Crisi Iran – Israele, il prezzo dei carburanti rischia di “esplodere”

  • Postato il 19 giugno 2025
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  • Di Virgilio.it
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La situazione del Medio Oriente spaventa, il conflitto fra Iran e Israele finora ha vissuto di escalation drammatiche a colpi di missili, anche se la speranza è che tutto possa fermarsi il prima possibile. La lunga scia di problemi innescati da questa tremenda frattura si ripercuote anche in Occidente e, più precisamente, con il rincaro dei prezzi del carburante. Per notare un certo cambiamento è sufficienti recarsi alle nostre pompe di benzina e osservare come oscillano le cifre di giorno in giorno. Intanto, c’è chi suona l’allarme e urla la parola “speculazione”.

Il petrolio è un danno collaterale

Poche ore dopo l’inizio del conflitto, la parola d’ordine era già “rincaro” su tutta la linea. Il Codacons, tra i primi a intervenire, aveva avvertito con toni netti: “Dopo l’attacco, il petrolio è volato a 74 dollari al barile, +8% in 24 ore”. Il timore? Che la discesa dei carburanti delle ultime settimane potesse trasformarsi in un boomerang estivo. Con la differenza — sottolineano i consumatori — che la benzina di oggi è stata pagata mesi fa, a prezzi ben più bassi. Eppure, come spesso accade, la logica del mercato non guarda indietro. Osserva la tensione e la trasforma in margini.

Segnali dal distributore

Il 16 giugno il timore si è fatto numero. Il Brent, riferimento europeo del greggio, ha toccato i 75 dollari al barile, per poi ondeggiare sotto quota 73 nel giro di qualche ora. Un’oscillazione che parla da sola: il mercato non è preda del panico, ma dell’attesa. Intanto, in Italia, la risposta alla pompa è già arrivata:

  • Benzina self a 1,706 €/l, in salita dai 1,704 del giorno prima;
  • Diesel a 1,604 €/l, con un balzo di tre centesimi.

Sono variazioni minime, si dirà. Ma nel linguaggio del greggio, tre centesimi oggi possono essere trenta domani, se a mancare sono certezze, non solo barili.

Lo spettro di Hormuz

C’è un punto preciso del pianeta che oggi fa tremare le Borse: lo Stretto di Hormuz. Largo 39 km, collega il Golfo Persico al resto del mondo. Ogni giorno lo attraversano 20 milioni di barili, un quinto del fabbisogno mondiale. Se il conflitto Israele – Iran dovesse degenerare, chiudere Hormuz sarebbe come chiudere il rubinetto di un’intera economia globale. E le stime diventano brividi:

  • 80 $ al barile in caso di crisi contenuta;
  • 120 $ secondo scenari intermedi;
  • 200–300 $ al barile, l’ipotesi più estrema, evocata dal ministro degli Esteri iracheno Fuad Hussein.

L’Iran produce circa il 4% del petrolio mondiale e detiene il 9% delle riserve globali. Ma attorno a Teheran si muove un’intera galassia energetica: Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi e Qatar. In un’area così cruciale, ogni missile vale un barile, ogni trattativa vale uno sconto. Per ora, i segnali sono contrastanti. Le ultime voci parlano di un possibile disgelo tra Teheran e Washington, con il ritorno al tavolo del nucleare. Un equilibrio fragile come una pipeline in tensione.

Speculazione e trasparenza: il ruolo del Governo

Il Codacons ha lanciato un appello diretto all’esecutivo italiano: monitorare i prezzi, attivare controlli, evitare rincari ingiustificati. Perché, se è vero che la guerra altera i mercati, è altrettanto vero che la speculazione può farlo con più velocità e meno giustificazioni.

Nel mirino: la discrepanza temporale tra l’acquisto del carburante e il suo prezzo alla pompa, spesso ritoccato “in tempo reale”, ben prima che il nuovo greggio venga raffinato e distribuito. Questa non è solo una guerra di droni e radar. È anche una guerra di cifre, di contratti, di distributori, che tocca ogni automobilista al primo rifornimento. La benzina, in fondo, è il termometro emotivo di un Paese. E ogni centesimo racconta una tensione più grande.

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Virgilio.it

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