Crotone, il Riesame sulla vicenda Chimirri: «Il nonno impedì al nipote di uccidere il poliziotto»

  • Postato il 27 febbraio 2025
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Crotone, il Riesame sulla vicenda Chimirri: «Il nonno impedì al nipote di uccidere il poliziotto»

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I motivi del Riesame che sostituì il carcere con i domiciliari per i Chimirri. «Per fortuna» scongiurato l’omicidio del poliziotto


CROTONE – Il nonno impedì al nipote di uccidere il poliziotto che aveva appena sparato al padre del ragazzo, il pizzaiolo e tiktoker Francesco Chimirri, morto nel Far West dell’ottobre scorso nel quartiere Lampanaro. Il Tribunale del riesame di Catanzaro rileva che fu scongiurato, «per pura fortuna», un secondo omicidio. Lo si ricava dalle motivazioni (appena depositate) del provvedimento con cui vennero sostituite le misure in carcere con gli arresti domiciliari per il 19enne Domenico Chimirri, figlio della vittima, per suo nonno Domenico Chimirri, di 68 anni, e i fratelli della vittima, Antonio (42) e Mario (47) Chimirri. I giudici hanno riqualificato in lesioni gravissime il reato di tentato omicidio aggravato nei confronti dell’ispettore Giuseppe Sortino per quanto riguarda la fase precedente allo sparo.

Ma l’accusa di tentato omicidio, che era stata ipotizzata per tutti gli indagati dal pm Alessandro Rho e dalla gip Elisa Marchetto, continua a reggere per Domenico Chimirri classe 2006 e suo zio Antonio in relazione al secondo capo d’imputazione.

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STATO D’IRA

Il Riesame ritiene che il giovane, «agendo in stato d’ira e provocazione in conseguenza della morte del padre per mano di Sortino, abbia coscientemente e volontariamente colpito con calci violenti il corpo ed il volto del poliziotto disarmato e riverso in terra in stato confusionale». Quindi, avrebbe impugnato l’arma d’ordinanza «già carica e in perfette condizioni di utilizzo indirizzandola verso il poliziotto nella piena consapevolezza di cagionarne la morte, azione scongiurata dal pronto intervento del nonno».

Era l’arma, caduta a terra, con cui il poliziotto aveva sparato al padre del ragazzo durante la colluttazione scatenatasi dopo una serie di manovre spericolate che l’agente aveva notato lungo la strada statale 106 tanto da pedinare padre e figlio fino a Lampanaro. Dalle immagini estrapolate dalla videosorveglianza e dai video divenuti virali sui social si vede «chiaramente», scrive il Riesame, che il ragazzo impugna l’arma abbandonata da Sortino per tentare di sparargli.

«Congiuntamente», agendo sempre «in stato d’ira e provocazione», alla seconda fase dell’aggressione avrebbe partecipato suo zio Antonio anche saltando con un calcio sulla testa della vittima. Il Riesame descrive nei dettagli, sulla scorta della ricostruzione fatta dai carabinieri, un’azione che si protrae per due «interminabili» minuti e che «con alta probabilità avrebbe causato il decesso di Sortino». Su questo gruppo di contestazioni non hanno trovato spazio gli argomenti della difesa, composta dagli avvocasti Andrea Filici e Tiziano Saporito, circa una più tenue qualificazione giuridica.

Proprio perché si tratta di «condotte esplicative di una volontà omicidiaria». La gravità indiziaria sussiste ma le esigenze cautelari secondo i giudici possono essere soddisfatte con i domiciliari grazie alle condotte tenute in passato.

BRUTALE AGGRESSIONE

La «brutale e immotivata aggressione» al poliziotto non viene messa in dubbio neanche per quanto riguarda la prima fase del raid. Ma le condotte contestate al ragazzo non appaiono «rivelatrici della oggettiva idoneità a realizzare l’evento mortale», come evidenziava anche la difesa. L’unico calcio sferrato dal ragazzo va a vuoto e i colpi sferrati al pubblico ufficiale sono stati inflitti con le mani.

I calci violenti sono stati inferti da tutti gli indagati nella seconda fase dell’aggressione, osservano ancora i giudici, nonostante una testimonianza, discorde rispetto alle immagini, secondo cui il ragazzo avrebbe tentato di “dividere” suo padre e il poliziotto. Ma da altre testimonianze non emerge una condotta caratterizzata dalla volontà di uccidere e i colpi erano dovuti alla «concitazione del momento». Ecco perché la prima fase viene derubricata da tentato omicidio a lesioni gravissime.

L’ANTEFATTO

La vicenda scaturisce dalle manovre pericolose lungo la strada statale 106 notate dal poliziotto che, residente in Sicilia, stava rientrando a Crotone per prendere servizio in Questura. A bordo della sua auto Peugeot “208”, il poliziotto viene sorpassato nel suo tragitto dalla Dacia “Duster” di Francesco Chimirri, che viaggia col figlio. È lunedì, e la sua avviata pizzeria a Isola Capo Rizzuto, dove la vittima risiedeva con moglie e quattro figli, è chiusa. L’uomo è diretto nel quartiere Lampanaro di Crotone dove vivono il padre e i fratelli.

Chimirri, procedendo a zig-zag ad alta velocità, urta contro due vetture, tra cui la Citroen “Xara Picasso” di Bruno Luchetta (che sarà poi denunciato per favoreggiamento per dichiarazioni ritenute mendaci). La Dacia prosegue senza fermarsi dopo essersi inserita tra due veicoli e provocando la rottura di tre specchietti che cadono in frammenti sulla strada. Il poliziotto decide di pedinare l’auto di Chimirri fino a Lampanaro. Qui, si scatena il Far West.

LA VERSIONE DELL’AGENTE

Secondo la versione del poliziotto, il colpo sarebbe partito accidentalmente durante la «brutale, reiterata e ingiustificata aggressione» da parte di padre e figlio. Il poliziotto, contro cui si accanirono poi anche il nonno e due fratelli della vittima, resta indagato a piede libero per omicidio in attesa dell’esito degli accertamenti balistici a cura del Ris di Messina.

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