Dal Venezuela all’Europa: la nuova via della cocaina che alimenta jihadismo e cartelli

  • Postato il 2 dicembre 2025
  • Di Panorama
  • 2 Visualizzazioni

Il Venezuela si è trasformato in un crocevia cruciale per i flussi internazionali di cocaina, diventando il punto di partenza di carichi destinati all’Africa occidentale e, da lì, instradati verso l’Europa attraverso reti criminali e militanti islamisti. Forze dell’ordine e organismi multilaterali hanno spiegato che ufficiali militari corrotti e consorzi narcos locali movimentano la droga utilizzando ogni mezzo possibile: «aerei leggeri», «pescherecci», «semisommergibili» e «cargo diretti a est». Una volta approdata sulle coste africane, la polvere bianca passa nelle mani di trafficanti legati al jihadismo, che la spingono verso il Mediterraneo seguendo un mercato europeo in continua espansione.

«La cocaina degli anni ’80 non ha nulla a che vedere con quella attuale», ha osservato al Wall Street Journal l’ex ufficiale dell’intelligence statunitense Jesus Romero, sottolineando l’esistenza di «relazioni dirette tra i cartelli e gruppi terroristici che cercano fondi per le loro campagne armate». A mutare il panorama è stato anche l’impressionante aumento della produzione colombiana, che ha saturato le rotte tradizionali e obbligato i clan a sfruttare la debolezza delle istituzioni venezuelane, la vastità del suo litorale e l’assenza di controlli efficaci. Secondo i ricercatori dell’ONU, questa riorganizzazione logistica ha contribuito a diffondere la cocaina in territori che per anni ne avevano consumato quantità minime, dall’Europa orientale all’Australia. Secondo gli analisti della sicurezza, il nodo venezuelano rappresenta soltanto un segmento di una più ampia convergenza tra «trafficanti», «militanti jihadisti» e «funzionari corrotti», un intreccio che alimenta economie illegali globali e mina stabilità e istituzioni democratiche. La strategia di pressione dell’amministrazione Trump, che accusava Nicolás Maduro di essere parte integrante di questa macchina criminale, ha portato il tema al centro dell’attenzione internazionale. Maduro ha sempre bollato le imputazioni come costruzioni politiche, ma Washington lo ha inserito apertamente nel mirino, ordinando persino attacchi contro imbarcazioni ritenute vettori di droga verso gli Stati Uniti.

Gli esperti avvertono però che la quota diretta verso l’Europa è ben più consistente di quella intercettata lungo le rotte americane. Le spedizioni si smistano soprattutto attraverso l’Africa occidentale, dove intermediari locali collaborano con gruppi affiliati ad al Qaeda che, in cambio di denaro, garantiscono protezione ai convogli terrestri. Una dinamica confermata da comandanti ribelli del Mali settentrionale, che hanno descritto un sistema in cui jihadisti e clan criminali si spartiscono tratte e profitti. Nel frattempo, i sequestri europei hanno superato quelli nordamericani. «Le quantità sono talmente elevate che la sfida, per i trafficanti, è ormai trasferirle rapidamente», ha affermato Jeremy McDermott di InSight Crime. Gli studiosi come Bertrand Monnet, autorevole analista dell’Edhec, ritengono che il Venezuela abbia raggiunto un ruolo di piattaforma imprescindibile per il traffico destinato al vecchio continente, insieme a Brasile e Guyana.

Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha più volte sostenuto che gli attacchi ordinati da Washington siano motivati dal ruolo di Caracas come «snodo privilegiato» delle droghe dirette verso l’Europa, affermando che i Paesi europei «dovrebbero forse ringraziare» gli Stati Uniti per le operazioni di blocco. Da Caracas partono carichi che attraversano più mani e più giurisdizioni prima di raggiungere i consumatori. Pur non producendo quasi coca, il Venezuela è divenuto la porta d’uscita dei clan colombiani, che inviano carichi su voli clandestini, navi e semisommergibili. Romero racconta che lo scorso anno due Gulfstream sono decollati da una pista improvvisata nello stato di Apure: uno è stato intercettato in Guinea-Bissau con 2,6 tonnellate di cocaina, l’altro ha raggiunto il Burkina Faso, entrambi Paesi destabilizzati dall’insurrezione jihadista.

Secondo fonti occidentali, almeno un volo a settimana attraversa l’Atlantico senza transponder attivi, con controllori di volo corrotti incaricati di «spegnere i radar» nei momenti decisivi. Né mancano episodi clamorosi: nel 2013, poco dopo l’elezione di Maduro, quasi 1,4 tonnellate di cocaina sono state imbarcate su un volo Caracas-Parigi all’interno di valigie registrate come bagagli di linea.

Il legame con il jihadismo è documentato da anni. In Mali, il comandante algerino Mokhtar Belmokhtar ( conosciuto come Mr Marlboro del quale non si contano piu’ le morti annunciate e mai avvenute), ha combattuto per il dominio delle piste del contrabbando mentre narcotrafficanti locali, per sopravvivere, hanno finito per cooperare con le milizie jihadiste. Dalle dune del Sahel la catena logistica si estende a Libia, Niger ed Egitto, dove fazioni sostenute da Mosca riscuotono «tasse» sul movimento delle partite. Infine, dai porti del Maghreb partono i container diretti in Spagna, Portogallo o Italia. I sequestri europei testimoniano la portata del fenomeno: 3,3 tonnellate intercettate su un peschereccio venezuelano vicino alle Canarie lo scorso dicembre; 2,2 tonnellate trattenute in Irlanda nel 2023 dalla nave MV Matthew; 1,7 tonnellate recuperate poche settimane fa su un semisommergibile con equipaggio venezuelano fermato dalla marina portoghese. L’Europa tenta di reagire, rafforzando la cooperazione con gli Stati del Golfo di Guinea e con i Paesi del Sahel. Ma il deterioramento politico seguito ai colpi di stato in Mali, Burkina Faso e Niger ha ridotto la capacità operativa delle missioni internazionali. Il risultato è una rotta più fluida, più violenta e più redditizia che mai, in cui il Venezuela resta l’inizio di un viaggio clandestino che riorganizza, giorno dopo giorno, la geografia globale della cocaina.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti