Crisi idrica in Basilicata: Camastra, meglio il “rischio” che la sete. Lo studio

  • Postato il 20 settembre 2025
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Crisi idrica in Basilicata: Camastra, meglio il “rischio” che la sete. Lo studio

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Lo studio dell’ingegner Faggella mostra l’errore nella riduzione dell’invaso Camastra e la Basilicata in ginocchio per la crisi idrica


Meglio un remoto timore di terremoto o la concreta angoscia di restare senz’acqua? La domanda, pungente e immediata, e dalla risposta evidente, riassume il vulnus che ha messo in ginocchio la Basilicata nell’inverno scorso: ventinove comuni con rubinetti asciutti per molte ore al giorno e circa 140.000 persone coinvolte. Alla radice non c’è soltanto la siccità: c’è una diga che, per rispondere a prescrizioni di sicurezza, è stata tenuta deliberatamente bassa, al punto da svuotare parte del suo ruolo vitale per la collettività. A ricostruire questo paradosso è lo studio dell’ingegner Marco Faggella, lucano, ricercatore affiliato in Portogallo all’Università di Porto (insieme ad Andre Ramos Barbosa, della Oregon State University) che pone la vicenda di Camastra all’intersezione tra normativa sismica, gestione idraulica e amministrazione della cosa pubblica.

Faggella ha pubblicato la ricerca sulla rivista scientifica dell’Asce (l’American Society of Civil Engineers al link https://ascelibrary.org/doi/10.1061/AOMJAH.AOENG-0072) e ne ha discusso con la comunità scientifica al XX Convegno di ingegneria sismica Anidis di Assisi. Si è parlato delle Nuove norme sismiche per il calcolo strutturale del 2018 a cui, commenta il professionista, «è toccato il ruolo ingrato di “detonatore” finale della crisi idrica del 2024. Ma era anche la piattaforma scientifica su cui poter prevedere, di lì a 5 anni, le probabilità di accadimento degli scenari multirischio in gioco e l’affidabilità dell’erogazione idrica con volumi così ridotti».

VUOTA PER DECRETO

La Camastra, il principale invaso per la rete idrica di Potenza e provincia, ha una capacità nominale dell’ordine di decine di milioni di metri cubi: secondo lo studio, il bacino poteva raggiungere circa 33 milioni di metri cubi. Per adeguamenti e verifiche sismiche, tuttavia, dal marzo 2019 l’Ufficio tecnico Dighe del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti a Napoli ha imposto un livello massimo di invaso fissato a 524,6 metri sul livello del mare, cioè circa 4 metri sotto la quota operativa consueta; ne è conseguita una capacità utile ridotta a circa 9 milioni di m³: meno di un terzo del potenziale originario.

Il risultato è plastico: un invaso pendente tra la necessità di sicurezza strutturale e il bisogno immediato di acqua per usi domestici, agricoli e industriali.
Questo abbassamento non è stato un gesto avventato ma l’applicazione di norme e circolari successive all’Ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri 3274 (2004) e alle Ntd/Ntc (Norme tecniche per le costruzioni e Nuova normativa tecnica dighe italiana) di questi anni. Nondimeno la decisione operativa, calibrata su orizzonti temporali lunghi e conservativi, ha prodotto effetti dirompenti quando la disponibilità idrica si è ristretta. Il taglio di capacità ha trasformato la diga da riserva strategica a limite operativo, con ricadute immediate sulla vita quotidiana dei cittadini.

IL PARADOSSO DEI RISCHI

La cifra che emerge di più dallo studio è il confronto tra probabilità e impatto: la probabilità stimata di una perdita totale di invaso (ossia di trovarsi senza volume utile sufficiente per far fronte alla domanda) è valutata attorno al 20% nel periodo di osservazione di un anno (in termini operativi, un evento con cadenza stimata di una volta ogni cinque anni) e che superano il 50-60% se si va verso i 5 anni. Al contrario, gli scenari sismici in grado di provocare danni rilevanti alla struttura presentano frequenze molto inferiori: l’autore quantifica la probabilità di tali scenari nell’ordine del 1% sul singolo anno, e di 5% sui 5-10 anni, per cui il rischio concreto nel breve termine rimane molto più basso.

