Da Cutro a Reggio Emilia per aiutare gli ultimi: Maria Diletto si racconta

  • Postato il 4 agosto 2025
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Da Cutro a Reggio Emilia per aiutare gli ultimi: Maria Diletto si racconta

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Intervista a Maria Diletto, il cambio del nome di viale Cutro a Reggio Emilia? «Conoscere prima di giudicare, come faccio con i senzatetto»


CUTRO – «Fa male, sentire dire che vogliono togliere il nome della tua città da un viale, perché non si può fare di tutta l’erba un fascio. Mi hanno premiata come reggiana dell’anno, ma non sono certo l’unica cutrese onesta. Forse bisognerebbe fare come faccio io con i senzatetto. Conosciamo le persone prima di giudicarle». A parlare è Maria Diletto, una volontaria di origini cutresi molto nota a Reggio Emilia, dove da undici anni è un punto di riferimento per l’umanità diseredata e dolente che vive ai margini della società e subisce quotidianamente discriminazioni.

Grazie al suo aiuto, dopo aver attraversato l’inferno, alcuni senzatetto hanno trovato una casa e un lavoro. Ormai per i ragazzi stranieri non accompagnati che assiste è “Sorella Maria”. O “Mamma Maria”. Presidente dell’associazione “La nuova luce”, il suo impegno è riconosciuto dalla società civile e dalle istituzioni emiliane. Non si contano le iniziative da lei realizzate con il sostegno dei “manovali del bene”, come chiama i suoi collaboratori, e della generosità della comunità reggiana che offre donazioni. Dall’armadio solidale, che raccoglie coperte e indumenti, alle case per famiglie in difficoltà che vivevano in strada, ai pranzi per i senzatetto.

RICONOSCIMENTI A REGGIO EMILIA E CUTRO PER MARIA DILETTO

La cutrese-reggiana Diletto, nella città meta dell’esodo di migliaia di calabresi emigrati, è stata premiata tre volte in meno di un anno. Prima come “reggiana dell’anno”, poi come “reggiana per esempio”, infine è stata scelta tra 120 donne che hanno costruito la storia di Reggio Emilia dai tempi di Matilde di Canossa. Il prossimo 9 agosto riceverà un riconoscimento a Cutro, dal Centro studi e ricerche Diego Tajani, in occasione della presentazione del libro di Maurizio Mesoraca su un’eroina del passato dalla voce straordinariamente attuale come Caterina Ganguzza. Raccontare la storia di Maria Diletto ha un senso, oggi, anche alla luce del divisivo dibattito sul cambio del nome del viale Cutro a Reggio Emilia, epicentro di una cosca di ‘ndrangheta che è stata in grado di “colonizzare” una delle aree più produttive del Paese. La filiale al Nord di una super associazione mafiosa con casa madre a Cutro.

Come legge il dibattito sul possibile cambio del nome di viale Cutro a Reggio Emilia?

«Fa male. Mi hanno premiata come reggiana dell’anno, eppure sono cutrese anche io. E non sono certo l’unica cutrese onesta. Grazie al sostegno della comunità reggiana, con la mia associazione siamo riusciti a realizzare tanti progetti per gli ultimi della società. Certo, molti miei compaesani non si sono comportati bene qui, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio. Forse bisognerebbe fare più spesso come faccio io con i senzatetto. Per molti sono persone che non hanno voglia di fare nulla o delinquenti. Ma ho conosciuto tanti bravi ragazzi, che di me hanno una fiducia totale, così come io ce l’ho per loro. Ecco, conosciamo le persone prima di giudicarle».

La comunità cutrese in Emilia non ha mai preso nettamente le distanze dal fenomeno mafioso, le denunce sono poche…

«La mafia prospera grazie all’omertà. Non si denuncia, né in Emilia né in Calabria perché si ha paura di ritorsioni. E questo lo sappiamo tutti. Ma questo non vuol dire che tutti i cutresi sono mafiosi. La popolazione degli emigrati cutresi in Emilia è fatta di tanti onesti lavoratori. Mia figlia è stata impegnata con l’associazione Libera, e conosco tanti giovani cutresi che si impegnano contro le mafie».

Come inizia la storia di Maria Diletto volontaria?

«Lavoro come educatrice in una comunità per stranieri non accompagnati. E faccio volontariato. All’inizio, per circa cinque anni, era un volontariato “fai da te”. Preparavo la pizza per le persone che vivevano in strada. Mi davo da fare con le poche risorse che avevo a disposizione. Facevo il giro alla stazione dove aiutavo molte persone. Poi mi sono resa conto che ero diventata un riferimento. Mi chiamavano “Mamma Maria” o “Sorella Maria”. Nella cultura dei musulmani è radicato un concetto: se tu mi aiuti, anche io devo aiutarti. Così ho fondato l’associazione “La nuova luce”. Grazie al loro aiuto, grazie all’aiuto di altri volontari, “manovali del bene”, e grazie alla grande generosità della città di Reggio Emilia abbiamo aperto sei case in cui accogliamo 22 ragazzi. Alcuni di loro hanno trovato un lavoro a tempo indeterminato. Vengono da ogni parte del mondo, tra loro ci sono tunisini, marocchini, egiziani…».

