Da Bankitalia, Corte dei Conti e Upb tripla bocciatura della rottamazione 5. Crippa (Lega) attacca solo i magistrati contabili: “Vivono su Marte”
- Postato il 6 novembre 2025
- Speciale Legge Di Bilancio
- Di Il Fatto Quotidiano
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La quinta rottamazione delle cartelle esattoriali, inserita dal governo Meloni nel ddl di Bilancio, incassa una bocciatura senza appello da parte di tutte le istituzioni indipendenti che hanno esaminato la manovra. I rappresentanti di Banca d’Italia, Corte dei conti e Ufficio parlamentare di bilancio, auditi giovedì dalle commissioni Bilancio congiunte di Senato e Camera, hanno concordato nel rilevare che il vizio di continuare a proporre sanatorie, condoni e definizioni agevolate ha indebolito la credibilità del sistema fiscale e rischia di alimentare l’evasione, mentre la riscossione continua ad arrancare. Il vice segretario della Lega Andrea Crippa ha ritenuto di commentare solo le valutazioni della magistratura contabile, finita nel mirino di Matteo Salvini per il giudizio negativo sul Ponte sullo Stretto: “La Corte dei Conti vive su Marte“, ha detto, “non si spiegano altrimenti i rilievi senza senso a una pace fiscale che non solo è necessaria, ma è anche doverosa per ridare ossigeno a milioni di cittadini, imprenditori e professionisti onesti”. Il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Andrea Ostellari, dal canto suo ha tentato di negare che la sanatoria equivalga a un finanziamento dei contribuenti morosi. Il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a margine della propria audizione, si è limitato a garantire che questa rottamazione sarà “l’ultima” e a sostenere che è solo “una sorta di spalmatura” per cui “non pensiamo di perdere gettito”.
“Le sanatorie indeboliscono la percezione di certezza del prelievo”
“L’evasione fiscale danneggia la crescita e produce iniquità, sfavorendo le imprese e i cittadini onesti”, ha ricordato in audizione il vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia, Fabrizio Balassone, prima di ricordare che le rottamazioni varate a partire dal 2016 non hanno in alcun modo aumentato l’efficacia nel recupero di gettito – anzi “i pagamenti effettuati sono stati nell’ordine della metà di quanto dovuto” – finendo al contrario per “indebolire la percezione della certezza del prelievo e l’efficacia complessiva della riscossione”. In altre parole: più si rottama, meno si incassa. La quinta edizione non promette di meglio. Come sempre, a perderci sarà lo Stato: stando alla relazione tecnica della manovra, la nuova sanatoria comporterà una perdita di gettito di 1,5 miliardi nel 2026 e di 0,5 miliardi in media nel biennio successivo.
A perderci è ancora lo Stato
Anche la Corte dei conti, che da anni censura ogni intervento di premio a chi evade, nota che gli introiti attesi dal provvedimento (9 miliardi in un decennio) saranno in base alle previsioni dello stesso governo più che compensati dagli effetti negativi sulla riscossione ordinaria, quantificati in 9,7 miliardi. Poi spinge il giudizio ancora più in là, parlando esplicitamente di “rischio di moral hazard”, azzardo morale. Cioè il comportamento opportunistico di chi sa che non pagherà le conseguenze delle proprie azioni per cui è incentivato a rischiare ad agire in modo scorretto. Nel caso di specie, se un contribuente sa che lo Stato periodicamente “rottama” le cartelle o condona le sanzioni ha tutto l’interesse ad aspettare la prossima sanatoria che gli permetterà di saldare a condizioni più favorevoli. Il risultato, annota per l’ennesima volta la magistratura contabile, è che “l’effetto sul gettito netto a medio-lungo termine può addirittura risultare sfavorevole”. La rottamazione cinque non fa eccezione, per quanto il perimetro sia limitato dall’esclusione di chi non ha dichiarato (particolare che non è quindi “sfuggito” alla Corte, come ipotizzato da Crippa): Mauro Orefice, presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo, ha detto che l’intervento “sconta, comunque, le criticità più volte sottolineate dalla Corte, e, in particolare, la possibilità che la misura possa ridurre la compliance fiscale, il rischio che l’erario possa diventare un ‘finanziatore‘ dei contribuenti morosi, incentivando l’omesso versamento come forma di liquidità, l’incertezza sugli effetti sui saldi di finanza pubblica”.
