Dalla SEO alla GEO: ora non basta farsi trovare, bisogna farsi scegliere
- Postato il 3 novembre 2025
 - Innovazione
 - Di Agi.it
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                                                                            Dalla SEO alla GEO: ora non basta farsi trovare, bisogna farsi scegliere
AGI -Per chi ha costruito contenuti studiando la Seo e le sue evoluzioni, è davvero la fine di un’epoca. Fino a ieri il gioco consisteva nello scalare la Serp di Google: apparire in prima pagina, intercettare click, farsi trovare prima degli altri. Tutto ruotava attorno alla visibilità - parole chiave, link, grassetti, ranking. Oggi quella logica si è ribaltata. La parola d’ordine non è più posizionarsi, ma essere scelti. Il primo contatto non nasce più da una ricerca, ma da una risposta. Una risposta generata da sistemi che comprendono il contesto e restituiscono informazioni in linguaggio naturale: testi che parlano la nostra lingua, collegano fonti, sintetizzano concetti e spesso chiudono in poche righe il nostro bisogno informativo. In uno dei saggi che analizzano questa trasformazione, c’è una frase che lo riassume con precisione: “Tutto è risposta”
In questo nuovo scenario, non basta più “comparire” su un browser o sperare di piacere agli algoritmi. Bisogna farsi capire dai modelli generativi: progettare contenuti leggibili dalle persone e interpretabili dalle macchine. Significa ossessionarsi per la coerenza semantica, la chiarezza delle definizioni, la precisione delle entità e la verificabilità delle fonti. Non si scrive più per scalare una classifica, ma per alimentare una sintesi.
Una valanga infermabile
L’evoluzione è stata graduale, ma inesorabile. Dalle vecchie parole chiave, spesso ripetute all’infinito, siamo passati a ricerche sempre più complesse, fino ad arrivare alle domande, e ai dialoghi, in quello che chiamiamo linguaggio naturale. I motori di ricerca avevano imparato a capire il significato delle parole, ma con i modelli generativi di oggi, da ChatGPT a Gemini, la partita è cambiata del tutto. Questi assistenti che ci stanno sempre accanto non si limitano più a interpretare: producono, compongono, come freddi e instancabili matematici. È qui che si apre, a pensarci bene, la frattura. L’algoritmo tradizionale ordina, stila una classifica; quello generativo ricompone, mescola, costruisce un discorso nuovo. Non conta quante volte una parola compare, ma come prende vita dentro il testo: chi la usa, in quale contesto, con quali dati e quali fonti a supporto. La logica passa dal ranking, che ho sempre trovato tremendo nel suo giudizio, alla pertinenza nella risposta, più severa, più esigente. Oggi chi scrive, giornalista, autore o content creator, deve dare vita a contenuti che possano essere letti, scomposti e riutilizzati da una macchina, senza ambiguità e con senso pieno. Niente scorciatoie narrative, niente buchi di trama per ingannare lo spider di Google. Non c’è più nessuna ragnatela da costruire, direbbero quelli che sanno far bene lo storytelling. E forse, a pensarci un poco, è un bene. Proviamo a capire perché.
Google cambia le regole
Negli ultimi mesi anche Google ha accelerato la sua trasformazione. Con l’introduzione di AI Overviews e del nuovo AI Mode, la ricerca non è più solo una lista di risultati, di pagine piene di link, ma un flusso di risposte generate continuamente. Secondo The Verge, il nuovo AI Mode porta un chatbot direttamente dentro l’esperienza di ricerca, fondendo il modello Gemini con i dati del web in tempo reale. È la “AI-ification” della ricerca: la Serp tradizionale si sta trasformando in un dialogo infinito, e i link, che per vent’anni sono stati la valuta della visibilità, diventano accessori. Li puoi usare o li puoi lasciare dentro a un armadio. Google dice che gli utenti “cliccano di meno ma restano di più” sui siti che aprono, perché arrivano già informati. È una visione un po' ottimista, ma il rischio per chi produce contenuti è chiaro: essere sintetizzati e non visitati.
Struttura e metodo
La ricerca, ormai lo sappiamo, è diventata una conversazione. Una conversazione, però, che richiede contenuti costruiti con criterio, non solo ben impaginati. Titoli e sottotitoli non servono più soltanto al lettore: aiutano anche i sistemi a orientarsi, a capire le priorità e a separare gli argomenti. Gli H2, H3 e così via, non hanno più senso se usati senza logica, solo per spezzare il testo o dargli un’apparenza ordinata. Ogni paragrafo deve contenere un’idea precisa, non riempire lo spazio bianco della pagina che continua, giocoforza, a farci paura. Le definizioni vanno date una volta, bene, con dati e unità di misura espliciti. Gli esempi devono servire a chiarire, non ad abbellire un testo fino a renderlo pesante.