Come si approccia ai senzatetto di Reggio Emilia?

«Mi addentravo da sola nelle ex Officine reggiane. C’erano più di cento persone che vivevano nel degrado assoluto. Tra loro c’erano vittime e carnefici. Le pattuglie delle forze dell’ordine per entrare là dovevano essere almeno tre o quattro, per motivi di sicurezza. Io ci andavo da sola, di notte. In alcuni di quei padiglioni ho visto ragazzi scaldarsi con bottiglie di plastica che bruciavano dopo averle prelevate dal pattume. Poi sono riusciti a smantellarlo, quel luogo di degrado. Da allora si è creato questo forte legame con i ragazzi. Quando conosci le persone così, nude, senza barriere, ti raccontano anche i dolori fisici che sopportano dopo essersi drogati. A volte si pensa che il senzatetto sia lo spacciatore o il delinquente che non ha voglia di far niente, ma non è così. Ci sono bravi ragazzi che ora lavorano. Mi hanno aiutato con entusiasmo a sistemare le loro case. Il riconoscimento più grande che ho avuto è quando un ragazzo egiziano mi ha detto “questa  è la vera felicità”».

Lei è cattolica, molti di loro sono musulmani. Come si costruisce il dialogo interreligioso e interculturale?

«In otto mesi in stazione abbiamo perso tre ragazzi, per mano dell’uomo. Abbiamo organizzato momenti di ritrovo e di preghiera in cui mi ritrovavo al centro tra l’imam e il parroco. È stato commovente. Se il mondo aprisse il suo sguardo così come facevano, nel loro piccolo, i riferimenti religiosi di due comunità, avremmo vinto contro le ingiustizie. Sì, sono credente. Ma spesso lavoro o faccio volontariato di domenica e non ho tempo per andare in chiesa. Aiutare queste persone, per me, è come pregare. Il mio parroco mi ha detto che pregare con le mani che praticano vale più di mille mani che pregano».

Cosa vuol dire che tra i senzatetto ci sono vittime carnefici?

«Molti di quelli che dormono fuori la notte si coprono la testa perché hanno paura di essere derubati e aggrediti. Questo è il motivo per cui molti ragazzi mi hanno chiesto di custodire per loro i pochi soldi che hanno o i passaporti, che per loro valgono più dei soldi. In particolare, c’è una donna che ho incrociato in strada, una che si è ribellata mentre tentavano di violentarla. L’hanno massacrata di botte ed è finita in ospedale. Quando l’hanno dimessa era di nuovo in strada. La prima notte le ho pagato una camera, non ce la facevo a lasciarla fuori. Poi con l’aiuto della comunità la abbiamo ospitata insieme ad altri stranieri in un B&B. Molti reggiani ci sostengono. A Natale di solito facciamo una raccolta di fondi. Una volta che ci eravamo posti l’obiettivo di raccogliere 3500 euro, ne abbiamo raccolti più di 17mila. Gli aiuti consistono anche in cibo e indumenti. Le Farmacie comunali riunite ci donano medicinali e antidolorifici. Spesso vado in strada a medicare le persone, perché, appunto, molti di loro sono vittime».

Lei è mai stata discriminata a Reggio Emilia in quanto originaria di Cutro?

«Mi sento accolta, accettata. Ma all’inizio mi sono sentita discriminata. È stata dura, quando sono arrivata. Divorziata e con due figli, ho dovuto chiedere le referenze al mio datore di lavoro per poter trovare casa. Eppure era un buco, dormivo nel lettone coi bambini. Per fortuna le referenze erano buone. I reggiani all’inizio sono diffidenti, ma se ti conoscono si fidano. Penso sia così ovunque. E anche io, come fanno tanti musulmani, mi sono sentita in dovere di ricambiare la fiducia del mio datore di lavoro. Ho vinto un concorso come operatrice socio-sanitaria. Ma quando, per problemi alla schiena, non ho potuto fare questo lavoro, mi hanno proposto di lavorare presso la comunità per stranieri non accompagnati perché secondo loro era la persona più adatta. Non avevo problemi a fare i turni di notte con i ragazzi stranieri, diversamente rispetto ad altre emiliane. Non mi sento mai sola fisicamente, anche quando vado ad aiutare le persone che dormono sotto gli alberi o nei casolari abbandonati. Io non sono mai sola».

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