Da Gaza all'Ucraina, la stampa progressista strilla contro Trump qualsiasi cosa dica
- Postato il 24 ottobre 2025
- Esteri
- Di Libero Quotidiano
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Da Gaza all'Ucraina, la stampa progressista strilla contro Trump qualsiasi cosa dica
Basterebbe un solo esempio per mostrare - una volta di più - il pregiudizio e il malanimo dell’EC (Editorialista Collettivo) e della RU (Redazione Unica) contro Donald Trump. Se il Presidente Usa dice no (com’è probabile, anche se il discorso non è ancora chiuso) alla fornitura all’Ucraina di missili Tomahawk (armadi offesa), allora parte il solito coro per denunciare un Trump asservito alla Russia, mediatore sbilanciato, falso amico di Kiev. Se però lo stesso Presidente Usa dice sì (anche qui non ci sono certezze definitive, ma almeno secondo Kiev un primo semaforo verde ci sarebbe stato) alla fornitura all’Ucraina dei preziosi missili Patriot (sistema di difesa aerea), improvvisamente cala un silenzio di tomba. Ed è così tutte le volte. Se un episodio può tornare utile alla narrazione anti-trumpista, allora viene sottolineato e ingigantito; se invece c’è un altro episodio che potrebbe smentirla, allora si fa finta di nulla, non più di due righe in cronaca.
Ora, anche un bambino comprende quanto sia complicata e incerta la tessitura verso una ipotetica fine del conflitto tra russi e ucraini. Ed è certamente vero che da parte di Trump ci siano state oscillazioni, momenti di maggiore disponibilità verso Kiev e altri di prevalente attenzione alle pretese di Mosca. Ciò detto, però, c’è un punto logico che smonta tutta questa costruzione basata sull’ossessione antitrumpista: per quale misteriosa ragione Trump dovrebbe non augurarsi un buon esito della sua stessa mediazione? E ancora: per quale misterioso motivo dovrebbe orientarsi verso un compromesso del tutto sfavorevole agli ucraini? Ricorro appositamente all’armamentario dialettico delle brigate anti-Trump, che amano sottolineare il suo ego extralarge, il suo narcisismo, l’ambizione di essere premiato con il Nobel per la pace.
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Ecco, se tutto questo è vero, Trump sarà il primo ad avere bisogno non di un accordo purchessia, ma di un risultato pubblicamente spendibile, equilibrato, ragionevole. Certo, la perfezione non esiste: la pace è sempre quella “possibile”, mica quella ideale. Ma il Presidente Usa è il primo tifoso di un esito del quale possa essere orgoglioso, non di un pasticcio per il quale debba rimanere imbarazzato. Insisto: perché mai dovrebbe farsi umiliare da Putin in mondovisione, a maggior ragione dopo il deludente esito del vertice di agosto ad Anchorage? Perché mai dovrebbe farsi inseguire dalle recriminazioni degli ucraini, che sarebbero ovviamente rilanciate dai media di tutto il mondo?
La realtà è che Trump - facciamo scoppiare qualche altro fegato - sta agendo in modo razionale. Il suo accordo con Zelensky sulla collaborazione nello sfruttamento delle terre rare è un buon affare per gli Usa, ma anche la garanzia di un futuro e duraturo impegno americano per la sicurezza del territorio ucraino dopo la fine della guerra. Ancora: la disponibilità di Kiev a “fotografare” la situazione esistente, quindi rinunciando all’impossibile recupero delle porzioni di territorio perdute, è un’eccellente modo di mostrarsi pronti a un negoziato serio. Ovvio che in cambio Kiev abbia pienamente diritto a vere garanzie di sicurezza (la migliore proposta resta quella di Giorgia Meloni: garanzie simil-NATO senza entrare nella NATO).
A questo punto sta a Mosca compiere un atto di razionalità. Trump offre a Putin di non essere più un “paria” internazionale, e gli propone (Anchorage serviva a questo) un’intesa a tutto campo: Medio Oriente, nucleare, energia, posizionamento geostrategico. Sarebbe un grave errore se il Cremlino, rifiutando un’intesa ragionevole con l’Ucraina, dicesse anche no a questa disponibilità complessiva di Trump.
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Il quale Trump, coadiuvato da Marco Rubio (che ha scelto lui come Segretario di Stato: non risulta siano stati i nostri commentatori europei a indicarlo per quell’incarico), vuole certamente un’intesa, ma non ha nessuna intenzione di consentire a Mosca di alzare l’asticella a livelli intollerabili. Va spiegato così il momentaneo stop alla convocazione del vertice di Budapest, e la (almeno pubblica) pausa nel dialogo tra Rubio e il suo omologo russo Lavrov. Non dispiaccia agli anti-trumpisti professionali: Trump vuole una tregua e poi una pace, ma non svendendo Kiev come loro temono. O forse come sperano, per continuare a lapidare la Bestia Nera di Washington.
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