"Dai giudici toni lunari": Nicolò Zanon smonta le toghe anti-Meloni, perché sbagliano
- Postato il 2 febbraio 2025
- Di Libero Quotidiano
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"Dai giudici toni lunari": Nicolò Zanon smonta le toghe anti-Meloni, perché sbagliano
«Non credo che sia semplicemente il remake di un film già visto tante volte. Adesso, in gioco, c'è qualcosa di diverso rispetto al passato. Come accaduto dall'epoca di Mani pulite in poi, c'è certo in ballo l'equilibrio complessivo dei poteri statali, ma oggi c'è anche una questione che tocca al profondo la sovranità, quella del controllo dell'immigrazione illegale. Chi decide le regole sull'ingresso legale nel territorio dello Stato? Questo è un attributo della sovranità e stavolta la politica non intende abdicare».
Questo perché la politica è più forte che in passato?
«La politica ha una determinazione molto forte oggi, perché forte è la legittimazione popolare di cui essa gode. Viceversa, i magistrati negli anni hanno perso consenso e popolarità; forse non se ne rendono del tutto conto e non realizzano che il muro contro muro non giova loro».
Meloni è più pericolosa di Berlusconi, ha scritto in una mail riservata un esponente di Magistratura Democratica, invitando i colleghi a «porre rimedio...».
«Ricordo quella mail: diceva che la premier non ha inchieste a suo carico e pertanto non si muove per interessi personali ma per convinzioni politiche...».
Lo scontro tra poteri può mettere a rischio il sistema Italia?
«Voglio essere ottimista. Il nostro sistema ha retto all'urto delle vicende legate a Tangentopoli e prima ha sopportato eventi ancora più drammatici, come la tragica fine di Aldo Moro. All'epoca di Mani pulite, le inchieste giudiziarie scardinarono il sistema dei partiti che governava l'Italia. Oggi governo e maggioranza sono solidi e il contrasto riguarda una questione, l'immigrazione che, per noi, ha prospettiva almeno europea. Non è però secondario che anche in tal caso il ruolo della giurisdizione appaia esorbitante: siamo qui ad attendere la sentenza di un'altra Corte, quella del Lussemburgo, che dovrà decidere sulla nozione di Paese di provenienza sicuro. La Corte di giustizia della Ue ha in effetti assunto un ruolo da protagonista, e anche questo è assai sintomatico...».
Un ruolo sganciato da quello degli Stati?
«Poiché le istituzioni politiche della Ue appaiono deboli, quella Corte lavora in una sorta di vuoto pneumatico, in condizioni diverse rispetto a qualunque corte suprema nazionale, che ha addosso gli occhi di istituzioni democraticamente legittimate».
Nominato dal presidente Giorgio Napolitano, il giurista Nicolò Zanon è stato vicepresidente della Corte Costituzionale per nove anni, dopo averne trascorsi quattro al Consiglio Superiore della Magistratura. «Non sono per una politica libera da controlli, compreso quella della magistratura» precisa, «ma per un forte rispetto dei diversi ruoli». Riconosciuta «l'elevata professionalità e laboriosità della grande maggioranza dei giudici», quello che rovina il quadro è «l'idea radicata in alcuni di svolgere un ruolo da vestali del controllo della legalità, che li porta talvolta a utilizzare il processo come uno strumento per raggiungere obiettivi di sistema e non per risolvere i singoli casi, come invece dovrebbe essere, nonché a interpretazioni giuridiche forzate che siano funzionali allo scopo».
Professore, la riforma della giustizia lede l'autonomia dei magistrati come sostiene l'Anm?
«Trovo lunari i toni apocalittici usati per contrastare la riforma. Certo essa può avere aspetti criticabili e comprendo che certe scelte possano non piacere ai magistrati, ma non è coerente protestare contro di essa agitando la Costituzione, perché in essa c'è anche l'articolo 138, che autorizza il Parlamento a modificare la Carta. Il Parlamento è legittimato dal voto e sta agendo correttamente».
Lei quindi propende per la politica?
«Non dubito che essa debba recuperare i suoi spazi rispetto alla magistratura. C'è qualcosa che non torna se, come leggo, l'Anm pensa di reclutare esperti di comunicazione per convincere gli italiani delle proprie ragioni».
C'è il diritto di critica...
«Senza dubbio. Ma un conto è la critica tecnica, un altro è l'assunzione, da parte di un soggetto esponenziale della magistratura, di un ruolo politico diretto, magari in una campagna referendaria. La politica fa molto bene a tenere la barra dritta sul punto».
Lei è a favore della separazione delle carriere, prevista dalla riforma?
«Sì. Sarebbe una misura coerente con la riforma del processo penale in senso accusatorio, che punta ad avere un giudice realmente terzo rispetto alle due parti, il pubblico ministero e l'avvocato difensore».
Oggi non è così?
«Se condividi l'accesso alla professione, la formazione, l'organo disciplinare e quello che sovrintende le carriere... È invece opportuno che giudici e pm appartengano a due organizzazioni burocratiche distinte. Sulle modalità tecniche per realizzare l'obbiettivo si può e si deve discutere. Ma esso è sacrosanto».
Però saranno sempre i Csm, e quindi le correnti politiche dei magistrati, a pilotare le carriere...
«Le correnti hanno perso la loro carica ideale originaria. Si caratterizzavano per accomunare persone che condividevano un certo modello di magistrato e di giurisdizione. Oggi sono diventate strumenti per la gestione delle carriere e del potere negli uffici giudiziari. Per questo, anche se a malincuore, molti magistrati riconoscono che se si è arrivati a prevedere il sorteggio per la composizione dei due Csm, la responsabilità è loro...».
In attesa dello sciopero delle toghe contro la riforma, dobbiamo interpretare la iscrizione del premier e dei suoi ministri nel registro degli indagati per la vicenda Almasri come un segnale politico al governo?
«Non so e spero di no. Quel che non convince è la tesi dell'atto dovuto. Si basa sul fatto che il Procuratore, in base alla legge costituzionale, dovrebbe omettere ogni attività d'indagine e mandare tutto subito al Tribunale dei Ministri».
Non è così?
«Gli esperti di processo penale spiegano che dovrebbe applicarsi comunque l'articolo 335 del codice penale, che consente al pm la valutazione della plausibilità della denuncia. Questo vale per tutti i cittadini. Sarebbe paradossale non valesse per i ministri, con una sorta di discriminazione alla rovescia».
La denuncia dell'avvocato Luigi Li Gotti non era plausibile?
«Si tratta di quindici righe di mail corredate da allegati giornalistici...».
Forse è stato valutato bene il rilievo degli indagati: Meloni, Mantovano, Nordio, Piantedosi...
«Proprio tale rilievo avrebbe richiesto ulteriore ponderazione. Mi è sembrato lunare decidere in poche ore di indagare mezzo governo, senza quella valutazione che sarebbe stata fatta per qualsiasi cittadino».
Lei ritiene che anche le sentenze contro il trasferimento degli immigrati illegali in Albania abbiano valenza politica?
«L'immigrazione illegale è una questione di fondo sempre più importante ovunque. Decidere chi e come può entrare legalmente nel territorio dello Stato è uno degli attributi più essenziali della sovranità e non può che essere una scelta politica. La magistratura intende, correttamente, tutelare i diritti fondamentali degli immigrati, ma li costruisce in funzione op positiva rispetto alle scelte politiche».
Lei che opinione ha in merito?
«Il punto di riferimento equilibrato l'ha indicato la Cassazione. Non può che essere la politica a decidere sulla nozione di Paese di provenienza sicuro. Alla giurisdizione spetta invece valutare caso per caso: pur provenendo da un Paese in generale sicuro, il singolo potrebbe essere stato oggetto in concreto di discriminazioni, e il giudice lo può accertare».
I magistrati hanno fermato tutto in attesa di una pronuncia della Corte Ue...
«Bisogna iniziare a chiarire che non spetta alla Corte Ue decidere le politiche nazionali degli Stati. Mi pare corretta la sentenza della Cassazione, ignorata dalla Corte d'Appello di Roma, che attribuisce ai singoli Stati il potere di indicare quali Paesi siano sicuri e quali no».
Subordinando però al magistrato la valutazione dei singoli casi...
«Bisognerà capire, leggendo il provvedimento, se questa valutazione è stata davvero fatta».
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