diventa un frammento di storia da custodire e raccontare.
I grandi classici non tramontano mai
T-shirt con scritte improbabili, portachiavi che si moltiplicano come rabbini e calamite che trasformano il frigorifero in una mappa del mondo: il 52% degli italiani rimane fedele ai grandi classici del souvenir da bancarella. Una scelta che potrebbe sembrare banale, ma che nasconde una saggezza inconscia: questi oggetti parlano un linguaggio universale, riconoscibile a prima vista da chiunque attraversi la soglia di casa.
Accanto ai veterani del ricordo, cresce però una generazione di collezionisti più raffinati: il 47% preferisce affidarsi alla propria creatività con fotografie e diari di viaggio, mentre il 36% punta tutto sul palato portando a casa specialità gastronomiche. È il segno di un’evoluzione: dal souvenir-oggetto al souvenir-esperienza, dal ricordo passivo a quello che continua a regalare emozioni anche a distanza di mesi.
Meno gettonati, ma non per questo meno significativi, gioielli e opere d’arte locale (30%) rappresentano la scelta di chi cerca l’unicità, mentre il 20% si diverte con oggetti insoliti come i set di cortesia degli hotel, trasformando il furto legalizzato in collezione.
La geografia generazionale del ricordo
Se il souvenir fosse una scienza, i giovani della Generazione Z ne sarebbero i più fedeli praticanti: per il 79% comprare un ricordo è un’abitudine radicata, spesso amplificata dall’eco dei social media che influenza il 18% delle loro scelte. I ventenni amano i classici (61%) ma mostrano una curiosità contagiosa anche verso gli oggetti più bizzarri (24%), come se ogni acquisto fosse un potenziale contenuto virale.
I trentenni (25-34 anni) si distinguono per un gusto più ricercato, orientandosi verso opere d’arte e artigianato locale (35%), mentre i quarantenni (35-44 anni) trasformano la valigia in dispensa gourmet con una passione per i prodotti enogastronomici che tocca il 44%. Sono anche i più inclini a seguire i consigli delle guide locali (18%), dimostrando una maturità nell’approccio al viaggio.
Gli over 65, veri poeti del ricordo, prediligono fotografie e diari di viaggio (51%) e si lasciano guidare più spesso dall’impulso del momento (42%). Per il 78% di loro, il souvenir rappresenta prima di tutto un modo per ricordare l’esperienza vissuta, quasi un antidoto contro l’oblio del tempo che passa.
Il rituale della condivisione
Una volta tornati a casa, gli esploratori del Belpaese trasformano ogni oggetto in una piccola storia da raccontare. Il 71% condivide i propri acquisti con i familiari, il 51% con gli amici e il 44% con il partner, creando una catena di narrazioni che moltiplica il valore emotivo del ricordo. Non è solo ostentazione: è il bisogno profondamente umano di rendere partecipi gli altri delle proprie scoperte.
Le motivazioni dietro questa passione collezionista rivelano un panorama variegato: oltre al desiderio di conservare un ricordo tangibile, il 38% degli italiani ne apprezza il valore simbolico o culturale, mentre il 23% punta ad arricchire una collezione già esistente. Il 34% ammette di aver iniziato una nuova collezione proprio grazie a un oggetto scoperto durante una vacanza, trasformando il caso in passione duratura.
L’Europa dei souvenir: differenze latitudinali
Guardando oltre i confini nazionali, emergono differenze culturali affascinanti. I più instancabili collezionisti d’Europa sono i portoghesi (39%) e gli spagnoli (37%), che non tornano mai a mani vuote dalle loro avventure. All’estremo opposto, i britannici mantengono un rapporto più distaccato con questa tradizione: solo il 12% si dichiara fedele collezionista, mentre uno su quattro acquista raramente o mai un souvenir.
Le preferenze rivelano due filosofie opposte: francesi (55%) e statunitensi (52%) prediligono i ricordi personali come fotografie e diari, mentre portoghesi, italiani e spagnoli (tutti attorno al 52%) rimangono affezionati ai classici da bancarella. Gli americani mostrano una curiosità particolare per opere d’arte e oggetti artigianali (48%), condividendo con gli italiani la passione per le specialità gastronomiche.
I britannici confermano il loro pragmatismo anche nel lanciarsi in nuove collezioni: solo il 23% si lascia coinvolgere da questo impulso, contro il 52% degli statunitensi e il 46% degli spagnoli, decisamente più inclini a trasformare un ricordo occasionale in una nuova ossessione da coltivare.
La mappa europea dei souvenir racconta storie diverse: c’è chi viaggia per collezionare e chi colleziona per caso, chi cerca l’unicità e chi si accontenta della familiarità del già visto. Ma in fondo, dietro ogni oggetto portato a casa c’è sempre la stessa, universale voglia di non lasciar scivolare via le emozioni più belle.