Dalla farina di ‘Grillo’ alla carne coltivata di Conte: alla bistecca sintetica io dico no

“Nel 2050 non ci sarà più carne per tutti, mangeremo gli insetti!” gridava Beppe Grillo in uno dei suoi spettacoli più memorabili. Non era solo una battuta, però: fu proprio in quell’occasione che l’ex comico si gettò su un piatto di grilli fritti, esclamando: “Sono buonissimi, meglio di un panino all’autogrill!”. Un gesto che all’epoca fece scalpore e che oggi suona profetico, con la farina di grillo finalmente autorizzata dall’Ue (anche se viene principalmente usata per nutrire animali da allevamento).

C’era una volta Beppe Grillo, oggi non c’è più, eliminato con un “televoto” dall’Assemblea costituente voluta dal presidente Giuseppe Conte. Ma ancora meno di dieci anni fa, nel 2016, il comico, durante un suo spettacolo, mise in scena un’eucaristia satirica distribuendo grilli secchi ai suoi seguaci per festeggiare la vittoria di Chiara Appendino. Un gesto che scatenò polemiche mostruose: tra chi gridava alla blasfemia e chi ironizzava. Era l’epoca in cui Carbone e Lotti erano le neostar di quello che allora chiamavamo ancora Twitter. Da lì ai giorni nostri, è cambiato tutto o quasi.

Grillini o “contiani”? Non importa come ora come vorranno continuare a essere chiamati, ma ciò che emerge è un orientamento chiaro verso battaglie innovative anche riguardo la dieta (e gli italiani in fatto di cibo la sanno lunga), come il sì alla cannabis legale e alla carne coltivata. Ed è qui che il dibattito alimentare entra nel vivo.

Dai grilli fritti di Beppe Grillo, passando per la farina di grillo, fino alla carne coltivata (non è fantascienza) di Giuseppe Conte. In Europa, aziende come la spagnola BioTech Foods, sostenuta dalla brasiliana JBS (il più grande produttore mondiale di carne), stanno puntando su bioreattori e replicazione cellulare. Ma l’Italia non è la Danimarca, dove si tassano le flatulenze delle mucche e si sceglie di sostenere progetti per “coltivare” proteine alternative, dai burger vegetali al latte prodotto da funghi geneticamente modificati.

Io, personalmente, non riesco a immaginarmi la mattina di preparare un cappuccino con latte estratto da funghi o a mettere sulla griglia una bistecca “coltivata” in laboratorio. Sarà che sono un italiano medio (inteso mediamente scettico). Non è che sia contrario per principio all’innovazione: capisco perfettamente i processi attraverso cui queste alternative vengono create e riconosco la necessità di cercare soluzioni sostenibili per il futuro del pianeta. Tuttavia, sono convinto che, se tutti adottassero uno stile di vita più consapevole e meno bulimico, non avremmo bisogno né di “coltivare” carne né di mungere funghi, tuberi o miceti.

Io non vedo, come il ministro Lollobrigida, la minaccia del made in Italy (la produzione di qualità resterà di qualità). Sono gli allevamenti massivi quelli da limitare, l’Italia già oggi importa oltre il 60% della carne che consuma, e molti sarebbero sorpresi di scoprire che la bresaola, simbolo della tradizione valtellinese, è in gran parte prodotta con carne di zebù, un bovino originario del Sud America, per non parlare dei maiali (guardate i reportage “horror” di Giulia Innocenzi).

Oscar Farinetti dice bene quando afferma: “Dovremmo mangiare la metà e spendere il doppio per ciò che mangiamo”. Il patron di Eataly coglie il cuore della questione. Non si tratta di negare il progresso, ma di ripensare radicalmente il nostro rapporto con il cibo. Io, ad esempio, mangio carne raramente, ma quando lo faccio scelgo quella italiana, proveniente da piccoli allevamenti locali. Compro direttamente dai produttori al mercato e parlo con loro. Non è solo una questione di gusto o qualità: è una forma di rispetto per chi lavora la terra, per gli animali, per l’ambiente.

Eppure, guardandomi intorno, vedo tutt’altro. I supermercati continuano a gareggiare al ribasso, attirando i clienti con promozioni che suonano come una resa: “fusi di pollo a 2 euro”. Una strategia che svilisce non solo il prodotto, ma anche il lavoro, la natura e noi stessi come consumatori. Dove sono la sensibilizzazione, la trasparenza sui processi produttivi, il rispetto per la terra e per gli animali?

Ripartire dalla bistecca coltivata? No grazie! La lascio volentieri sulla griglia di Giuseppe Conte. Non mi sembra una visione così lungimirante, possiamo fare tanto prima, a monte, provando a migliorare il nostro sistema (importiamo troppa carne), favorendo i piccoli produttori e in ultimo, ma non meno importante, mangiare meno (animali).

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Il Fatto Quotidiano

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