Cosa significa la decisione del Giappone di dare al primo ministro il controllo dell’intelligence

  • Postato il 8 novembre 2025
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Il ruolo della Costituzione giapponese nella tutela della sicurezza nazionale

L’articolo 9 della Costituzione giapponese adottata sotto il controllo Usa dopo la fine della seconda guerra mondiale è lo strumento giuridico che doveva rappresentare un limite invalicabile per qualsiasi tentativo politico di riorganizzare una forza militare in grado di operare offensivamente. Dato, infatti, che il nuovo sistema giuridico giapponese era (ed è) fortemente ispirato dagli equivalenti occidentali, la presenza di un vincolo costituzionale impediva (e impedisce) l’emanazione di norme che fossero (siano) in contrasto con il divieto di sviluppare capacità offensive.

Il superamento pragmatico del limite normativo

Questo, tuttavia, non ha impedito che, nel corso degli anni, il Giappone si dotasse di una forza di difesa nazionale equipaggiata in modo sostanzialmente indistinguibile da quella di un esercito propriamente detto, mutandone progressivamente la natura da puramente reattiva a potenzialmente offensiva, con l’unico limite sostanziale dell’assenza di un deterrente nucleare.

Un esempio paradigmatico è la trasformazione da ultimare per il 2027 della JS Kaga. Da cacciatorpediniere, il Kaga viene riconvertito in incrociatore multi-ruolo per supporto aereo – una portaerei, in altri termini, che però non raggiunge il tonnellaggio necessario a farle compiere il “salto di classe”, mantenendo formalmente la natura “difensiva” del suo impiego.

Analogamente, poi, prima la strategia per la sicurezza nazionale approvata nel dicembre 2022 e poi la Cyber counter-capacity enhancement law approvata nel 2025 ricorrono a sottili distinguo terminologici per mantenere la coerenza formale con l’articolo 9 della Costituzione ma nei fatti ampliano il raggio d’azione delle strutture di sicurezza.

Dunque, le norme parlano di “difesa preventiva” e non di attacco a sorpresa, o di “misure di cybersecurity” e non di azioni reattive (analoghe, peraltro, a quelle consentite dalla legge italiana sulla rappresaglia informatica del 2022) a fronte di attacchi alle infrastrutture tecnologiche. Esse rappresentano, dunque l’esempio paradigmatico dell’intenso lavorìo interpretativo che procede incessante, da lungo tempo, per aggirare l’ostacolo giuridico al ripristino di una capacità offensiva piena, nel rispetto delle forme costituzionali.

La riforma dell’intelligence

Il progetto di ristrutturazione dell’intelligence annunciato dal Primo Ministro Takaichi si inserisce in questa tendenza di lungo periodo e mira a portare sotto il controllo del capo del governo una funzione critica non solo per la sicurezza nazionale, ma anche per il comparto militare, offensivo o difensivo che sia.

Allo stato attuale, infatti, la gestione dellintelligence giapponese – il 公安調査庁 (kōanchōsa-chō, Public Security Intelligence Agency) – è di competenza del Ministero della giustizia. Tuttavia, questa struttura esercita funzioni tipiche di un organo che dovrebbe invece dipendere dal capo dell’esecutivo. Questo è ciò che accade negli altri Paesi che usano i servizi non solo per raccogliere informazioni ma anche per porre in essere “misure attive” e operazioni clandestine in giurisdizioni straniere nel perseguimento degli obiettivi di politica estera.

Le possibili ragioni del cambio di approccio

È ragionevole pensare che, all’indomani dell’armistizio che pose fine alle ostilità fra il Giappone e gli Alleati, questa scelta venne imposta a Tokyo per evitare che il capo del governo avesse anche il controllo diretto sugli apparati di intelligence.

Ora, però, nel mutato scenario geopolitico, con vecchie alleanze che scricchiolano e nuovi accordi che vengono stretti al di fuori del controllo diretto degli Usa, diventa necessario dotarsi di partner in grado di operare autonomamente nello scacchiere indo-pacifico.

Questo spiegherebbe la scelta di allentare i vincoli imposti al Giappone dal trattato di San Francisco del 1952 e dai successivi sviluppi delle relazioni con gli Usa.

Un’evidenza empirica di questo cambio di orientamento verso il ruolo del Giappone risale almeno al 2020, quando i servizi anglofoni – i Five Eyes – iniziarono a mostrare un interesse più concreto verso una collaborazione con Tokyo in settori che, a rigore, avevano poca relazione con la sicurezza interna, ma che “collegavano” le strutture informative giapponesi al network di contenimento e contrasto dei tradizionali interlocutori geopolitici nell’area indo-pacifica.

I passi successivi

Come detto, la scelta di riportare il controllo dell’intelligence all’interno delle attribuzioni del primo ministro è del tutto in linea con quanto già fanno le altre cancellerie occidentali. Questo consente al capo del governo giapponese di interloquire in posizione di piena parità con i partner sia dal punto di vista della cooperazione militare, sia da quello della raccolta informativa e dell’adozione di misure attive nei confronti di altri Paesi come la Cina, il cui attivismo militare è percepito dal Giappone come un serio problema di sicurezza nazionale. La scelta del Giappone, dunque, è indicativa di come è già cambiato l’asse strategico nell’area indo-pacifica e lascia intendere che il suo coinvolgimento, ad ogni livello, sarà tuttaltro che marginale.

Tutto questo accade, almeno per ora, senza una modifica formale della Costituzione ma nello stesso tempo, rivela sempre di più la distanza fra l’invocazione del rule of law come limite invalicabile anche per gli esecutivi, e le necessità pragmatiche dell’esercizio del potere.

In altri termini, l’annunciata riforma dellintelligence giapponese non cambia la forma della Costituzione, ma ne ridefinisce luso.

Tokyo si prepara dunque a un Indo-Pacifico in cui la deterrenza non passa più solo dalla capacità di rispondere, ma richiede anche di agire.

Il Giappone non torna potenza: smette semplicemente di fingere di non esserlo.

Autore
Formiche

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