Così il G7 Salute si occuperà di antimicrobico resistenza. Parla Guido Rasi

L’antimicrobico resistenza rappresenta una grave minaccia globale per la salute pubblica e l’economia, con conseguenze assimilabili a quelle del cambiamento climatico o a malattie infettive come l’ebola e l’Hiv. Nel 2019, l’Amr ha causato circa 1,3 milioni di decessi a livello globale, superando di 2,4 volte quelli legati a tubercolosi, influenza e Aids. Nella sola Unione europea, i decessi da Amr variano tra 33mila e 35mila, con una maggiore incidenza nelle zone meridionali e orientali, e in particolare in Paesi come Italia, Grecia e Romania. In Italia, si stima che i decessi siano tra  gli 8mila e gli 11mila, rappresentando circa un terzo di tutti i decessi per Amr nell’Ue.

Anche l’impatto economico è notevole: negli Usa, i costi sanitari legati a infezioni resistenti superano i 4,6 miliardi di dollari annui, mentre in Canada potrebbero raggiungere cifre tra 13 e 21 miliardi di dollari canadesi entro il 2050. L’Ue spende circa 1,5 miliardi di euro l’anno in costi sanitari e produttività persa. I pazienti con infezioni resistenti richiedono cure più intense e degenze ospedaliere prolungate.

Oggi la ricerca di nuovi antibiotici è rallentata a causa dei costi elevati e dei bassi ritorni economici, con un costo medio di 1,7 miliardi di dollari per sviluppo e ricavi di soli 240 milioni nei primi otto anni. Per contrastare l’Amr, sarebbe essenziale incentivare lo sviluppo di antibiotici attraverso nuovi modelli di finanziamento. In Italia, il ministero della Salute e il Mef stanno valutando soluzioni per essere inserite nella prossima legge di bilancio. Per capire quali, abbiamo intervistato Guido Rasi, consulente del ministro della Salute e professore di Microbiologia presso l’Università di Roma Tor Vergata, nonché già direttore dell’Ema.

Considerando l’aumento dei ceppi batterici multiresistenti, quanto è cruciale sviluppare nuovi antibiotici per gestire queste infezioni?

È fondamentale perché l’antibiotico resistenza avviene in maniera naturale. Usando gli antibiotici inappropriatamente, come abbiamo fatto per anni, la velocità con cui si instaurano le resistenze aumenta. L’unica possibilità, oltre a usare meglio le armi che abbiamo, è quella di averne di nuove; quindi è fondamentale non solo investire in ricerca, ma anche fornire una serie di incentivi alla ricerca stessa.

Sappiamo che gli antibiotici possono essere catalogati come Access, Watch e Reserve. Cosa differenzia questi ultimi e perché sono strategici?

Gli antibiotici Reserve sono particolarmente efficaci contro i ceppi resistenti. Poiché sono pochi e le prospettive di svilupparne di nuovi sono purtroppo estremamente limitate, è essenziale tutelarli. Pertanto, devono essere riservati esclusivamente per infezioni critiche e non devono essere usati in modo indiscriminato, per evitare un aumento accelerato della resistenza.

Quanto tempo ci vuole per sviluppare un nuovo antibiotico e quanti superano la fase preclinica?

Quelli che superano la fase preclinica ci sono, il vero problema è che pochi arrivano alle pipeline perché mancano gli investimenti. Oggi come oggi ci aspettiamo, nei prossimi 2-3 anni, al massimo 2-3 antibiotici nuovi – e forse avremo la fortuna di catalogarli come Reserve. Ma è un numero troppo esiguo.

I costi – aggiustati per il rischio – di un nuovo antibiotico sono pari a 1,7 miliardi di dollari. I ricavi non superano i 240 milioni di dollari l’anno, per i primi otto dallo sviluppo. Il delta è molto ampio. Come fa un’azienda a produrre qualcosa che rende un decimo di quello che costa?

Queste stime sono purtroppo abbastanza accurate e sono la causa dell’assenza di investimenti nel settore. Esistono esempi di antibiotici approvati che sono stati successivamente ritirati dal mercato a causa della scarsa redditività. Per affrontare questa situazione, sono necessari incentivi efficaci. Oggi abbiamo finalmente una chiara comprensione di cosa sia necessario fare. È incoraggiante notare che, durante il G7 italiano, e in continuità con la presidenza giapponese e quella canadese del prossimo anno, c’è una forte determinazione a superare le barriere economiche e strategiche che hanno finora ostacolato i progressi.

A proposito di G7, tutti i Paesi che lo compongono, tranne il nostro, hanno introdotto incentivi pull per favorire lo sviluppo di nuovi antibiotici. Perché noi no? Cosa è mancato?

Sicuramente la consapevolezza. Ma anche gli strumenti politici. Sono convinto, però, che nell’ambito di questo G7 sarà presentata una strategia italiana per l’Amr, con la volontà di rimborsare questi farmaci attraverso un fondo che vada oltre la contingenza. È un cambio di passo importante di questo governo.

Mi preoccupa il fatto che il tempo medio di rimborso in Italia per gli antibiotici sia abbastanza più ampio rispetto ad altri Paesi europei. È davvero così?

Sì, è vero, ma questa differenza si sta riducendo e, in alcuni casi, i tempi di approvazione dell’Aifa sono persino migliori rispetto ad altri Paesi. Tuttavia, il vero nodo critico rimane la disparità regionale nell’accesso ai farmaci, una questione allarmante e purtroppo sempre più evidente.”

Su questo possiamo sperare in un’inversione di tendenza? E in quanto tempo? 

Io spero che inizi da subito una riflessione con le Regioni, con Aifa e con il supporto del governo, auspicando che le Regioni accolgano le istanze di Aifa.

C’è davvero cooperazione internazionale sul tema Amr, o siamo ancora fermi alle buone intenzioni?

Sebbene vi sia un ampio consenso a livello di dichiarazioni, è chiaro che le parole da sole non bastano. È necessario passare dalle dichiarazioni di intenti ai fatti concreti. Negli ultimi tempi, però, si osserva un’accelerazione significativa in questa direzione, in parte grazie agli sforzi del G7 e al Piano Mattei per l’Africa, che è una delle aree più calde per l’Amr. L’approccio one health sta guadagnando terreno a livello globale, suggerendo che siamo sulla buona strada verso una fase di implementazione effettiva. Tuttavia, restano sfide importanti, come la contraffazione degli antibiotici, particolarmente preoccupante in alcune regioni asiatiche, e la gestione dell’accesso e della distribuzione degli antibiotici riservati, che spesso non sono ben controllati. Questo scenario ricorda la problematica dei vaccini Covid, dove alcuni Paesi avevano bisogno di vaccini ma non riuscivano a riceverli, mentre altri avevano dosi in eccesso ma incapaci di distribuirle. Queste difficoltà non si risolvono facilmente, ma è incoraggiante vedere che la consapevolezza del problema cresce e che stanno emergendo azioni concrete.

Autore
Formiche

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