Criminalizzare i carabinieri dopo la morte di Ramy è una deriva pericolosa

  • Postato il 10 gennaio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Criminalizzare i carabinieri dopo la morte di Ramy è una deriva pericolosa

Lo abbiamo scritto ieri e lo ribadiamo oggi, a scanso di qualsiasi equivoco: una democrazia occidentale non teme un doveroso accertamento della verità sull'operato delle sue forze di polizia. Di più: non teme nemmeno l'ipotesi che possano esserci stati errori o condotte antigiuridiche, o anche soltanto inopportune, decrescendo nella scala della gravità.

È invece da considerare sbagliata – anzi: nefasta – la campagna di criminalizzazione preventiva che è in atto verso i carabinieri sotto accusa per l'ormai noto inseguimento a Milano, l'episodio che poi ha generato la morte del giovane Ramy. Tutti (politica, media, magistratura) avrebbero il dovere di tenere ben presente un punto: se si trasmette l'idea che carabinieri e poliziotti possano finire nei guai fino al collo, con accuse pesantissime fino all'omicidio volontario e tali da offuscare l'origine di tutta la vicenda (il fatto che due persone in scooter abbiano rifiutato di fermarsi a un posto di blocco, come invece avrebbero dovuto), l'unico risultato immediato sarà quello di demotivare le nostre forze dell'ordine e indurre ogni singolo agente – istintivamente – a fare il minimo del minimo, a voltarsi dall'altra parte, a non assumersi rischi destinati a ricadere solo sulle sue spalle. È questo che vogliamo? Siamo sicuri che sia saggio, proprio nel momento in cui la domanda di sicurezza da parte dei cittadini è massima? E ancora: è stata una buona idea offrire – con uno sguaiato processo politico e mediatico già in pieno corso – i nostri carabinieri come bersagli del ribellismo dei centri sociali? La nostra risposta è un secco no. Stiamo bene attenti, perché rischiamo di ottenere – per via giudiziaria – lo stesso risultato devastante che i democratici americani hanno prodotto attraverso la disgraziata campagna “defund the police”.

Si chiamava così il movimento patrocinato dall'ala sinistra della politica Usa (democratici molto radicalizzati, con amplissimo sostegno mediatico): cioè, alla lettera, definanziare la polizia, spostare risorse destinate alle forze dell'ordine e indirizzarle altrove. La reale intenzione (che vedremo tra poco) era solo malamente celata da un po' di fuffa sociologica, e cioè dalla richiesta di interventi di welfare, di assistenza, attinenti alla scuola e all'educazione, più una spolverata di “inclusion” e “diversity”. Come dire: per costruire sicurezza nei quartieri e nei territori servono in primo luogo interventi “sociali”. Balle: dietro questa foglia di fico, c'era un'ostilità di fondo nei confronti delle forze dell'ordine, invariabilmente descritte come orientate alla repressione, alla brutalità, alla violenza. L'innesco fu offerto, nel maggio 2020, dalla vicenda – effettivamente orribile – di George Floyd, l'afroamericano morto a Minneapolis, nel Minnesota, a seguito dell'azione di quattro agenti che lo picchiarono e lo soffocarono. Un caso autentico di “police brutality”, quello. Ma non meno brutale fu la sequenza di manifestazioni targate “Black lives matter”, con la vera e propria messa a ferro e fuoco di numerose città americane. Fu impressionante il senso di colpa dell'America bianca e moderata, che dedicò il suo tempo a scusarsi anche per colpe non commesse. E non meno sensazionale fu il sostegno mediatico a manifestazioni che si facevano via via più violente.

Sta di fatto che per due-tre anni le campagne di delegittimazione (più ancora che di materiale definanziamento) della polizia sono proseguite ottenendo non di rado anche provvedimenti in tal senso da parte di molte rilevanti città e singoli stati americani. Risultato? Un'autentica esplosione del crimine. Proprio a Minneapolis, ad esempio, nell'anno successivo alla morte di Floyd, si è registrato un aumento del 66% dei principali reati (omicidi, rapine, stupri, aggressioni), in coincidenza con la scelta “prudenziale” delle forze dell'ordine di essere meno presenti e meno attive nei quartieri ritenuti più caldi. E sta di fatto che in una ventina tra le principali città americane il trend è stato del medesimo tipo: impennata del numero di reati, sparatorie continue, quartieri trasformati in terra di nessuno, commercianti terrorizzati, proprietà private vandalizzate, e così via. Naturalmente – come gli apprendisti stregoni non avevano saputo prevedere – tutto ciò ha esacerbato la parte maggioritaria dell'opinione pubblica statunitense, e almeno dal 2022 in poi il tema della sicurezza è ridiventato cruciale negli Usa.

E si può ben dire che, se Trump ha stravinto a fine 2024, proprio la sicurezza (e l'immigrazione) sono stati due dei cavalli di battaglia su cui ha potuto contare in una corsa che si è rivelata inarrestabile. Sarebbe il caso che anche la nostra sinistra riflettesse su questa deriva. E' intelligente, davanti a forze dell'ordine italiane note per essere tra le più garantiste e prudenti al mondo, scatenare una campagna indiscriminata di colpevolizzazione? E' lungimirante farlo in un periodo in cui ci sono manifestazioni a go-go, non tutte pacifiche né facili da gestire? Quanto alla destra, farà bene a non lasciarsi intimidire. E' giusto, anzi sacrosanto verificare che – nell'una o nell'altra circostanza – alcuni agenti non abbiano esagerato. Ma i cittadini chiedono sicurezza, e sarebbe paradossale mettere sotto pressione polizia e carabinieri, di fatto accettandone la delegittimazione, e contribuendo a far aumentare una già inquietante tendenza al disordine e all'insicurezza nelle nostre città.

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Libero Quotidiano

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