È un problema (anche) di equità: la misura favorisce chi è stato inadempiente rispetto a chi ha pagato regolarmente. Ma non solo: la Corte evidenzia un ulteriore effetto perverso, di natura economica: “La possibilità di una minore tax compliance può spingere alcune imprese a limitare l’esposizione della propria attività mantenendo una dimensione ridotta. Si riducono, in definitiva, gli incentivi alla crescita”. In sostanza, la serialità delle rottamazioni non solo crea un buco nei conti pubblici ma tende pure a cristallizzare il nanismo imprenditoriale.
“Benefici anche considerevoli non limitati a chi è in difficoltà”
A completare la diagnosi arriva il parere dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Sebbene “la propensione a evadere stia diminuendo”, ha detto la presidente Lilia Cavallari, il fenomeno resta “molto ampio (circa 100 miliardi nel 2022)” e il Ddl Bilancio “interviene solo marginalmente sul fenomeno”. La nuova rottamazione è “un condono limitato all’omesso versamento” e risulta più favorevole delle precedenti “dato che, oltre alla possibilità di estinzione del debito in un’unica rata, viene riconosciuto un allungamento dell’orizzonte temporale di pagamento, che può raggiungere un massimo di cinquantaquattro rate bimestrali”. In teoria, essendo riservata ai contribuenti che hanno dichiarato ma non versato le imposte, si rivolge a persone “le cui irregolarità potrebbero derivare da difficoltà economiche, che conducono all’omissione del versamento delle imposte dichiarate, o da errori nella dichiarazione”. Peccato però che non preveda “alcun meccanismo selettivo” che consenta di limitare il beneficio, “di importi anche considerevoli, solo a coloro in difficoltà economiche, finendo per configurare la misura come uno strumento di sostegno indiscriminato alla liquidità dei contribuenti più che di riscossione coattiva, anche in considerazione dell’allungamento del periodo di rateazione proposto”.
L’Upb ripropone poi un dettagliato riassunto di come sono andate le precedenti rottamazioni, che hanno fatto registrare tassi di decadenza – la quota di contribuenti che dopo aver avuto accesso alla definizione agevolata smette di pagare – fino al 70%. L’edizione del 2016, voluta da Renzi, ha sanato carichi per 28 miliardi con un incasso di 9, a fronte dei 19,7 attesi. La “bis” di Gentiloni, nel 2017, ha chiuso cartelle per 12,9 miliardi: si puntava a ricavarne 9,3, ne sono arrivati 3. La “ter” del governo Conte ha raccolto 8,9 miliardi, meno di un terzo dei 29,4 previsti. L’ultima, targata Meloni, ha visto aderire 3 milioni di debitori con debiti per 81 miliardi: al 31 dicembre 2024 ne erano stati riscossi 12,2 sui 52,8 attesi, anche se il bilancio è ancora provvisorio.
Si tratta di dati ben noti al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che aveva per questo fatto sapere di voler limitare la nuova edizione ai soli “meritevoli” lasciando fuori i recidivi. Il che non è successo. Nel frattempo, l’abnorme magazzino delle cartelle non pagate ha continuato a gonfiarsi, fino a superare i 1.200 miliardi. E l’agente della riscossione ha dovuto fare i conti con un “aggravio di attività” e sottrarre risorse all’ordinaria gestione. Al netto del probabile contrasto tra la nuova rottamazione e la riforma della riscossione messa in cantiere dal governo nell’ambito della delega fiscale, l’Upb conclude ricordando che “una valutazione più completa di questo tipo di interventi dovrebbe considerare anche gli impatti indiretti che aspettative su futuri condoni determinano sulla riduzione dei versamenti per adeguamento spontaneo, della riscossione ordinaria da attività di accertamento e di quella coattiva ordinaria”.
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