I collegamenti tra concetti non sono più un gioco di rimandi interni. Quella vecchia abitudine del “hey, hai aggiunto i link?” che personalmente ho ripetuto all’infinito, sta morendo. Sì, perché nell’epoca della GEO quei collegamenti servono a tenere in piedi il filo logico di un discorso, permettendo ai modelli di intelligenza artificiale di seguirlo senza inciampare, senza bloccarsi. Non è una concessione alle macchine, sia chiaro, né un modo per compiacerle. È una questione di chiarezza, di metodo, e in fondo di ambizione: puntare davvero alla qualità. Si inseriscono, se servono, se sono d'aiuto alla completezza del pezzo che stiamo scrivendo.
La Geo non cancella la Seo ma la include e la rende più rigorosa. Le vecchie regole - accessibilità tecnica, codice pulito, tempi di caricamento, mobile first - restano fondamentali, ma non bastano più. Oggi contano anche i segnali semantici: nomi e concetti riconoscibili, relazioni esplicite tra gli argomenti, fonti verificabili, aggiornamenti trasparenti, con date specifiche. Il valore di una pagina non dipende solo da ciò che dice, ma da come lo dice: se è chiara, contestualizzata, coerente e capace di anticipare le domande successive, non solo di rispondere a quelle già note. Per spiegarlo torno ai tempi dell’università, agli esami migliori che ho dato. Tutto si giocava sulla prima domanda: bastava rispondere bene, con sicurezza, e poi inserire un collegamento, un piccolo punto di connessione. Il professore - come l’utente oggi - era pronto, anche per pigrizia, a seguirti su quella scia: “Visto che l’ha citato…”. Che soddisfazione, no? Ecco, le nostre produzioni editoriali oggi devono funzionare un po’ così. La prima 'risposta' (ovvero il nostro pezzo) deve essere lucida, precisa, e capace di generare da sola il resto della conversazione, anticipando - e in parte neutralizzando - le nuove esigenze del lettore.
Le strategie GEO più efficaci, quindi, non lavorano sulla quantità, ma sulla qualità e verificabilità dell’informazione. Studi come questo tra Stati Uniti e India, che ha ‘battezzato’ il nome, mostrano come i metodi basati su elementi di evidenza (l’inserimento di citazioni, dati statistici e riferimenti a fonti autorevoli) possano aumentare la visibilità del contenuto fino al 40%. L’aggiunta di citazioni dirette (Quotation Addition) da fonti credibili si è rivelata la tecnica più efficace: nei domini legati alla società, alla storia o alla divulgazione, la presenza di voci e testimonianze riconoscibili aggiunge autenticità e profondità, migliorando la probabilità che il modello scelga quel testo come riferimento. Anche l’inclusione di statistiche concrete (Statistics Addition) si è dimostrata decisiva: i dati quantitativi offrono una base verificabile che rafforza la credibilità del contenuto, soprattutto nei contesti legali, istituzionali o d’opinione. Infine, la strategia Cite Sources, che consiste nel citare chiaramente le fonti interne o esterne, aiuta i modelli a stabilire relazioni di fiducia, rendendo più probabile la selezione del testo come fonte per risposte fattuali. Ma i motori generativi non guardano solo alla sostanza: anche forma e stile contano. La scorrevolezza del linguaggio, la chiarezza espositiva e il tono autorevole incidono direttamente sulla visibilità. I modelli tendono a privilegiare testi scritti in modo fluido, comprensibile e coerente. In particolare, una scrittura naturale e lineare (Fluency Optimization) e un linguaggio semplificato (Easy-to-Understand) aumentano la leggibilità e migliorano la possibilità di essere inclusi nelle risposte generate.
L’analisi delle combinazioni, infine, mostra che usare più strategie insieme, ad esempio, unendo chiarezza stilistica e dati concreti, può migliorare ulteriormente le performance. Emerge, quindi, un segnale chiaro: il futuro dell’ottimizzazione passa per la convergenza di forma e contenuto. Al contrario, le vecchie logiche Seo, a lungo andare, non funzioneranno più. Tecniche come il keyword stuffing, ossia l’inserimento forzato di parole chiave, non solo non portano vantaggi, ma in alcuni casi peggiorano le prestazioni.
