Crotone, i Chimirri patteggiano per il tentato omicidio del poliziotto

  • Postato il 13 maggio 2025
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Crotone, i Chimirri patteggiano per il tentato omicidio del poliziotto

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Patteggiano i quattro componenti della famiglia Chimirri imputati del tentato omicidio dell’agente Sortino avvenuto a Crotone


CROTONE – Patteggiano la pena i quattro imputati per il tentato omicidio del vice ispettore della polizia di Stato Giuseppe Sortino e per le lesioni gravissime nei suoi confronti. L’agente, lo scorso 7 ottobre, uccise il pizzaiolo e tiktoker Francesco Chimirri ma, almeno questa è la tesi della Procura, fu legittima difesa, mentre subiva una violenta aggressione nel quartiere Lampanaro. La gup del Tribunale di Crotone Assunta Palumbo ha disposto 4 anni di detenzione domiciliare per il figlio della vittima, Domenico Chimirri, di 19 anni.

TENTATO OMICIDIO SORTINO, I CHIMIRRI PATTEGGIANO

Due anni, col beneficio della sospensione condizionale, è la pena per il padre della vittima, Domenico Chimirri, di 70 anni. Tre anni e due mesi sono stati inflitti al fratello della vittima, Antonio (42), sottoposto all’obbligo di dimora in provincia di Crotone. Infine, 1 anno e 4 mesi per l’altro fratello della vittima, Mario Chimirri (47). Anche a lui è stata concessa la sospensione condizionale. Revocati, dunque, gli arresti domiciliari ai quattro imputati. Accolta la richiesta dei difensori, gli avvocati Andrea Filici e Tiziano Saporito.

Nel corso dell’udienza preliminare, la difesa ha anche avanzato eccezioni sulle costituzioni di parte civile del Comune di Crotone e del ministero dell’Interno. Ma le istituzioni sono state ammesse nel processo. Nessuna eccezione sulla costituzione di Sortino. ammessa. Prosegue a giugno l’udienza camerale sulla richiesta di archiviazione per il poliziotto alla quale si sono opposti i difensori della famiglia Chimirri. Le accuse per i Chimirri sono di tentato omicidio e lesioni gravissime. Accuse aggravate dal fatto che Sortino era un pubblico ufficiale intento a un controllo di polizia in seguito alla “scriteriata condotta di guida” tenuta dalla vittima.

L’ANTEFATTO

Come si ricorderà, la vicenda scaturisce dalle manovre pericolose lungo la strada statale 106 notate dal poliziotto che, residente in Sicilia, stava rientrando a Crotone per prendere servizio in Questura. A bordo della sua auto Peugeot “208”, il poliziotto viene sorpassato nel suo tragitto dalla Dacia “Duster” di Francesco Chimirri, che viaggia col figlio. È lunedì, e la sua avviata pizzeria a Isola Capo Rizzuto, dove la vittima risiedeva con moglie e quattro figli, è chiusa.

L’uomo è diretto nel quartiere Lampanaro di Crotone dove vivono il padre e i fratelli. Chimirri, procedendo a zig-zag ad alta velocità, urta contro due vetture, tra cui la Citroen “Xara Picasso” di Bruno Luchetta (che sarà poi denunciato per favoreggiamento per dichiarazioni ritenute mendaci). La Dacia prosegue senza fermarsi dopo essersi inserita tra due veicoli e provocando la rottura di tre specchietti che cadono in frammenti sulla strada. Il poliziotto decide di pedinare l’auto di Chimirri fino a Lampanaro.

LE MOTIVAZIONI

La giudice motiva la decisione ritenendo corretta la formulazione dei capi di imputazione e congrue le pene. Nipote e nonno avrebbero compiuto «atti idonei diretti in modo non equivoco» a causare la morte di Sortino che, «sopraffatto dagli aggressori faceva fuoco con l’arma di servizio, ferendo mortalmente Francesco Chimirri, e determinando il temporaneo allontanamento degli altri aggressori». Reggono anche le aggravanti per “motivi abietti o futili” e “per aver agito ai danni di un pubblico ufficiale nell’atto o a causa delle sue funzioni”.

LEGGI ANCHE: Caso Chimirri a Crotone, chiesta l’archiviazione per il poliziotto: per il pm fu legittima difesa – Il Quotidiano del Sud

L’accusa di tentato omicidio regge per «la frequenza e l’intensità dei colpi, diretti prevalentemente contro la testa della vittima». Domenico Chimirri junior e suo zio Antonio erano, invece, accusati di tentato omicidio in relazione alla seconda fase dell’aggressione, quella successiva allo sparo. La giudice rileva che il nonno “ferma” il nipote il quale aveva impugnato l’arma abbandonata dal poliziotto finito a terra. Per tutti reggono anche le accuse di lesioni e quelle di armi, compresa la sottrazione dello sfollagente al poliziotto.

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