Ne deriva che il rischio idrico, certo e ricorrente, ha finito per sovrastare – in termini di probabilità e impatto reale sulla popolazione – il rischio sismico temuto.
Faggella definisce questo fenomeno come il “paradosso della diga di Camastra”: la scelta di mitigare un rischio remoto (un cedimento sismico catastrofico, per quanto inaccettabile) ha aumentato sensibilmente l’esposizione a un rischio certo, misurabile e ricorrente, ossia la scarsità di acqua.

SICUREZZA CONTRO SICUREZZA

Non è un’accusa alla prudenza, bensì una critica al modo in cui la prudenza è stata applicata: le norme sismiche mirano a proteggere vite e infrastrutture su cicli di progetto dell’ordine dei cent’anni, ma le scelte operative devono misurarsi anche con orizzonti più brevi – cinque o dieci anni – in cui si manifestano siccità e crisi idriche. Lo studio evidenzia come un approccio monodimensionale alla sicurezza, che privilegia esclusivamente lo Stato Limite Sismico, possa diventare controproducente quando non viene integrato in una valutazione multirischio che includa impatti sociali, agricoli ed economici.

Faggella sottolinea inoltre che, a parità di rischio accettabile (un valore del 5% alla vita utile della struttura, analogo a quello adottato per nuove costruzioni su 100 anni), sarebbe stato possibile pianificare e accelerare interventi di manutenzione e rinforzo su scale temporali di 5–10 anni, invece di preferire una riduzione drastica e prolungata dell’invaso.

MISURE, NUMERI, ALTERNATIVE

Lo studio non si limita al giudizio: espone scenari pratici. L’innalzamento temporaneo della quota di invaso di 2 metri realizzato a gennaio 2025 ha restituito al bacino circa 2 milioni di metri cubi; interventi di riqualificazione sismica appaltati nel giugno 2025 prospettano un ulteriore innalzamento di 2 metri con un guadagno stimato di 3 milioni di metri cubi. Sono progressi tangibili, ma non cancellano la necessità di una strategia più ampia: diversificazione delle fonti idriche, riduzione delle perdite di rete, potenziamento dei serbatoi locali, strategie di ricarica artificiale dove possibile, e soprattutto piani di intervento che armonizzino sicurezza sismica e continuità di approvvigionamento.

ADATTARSI

Dal caso Camastra emerge dunque l’urgenza di quella definita nello studio “governance adattiva”. Con questa espressione gli studiosi indicano una gestione dinamica, che sappia modulare le regole in base al rischio più urgente e probabile, invece di fissarsi su un unico parametro. In altre parole, una forma di governo delle dighe che non guarda solo a un singolo pericolo, ma valuta contemporaneamente scenari diversi – sismici, idrici, climatici – e modifica le sue scelte a seconda della situazione.

Non bastano norme rigide applicate meccanicamente; servono processi decisionali che pesino probabilità e impatti, che tengano conto delle incertezze climatiche e della distribuzione sociale dei danni. Faggella richiama l’attenzione sul fatto che l’avversione al rischio, se estrema e cieca, può trasformare la prevenzione in una fonte di crisi. Meglio, sostiene lo studio, procedere con interventi mirati e calendarizzati che riducano il rischio sismico nel medio termine piuttosto che impoverire sistematicamente la risorsa idrica della popolazione.

LA LEZIONE

La vicenda della Camastra è un monito: la gestione delle infrastrutture critiche non è un esercizio tecnico neutro, ma una scelta politica e sociale. Proteggere le strutture è doveroso; proteggere le persone – garantendo l’accesso all’acqua – è imperativo. Occorre equilibrio fra prudenza e pragmatismo, tra standard di sicurezza a lungo termine e responsabilità verso il presente. Meglio affrontare con decisione la manutenzione e la riqualificazione sismica in cinque o dieci anni, piuttosto che condannare intere comunità a bere il conto della paura.

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