La reputazione computabile
La trasformazione tocca anche la distribuzione. Essere Geo-ready, come dicono quelli bravi, significa capire dove guardano le piattaforme intelligenti, e non limitarsi più al proprio sito o al classico circuito dei motori di ricerca. I sistemi generativi come ChatGPT, Gemini o Perplexity costruiscono le loro risposte attingendo a un ecosistema molto ampio. Repository istituzionali, piattaforme editoriali aperte, archivi pubblici, community, Wikipedia: sono questi i luoghi dove un contenuto deve vivere per essere riconosciuto. Le menzioni di valore, poi, contano anche senza link. Un nome che ricorre con coerenza in più contesti, associato a dati solidi o a un certo ambito tematico, viene comunque riconosciuto come rilevante. Se un LLM legge più volte “l’analisi di AGI” o “secondo l'autore tizio”, tenderà a collegare quella fonte a un campo di competenza specifico, e a citarla o sintetizzarla nelle proprie risposte. È un cambio di paradigma: non serve più il collegamento cliccabile, basta quella che viene chiamata "co-occorrenza semantica". Da qui nasce la “reputazione computabile”: una forma nuova di autorevolezza che non si misura con i like o con la visibilità, ma con la frequenza, la coerenza e la qualità delle menzioni nel tempo.
Per le redazioni cambia tutto. Oggi un articolo non nasce più da un argomento, ma da una domanda. La scaletta non è solo un aiuto per scrivere ma il primo 'metadato', serve a mettere ordine, a chiarire cosa vogliamo spiegare e in che sequenza. I box di servizio - glossari, numeri, date, riferimenti ufficiali - non sono riempitivi, ma diventano il livello di informazione che i sistemi IA leggono e riutilizzano. Anche l’aggiornamento cambia valore: dire quando e cosa è stato modificato non è più una formalità, ma un segnale di affidabilità.
Da SEO a GEO: la mappa del cambio di paradigma
| Ieri (SEO) | Oggi (GEO) | 
|---|---|
| Scalare la SERP | Entrare nella risposta generata | 
| Parole chiave | Relazioni semantiche e contesto | 
| Click e pageview | Citazioni e influenza | 
| Link building | Menzioni autorevoli e reputazione computabile | 
| H1/H2 per i bot | Struttura logica per umani e modelli | 
| Rispondere alla keyword | Rispondere alla domanda | 
| Contenuti lunghi | Chiarezza, verificabilità, sintesi | 
I numeri
Poi c’è la parte industriale, quella che tocca i dati. La dinamica zero-click, che avrete già sentito nominare, è ormai una realtà: molte ricerche si chiudono direttamente nella risposta generata. L’utente non clicca più e non approfondisce: si ferma alla sintesi fornita dal modello, che sia ChatGPT o un altro. Continuare a misurare il successo solo con le 'visualizzazioni di pagina' e il 'tempo di lettura' non ha più lo stesso senso di ieri. Servono nuovi indicatori: capire se stiamo diventando fonte, se veniamo citati, se il nostro catalogo è aggiornato e utile. Se siamo rilevanti, riconoscibili, autorevoli. L’obiettivo non è più fare volume, ma costruire influenza.
Negli Stati Uniti gli editori stanno già facendo i conti con questa trasformazione. Secondo Digiday, l’introduzione delle AI Overviews ha causato cali tra il 10% e il 25% del traffico da ricerca. Secondo le ultime previsioni di Gartner, entro il 2026 il volume delle ricerche tradizionali potrebbe ridursi oltre il 25%, mentre il traffico organico verso i siti editoriali rischia di dimezzarsi. Online circolano già proiezioni ancora più catastrofiche, e non mancano toni allarmistici di chi sta toccando con mano i crolli del traffico.
La differenza si riassume bene in una frase: la Seo serviva a farsi trovare, la Geo serve a farsi cercare. Farsi trovare significava puntare sull’esposizione, farsi cercare significa meritare di essere una delle risposte alla domanda, entrare nel campo visivo - (umano e algoritmico, non smetterò di ricordarlo) di chi cerca un’informazione. E per riuscirci serve un ritorno alla qualità vera: misurabile e verificabile. Meno titoli urlati, più metodo. Meno spinta, più usabilità informativa. La dico semplice: serve più giornalismo. Se c’è una promessa onesta da fare al lettore - e soprattutto ai sistemi che lo assistono - è forse questa: dire cose vere, in modo chiaro, con responsabilità sulle fonti. Il resto, che si chiami AI Overview, AI Mode o risposta generativa, viene dopo. E se la citazione non arriva, resta comunque un contenuto che può durare nel tempo, capace di essere ripescato e riusato in contesti diversi perché affidabile. In un’epoca di sintesi automatiche, è paradossalmente la forma più solida di visibilità.
La GEO, forse perché ancora sfuggente, spaventa più della Seo: lì tutto era misurabile, immediato, con strategie precise e risultati leggibili. Qui, invece, si entra in un territorio nuovo, dove contano coerenza, autorevolezza e continuità. È un cambio di paradigma che obbliga a tornare alle basi: informare bene, per farsi capire, anche dalle macchine.
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