Dall’astrofisico che insegna al liceo, all’ingegnere col contratto in scadenza: le storie dei precari dell’Infn. “La ricerca si fa con le persone e non con i muri”

  • Postato il 23 novembre 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Paola ha quarant’anni, tre figli ed è astrofisico. Dopo dieci anni da ricercatrice precaria, ora insegna matematica e fisica alle superiori. “Con la terza gravidanza ho perso il treno. Mi è stato detto che la ricerca non era la mia priorità. Vedendola brutta ho fatto il concorso a scuola e per fortuna l’ho vinto”. Sara, anche lei fisico di 39 anni, di figli invece ne ha una. Ha quattro anni e vive con il padre a Roma, mentre lei fa su e giù dalla Spagna, dove ha ottenuto un contratto di post-dottorato: 2.330 euro al mese per tre anni, contro l’assegno di ricerca da 1.400 euro, rinnovato di anno in anno, che aveva in Italia dal 2020. Le due ricercatrici precarie hanno in comune il fatto di aver legato la loro attività all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), ente pubblico di ricerca dedicato allo studio dei costituenti elementari della materia e delle leggi fondamentali dell’universo, dove quasi un terzo del personale è precario: 800 lavoratori con anni di esperienza e di formazione alle spalle che sono esclusi da qualsiasi prospettiva di stabilizzazione. Nonostante svolgano attività fondamentali per gli esperimenti e i progetti di un ente che in tutto il mondo è riconosciuto come un’eccellenza scientifica italiana.

Paola e Sara sono nomi di fantasia, così come tutti quelli che seguiranno. Le persone intervistate da ilfattoquotidiano.it hanno chiesto di essere coperte dall’anonimato, perché temono ripercussioni. Fanno parte di Precari Uniti Infn, un gruppo che da anni si batte per la stabilizzazione dei contratti di chi lavora per l’Ente, su tutto il territorio nazionale. I precari dell’Infn in tutto sono circa 800: 300 a tempo determinato e oltre 500 con assegni di ricerca o borse di studio. La maggior parte degli assegnisti porta avanti, anche da più di 10 anni, attività scientifiche essenziali, assumendo via via responsabilità di rilievo e ruoli di coordinamento in collaborazioni internazionali e gruppi di ricerca che senza di loro non potrebbero funzionare. Il tutto convivendo con un profondo disagio: contratti in scadenza che generano ansia, stipendi fermi da anni, l’impossibilità di fare piani per il futuro. Pochi mesi dopo aver firmato un rinnovo da un anno, si deve già pensare a come ottenere quello successivo. Una precarietà che produce una forte sudditanza, materiale e psicologica.

Come spiega Claudio, 40 anni, un ingegnere informatico che si occupa di cybersecurity. Da cinque anni lavora all’Infn, con tre diversi tipi di contratto. L’ultimo dei quali da tecnologo dipendente: è stato assunto a tempo determinato nell’ambito del Pnrr e il suo contratto è in scadenza a fine dicembre. “Dal primo gennaio dovrò cercarmi un altro lavoro, forse nel privato. La ricerca per me è una vocazione, mi dà enorme soddisfazione, ma bisogna pur mangiare. Ho una moglie e due figli piccoli. Vivo in affitto perché un mutuo non posso permettermelo e per comprare una macchina mia moglie ha dovuto fare da garante”. Racconta di come suo fratello si sia trasferito in Olanda e ora faccia il dirigente: “Penso spesso al fatto che potevo esserlo anch’io, ma all’Infn non c’è futuro. Qui la precarietà è una scelta politica e gestionale”. Spiega che insieme a lui scadranno tanti altri colleghi impiegati sul Pnrr: “Molti responsabili di progetto si stanno lamentando perché con il taglio del personale non potranno garantire la continuità dei servizi”.

I Precari Uniti denunciano che i fondi europei del Pnrr siano stati utilizzati solo per le infrastrutture e non per le assunzioni. Dimenticando che la ricerca si fa con le persone e non con i muri. Per questo, spiegano, serve che il governo stanzi delle risorse dedicate specificatamente al personale. “La normativa esistente, attraverso la legge Madia, permette già assunzioni a tempo indeterminato dirette, senza ulteriori concorsi, per chi ha maturato almeno tre anni di servizio negli ultimi otto e sia stato reclutato tramite procedura concorsuale. I potenziali aventi diritto alla stabilizzazione sono diverse centinaia di persone. Ma all’Ente devono essere assegnati dei fondi vincolati a questo scopo, altrimenti non avverrà mai”, spiegano. In ogni caso, proseguono i Precari Uniti, “oggi l’Infn spende per il personale solo il 46,5% delle sue entrate correnti: è molto al di sotto del limite legale dell’80%. In altre parole, ci sarebbe ampio margine per assumere o stabilizzare, ma questo non avviene”.

Tra i lavoratori che a fine 2025, con la scadenza dei contratti Pnrr, dovranno lasciare l’Istituto c’è anche Giulia, 51 anni. Si definisce una “precaria storica”: il suo primo contratto con l’Infn risale al 2004, più di vent’anni fa, dopo la laurea in fisica. Da allora ce ne sono stati in tutto cinque, tutti diversi: assegno di ricerca, tempo determinato e persino un co.co.co. Nel mezzo, alcuni anni da insegnante a scuola. “Un’istituzione che meriterebbe – dice – di non essere un ripiego. E che invece accoglie chi per anni si è iperspecializzato per fare ricerca ma non è stato mai stabilizzato”. Perché ha dedicato tutti questi anni all’Ente? “Perché ho studiato una vita per formarmi e non ci sono molti altri posti in Italia per fare ricerca”. Ed è proprio questo il punto su cui vuole concentrarsi: “Al di là delle difficoltà materiali che io come molti altri colleghi ho avuto, ma che in Italia condividiamo con altri lavoratori, precari e non, dobbiamo concentrarci su come questo Paese tratti le persone che fanno ricerca e cultura. Che futuro potremo mai avere?”.

L'articolo Dall’astrofisico che insegna al liceo, all’ingegnere col contratto in scadenza: le storie dei precari dell’Infn. “La ricerca si fa con le persone e non con i muri” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti