Da nazisti a patrioti: la miracolosa conversione del potente movimento Azov secondo la NATO

  • Postato il 11 agosto 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
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di Massimo Reina

Fino a ieri – e quando dico ieri intendo letteralmente fino al 2021 – i grandi media occidentali ci sfornavano servizi allarmati sui nazisti del movimento e del Battaglione Azov. Svastiche tatuate sul petto, simboli delle SS cuciti sulle divise, saluti romani nelle parate militari, culti del Führer, dichiarazioni apertamente razziste contro russi, ebrei, rom e chiunque non fosse “etnicamente ucraino”. Una roba che, a sentirla, faceva venire i brividi anche al più svagato dei lettori di cronaca estera.
BBC, The Guardian, Le Monde, persino Repubblica e Corriere pubblicavano reportage in cui Azov era definito “milizia neonazista integrata nelle forze armate ucraine” e “un pericoloso movimento suprematista bianco”. All’epoca, nessuno – né in Europa, né negli USA – si sarebbe sognato di spacciare questi signori per “paladini della democrazia”.
E non sono quattro gatti spelacchiati messi lì per folklore. Parliamo di intere brigate integrate nell’esercito ucraino e addestrate con soldi e armi dell’Occidente. Un potere militare e politico cresciuto negli anni, ben prima dell’invasione russa, quando a denunciarli non erano i “filoputiniani”, ma l’ONU, Amnesty, Human Rights Watch e persino il Dipartimento di Stato USA. Basta scorrere la timeline degli orrori:
2014: Dal movimento Azov (Azov Movement), che ha ramificazioni ovunque nell’apparato politico, sociale e militare ucraino, nasce il Battaglione Azov, paramilitare volontario guidato dal suprematista bianco Andriy Biletsky, con tatuaggi runici e simbologia nazista. In poche settimane viene integrato nella Guardia Nazionale, spacciato come “difesa contro i separatisti russi”.
2014 – L’OHCHR documenta torture su civili, stupri, saccheggi nel Donbass e atti di crudeltà sadica, come la sospensione per i polsi e le finte esecuzioni. Protagonisti: membri di Azov e di altri battaglioni “volontari”.
2015 – L’ONU segnala pestaggi, baionettate e violenze su detenuti accusati di simpatizzare per i separatisti.
2016 – Emergenza “centri segreti” dell’SBU, dove civili sono spariti per mesi subendo waterboarding, scosse elettriche e minacce di stupro.
2017 – A Mariupol, una donna sequestrata da miliziani Azov viene pestata e costretta a firmare confessioni fittizie.
2018 – Il Parlamento Europeo approva una risoluzione contro la normalizzazione del neonazismo, citando anche le bande legate ad Azov per gli attacchi a minoranze Rom.
 
2019–2021 – Amnesty e HRW denunciano detenzioni arbitrarie e torture da tutte le parti, ma i simboli neonazi restano in bella vista sulle uniformi di certi reparti “regolari”.
Poi, come per magia, febbraio 2022. Putin invade l’Ucraina e improvvisamente, puff, l’acqua santa dell’alleanza atlantica lava via ogni peccato. I nazisti di Azov diventano “patrioti”, “combattenti della libertà”, “eroi di Mariupol”. Le svastiche? Ma no, sono “antichi simboli vichinghi malinterpretati”. I saluti nazisti? “In realtà è un gesto marziale tradizionale”. Il suprematismo bianco? “Una campagna di disinformazione russa”.
Il capolavoro è che questa metamorfosi non è avvenuta in silenzio: è stata imposta. Guai a chiamarli “nazisti” oggi: verresti bollato come agente di Putin, complottista o no-vax (che ormai è l’insulto universale per chi non si allinea). Il mainstream ha riletto la storia in diretta, correggendo le vecchie cronache e spacciando un ribaltamento per “aggiornamento delle fonti”.
Eppure, le immagini restano: uomini armati con teschi hitleriani sulle spalle, stendardi runici, leader che in interviste di pochi anni fa teorizzavano l’eliminazione fisica dei russi dall’Ucraina. Questi non sono fantasmi della propaganda: sono le stesse persone, con le stesse idee, solo che oggi sono utili alla NATO.
La morale? Il nazismo, quando è contro di noi, è il Male Assoluto. Quando è contro chi ci sta antipatico, diventa “nazionalismo”. Non serve un laureato in Storia per capire che si tratta di una truffa semantica, un’operazione di marketing bellico. Ma il bello è che il pubblico occidentale, anestetizzato a colpi di talk show e influencer da salotto, abbocca.
E così, i neonazisti di Azov non hanno dovuto nemmeno sforzarsi di cambiare: ci hanno pensato i nostri media a ridipingerli. Stessa uniforme, stessi simboli, stesse idee, ma didascalia diversa. Nel frattempo, chi osa ricordare le cronache di ieri viene zittito con il solito ritornello: “Ora non è il momento di fare polemica”. Tradotto: fate finta di non vedere.

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