Da frutta e verdura all’elettronica, così i dazi di Trump faranno salire i prezzi per i consumatori Usa. “Per le auto rincari fino a 12mila dollari”

  • Postato il 4 marzo 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Saranno i consumatori statunitensi a pagare lo scotto dei dazi con cui il presidente Usa Donald Trump vuol “punire” Messico, Canada e Cina per l’export negli Usa del fentanyl o delle sue componenti chimiche e l’immigrazione clandestina. Il meccanismo è semplice: le tariffe sono l’equivalente di una tassa sui beni importati, ma le aziende produttrici tendono a pagarne solo una parte e scaricare il resto sull’acquirente sotto forma di prezzi più alti. Per questa via la guerra commerciale avviata dal tycoon rischia di riaccendere l’inflazione, che già a gennaio è aumentata più delle attese (+0,5% sul mese precedente e +3% anno su anno) rendendo più complicate le decisioni della Federal reserve sui futuri tagli dei tassi di interesse auspicati dalla Casa Bianca.

Trump stesso è evidentemente consapevole delle incognite, se un mese fa ha ammesso di aspettarsi “some pain” (“un po’ di dolore) per gli americani pur aggiungendo che “ne varrà la pena” perché è convinto, contro ogni evidenza economica, che con i proventi dei dazi potrà ridurre o eliminare l’imposta sul reddito personale. In queste ore le analisi sui costi per i consumatori si moltiplicano. Il punto di partenza è che l’offensiva commerciale del “secondo Trump”, che al momento comprende anche la rimozione di tutte le esenzioni dai dazi su acciaio e alluminio e dal 2 aprile tariffe sull’import di auto, è ben più pesante rispetto a quella messa in campo durante il suo primo mandato: la Tax Foundation ha calcolato che le tariffe sulle importazioni saliranno al livello più alto da 50 anni e colpiranno beni per un valore di 1.400 miliardi contro i 380 (di cui 350 relativi a beni cinesi) coinvolti tra 2017 e 2021. Di conseguenza, lo tsunami sui prezzi avrà una portata ben diversa. Senza contare l’impatto delle ritorsioni annunciate dai Paesi colpiti sugli esportatori statunitensi.

Per le famiglie maggiori spese di 1.600-2mila euro – Il centro di ricerca Budget Lab della Yale university ha stimato più in generale la perdita economica che ogni famiglia statunitense subirà in conseguenza alle tariffe del 25% su Canada e Messico e del 20% sulla Cina. La conclusione è che le mosse di Trump faranno salire il livello dei prezzi dell’1-1,2%, pari a una maggior spesa di 1.600-2mila dollari per nucleo. I prezzi dell’elettronica aumenterebbero in media del 10%, l’abbigliamento del 7,5%, verdura e frutta importate dai “vicini” del 2,9%, gli alimentari in media dell’1,7%. A soffrire di più saranno le famiglie meno abbienti, perché le tariffe sono una “tassa” fortemente regressiva: ipotizzando una reazione uguale e contraria dei Paesi colpiti, il reddito disponibile di quelle del secondo decile di distribuzione calerà del 2,5% (1.100 dollari), mentre quelle più abbienti lo vedranno scendere solo dello 0,9% (in media 4.700 dollari). Il tasso di crescita del pil ovviamente ne risentirebbe, attestandosi su uno 0,6% in meno rispetto alla situazione senza tariffe.

La sberla all’automotive: rincari fino a 12mila$ – L’automotive sarà colpito pesantemente, perché le componenti di alcune tipologie di veicoli attraversano le frontiere degli Usa da e verso i Paesi vicini diverse volte prima dell’assemblaggio nel prodotto finale. Il Messico, dove si producono ogni anno 3,5 milioni di autovetture, è il più grande paese di origine per le auto vendute dal gruppo Volkswagen negli Usa (44%), mentre Stellantis produce circa il 40% delle auto destinate agli Usa tra Canada e Messico. L’ad di Ford Motor Jim Farley a inizio febbraio aveva avvertito che dazi del 25% su Canada e Messico avrebbero “spazzato via miliardi di profitti” per il comparto e avuto “effetti avversi sul mercato del lavoro” oltre a tradursi in “prezzi più alti per i nostri clienti”. Uno studio della società di consulenza Anderson Economic Group citato dai media Usa arriva a calcolare che i dazi aggiuntivi potrebbero far schizzare il costo di un’auto negli Usa fino a 12.200 dollari nel caso dei veicoli crossover elettrici alimentati a batteria che contengono molte componenti cinesi. Un suv full-size con tre file di sedili rincarerebbe di 9mila dollari, un pick-up di 8mila, un’utilitaria da 25mila dollari di 6.200 dollari.

Le case auto dovranno scegliere se accollarsi l’intero sovra-costo, erodendo i propri margini, o ritoccare all’insù i listini in un mercato che vede le quotazioni delle auto nuove quasi ai massimi storici, con un valore medio di quasi 50mila dollari. Evidente, nella seconda ipotesi, il rischio di un calo delle vendite per i produttori nazionali in favore dell’usato o dell’acquisto di più economiche macchine giapponesi. Peraltro almeno nel breve termine, stando a simulazioni fatte a inizio febbraio da S&P Global Mobility, ci sarà anche un sensibile calo della produzione causato da interruzioni delle catene di fornitura.

L’impatto sui posti di lavoro – La Brookings Institution ha calcolato che nei prossimi 3-5 anni i dazi su Canada e Messico potrebbero causare determinare la perdita di 177mila posti di lavoro solo negli Usa, che salgono a 400mila considerano le risposte colpo su colpo annunciate dai due Paesi. Dove rispettivamente oltre 500mila e oltre 2 milioni di lavoratori potrebbero ritrovarsi a casa. Ciliegina sulla torta, chi manterrà il posto potrebbe veder scendere il proprio salario. Le stime parlano di un -0,5% negli Usa, -4,9% in Canada e -7% in Messico.

L’attesa per le mosse contro la Ue – Ora cresce l’attesa per l’ufficializzazione dei dazi del 25% che Trump ha annunciato a partire da aprile anche nei confronti della Ue. Una guerra commerciale “non conviene a nessuno”, ha detto ieri la premier italiana Giorgia Meloni che spera in un trattamento di favore per il made in Italy. Pessimista Robert Habeck, ministro dell’Economia della Germania, secondo cui “ci incamminiamo consapevolmente verso un conflitto globale dei dazi” che comporta “maggiore instabilità sui mercati, più inflazione, prezzi più alti e minore sicurezza degli investimenti”. Nel caso Trump proceda, “risponderemo uniti e sicuri di noi stessi”, ha aggiunto. Gli strumenti ci sono, ma un’escalation danneggerebbe tutte le parti coinvolte.

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