Cos’è il test del “finto cliente” che è costato il posto di lavoro a tre dipendenti del supermercato Pam

  • Postato il 27 novembre 2025
  • Cronaca
  • Di Blitz
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Il cosiddetto “test del carrello”, o “test del finto cliente”, è una pratica sempre più diffusa nel settore della grande distribuzione: ispettori si fingono clienti e inseriscono prodotti nascosti nel carrello per verificare l’attenzione dei cassieri. È attraverso questa procedura che la catena Pam ha licenziato tre addetti alla cassa, uno a Siena e due a Livorno, aprendo un caso che in Toscana ha mobilitato i sindacati.

Secondo le organizzazioni dei lavoratori, la pratica utilizzata sarebbe stata eccessivamente punitiva e condotta in condizioni tali da rendere quasi impossibile individuare gli oggetti occultati. Il caso ha riacceso il dibattito sul confine tra verifica delle prestazioni e controllo occulto, tema particolarmente sensibile nel commercio al dettaglio.

Mistery shopping e limiti legali

Il mistery shopping, tecnica usata da anni per valutare la qualità dei servizi, nasce come strumento di monitoraggio per migliorare le prestazioni, non per sanzionare. Tuttavia, come spiega l’avvocato del lavoro Cesare Pozzoli, la legge italiana stabilisce limiti stringenti sui controlli occulti ai dipendenti. Lo Statuto dei lavoratori consente l’impiego di investigatori privati e guardie giurate solo per la tutela del patrimonio aziendale, mentre vieta di monitorare di nascosto la normale prestazione lavorativa.

Il test del finto cliente, se impiegato per valutare attenzione, produttività o rispetto delle procedure, rischia quindi di sconfinare in un controllo illecito, salvo che vi sia un fondato sospetto di furto. Proprio questo nodo giuridico mette in discussione la liceità del metodo adottato nel caso Pam.

Il caso Pam tra proporzionalità e validità della prova

Nel caso specifico, i sindacati denunciano che gli ispettori avrebbero nascosto prodotti minuscoli – come rossetti o mascara – all’interno di confezioni chiuse o in mezzo a articoli voluminosi, rendendo estremamente difficile l’individuazione dell’anomalia. Per l’avvocato Pozzoli, ciò trasformerebbe l’ispettore in un “agente provocatore”, sollevando dubbi sulla validità della prova stessa.

Anche qualora il giudice ritenesse legittimo il controllo, resterebbe da valutare la proporzionalità della sanzione: non rilevare un oggetto microscopico non equivale a ignorare un prodotto di grandi dimensioni, e la gravità dell’errore deve essere considerata insieme ai ritmi di lavoro, ai turni e all’eventuale recidiva. In definitiva, l’esito del caso dipenderà da due fattori fondamentali: la legalità del metodo usato per produrre la prova e la congruità del licenziamento rispetto alle condizioni operative dei lavoratori coinvolti.

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Autore
Blitz

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