Cosa rimane dell’omicidio Attanasio? Quattro anni e nessuna verità per lui, Iacovacci e Milambo. E la seconda inchiesta rischia l’archiviazione

  • Postato il 22 febbraio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Sono trascorsi quattro anni dal 22 febbraio 2021. La Russia ancora non era stata esclusa dal consesso delle nazioni, alla Casa Bianca si era insediato Biden da un mese, in Italia l’ennesima crisi di governo si era appena risolta con l’incarico a Mario Draghi e in Repubblica Democratica del Congo il presidente Félix Tshisekedi aveva appena assunto la presidenza di turno dell’Unione Africana, ma fronteggiava una crisi interna che rischiava di mandare all’aria la sua maggioranza di governo. All’est del Paese, i venti di guerra mai sopiti parevano però in un periodo di bonaccia e il movimento M23 era solo un ricordo del recente passato. Nessuno si aspettava che di lì a pochi mesi sarebbe risorto dalle sue ceneri.

Quel contesto, quei luoghi (mai visitati dagli inquirenti italiani) sono oggi irrimediabilmente compromessi. E così, probabilmente, anche molti dei testimoni diretti del triplice omicidio dell’ambasciatore italiano a Kinshasa, Luca Attanasio, del carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, e dell’autista del Programma alimentare mondiale (Pam), Mustapha Milambo, sono ormai irrintracciabili. Del resto, quanto avvenuto il 22 febbraio 2021 sulla Route Nationale 2 che da Goma sale verso Rutshuru è, per la gente del posto, “solo” una delle tante tragedie che funestano la regione da decenni.

A Kinshasa il procedimento di primo grado contro i sei presunti esecutori materiali (di cui uno processato in contumacia) si era concluso con una condanna a morte poi tramutata in ergastolo, pur basata su elementi di prova la cui solidità rimane dubbia. A Roma, il non luogo a procedere nei confronti dei due funzionari del Pam (accusati dalla procura di omicidio colposo) pare aver messo una pietra tombale sulle speranze di giustizia. Resta aperto un altro fascicolo, contro ignoti, che alcune fonti sentite da Ilfattoquotidiano.it danno però come prossimo all’archiviazione.

Eppure c’è chi non si rassegna. Le famiglie delle vittime, anzitutto. I genitori di Luca Attanasio, il fratello di Vittorio Iacovacci. E poi c’è l’associazione Amici di Luca Attanasio e tanti altri gruppi che si sono aggiunti in questi anni, scoprendo la vicenda e rimanendone profondamente colpiti. “Sono trascorsi quattro anni – ci dice Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore ucciso – e ancora non c’è nessuna verità certa. Solo tantissime ipotesi diverse di cui non si hanno prove. Non dimentichiamo che c’è un secondo procedimento aperto presso la Procura di Roma di cui nessuno, nemmeno i nostri avvocati, conoscono il contenuto perché gli atti saranno accessibili solo quando il fascicolo sarà chiuso. Speriamo possano esserci nuovi spiragli e speriamo che stavolta lo Stato italiano non si tiri indietro”.

Già. Le istituzioni italiane, che nel processo a Kinshasa si erano costituite parte civile e che avevano contribuito a trasformare in ergastolo le sei condanne a morte, in Italia invece non solo hanno rifiutato la costituzione di parte civile, ma hanno nella sostanza avallato la posizione del Pam sostenendo che i due funzionari avessero diritto all’immunità funzionale “per consuetudine”. Eppure anche questo dato pare non essere così incontrovertibile e si sarebbe quanto meno potuto provare a scalfirlo in punta di diritto.

Proprio questo sembra intenzionato a fare il nuovo legale che è subentrato lo scorso dicembre a fianco della famiglia Iacovacci: l’avvocato Lorenzo Magnarelli, del Foro di Roma, ha subito giocato una mossa che potrebbe cambiare le carte in tavola. Come spiega lui stesso a Ilfattoquotidiano.it, sono state depositate due memorie tecniche e la relazione di un giuslavorista. “Nel procedimento penale siamo spesso di fronte alla dicotomia fra ciò che è giusto e ciò che è semplice – esordisce – Dunque, io sono stato nominato dai congiunti del carabiniere scelto Vittorio Iacovacci per verificare se tutte le scelte compiute finora in Italia dalla Procura di Roma siano complete o siano invece perfettibili. E in effetti ho concluso che non si siano esplorate tutte le possibili responsabilità riguardo ai fatti di quattro anni fa. Se i due funzionari del Pam erano accusati di omicidio colposo, ma non sono processabili, ho ritenuto necessario segnalare alla Procura la possibilità di un approccio che contempli una filiera colposa più ampia. Come bene evidenzia la relazione tecnica da noi commissionata a uno dei massimi esperti del settore, il professor Luca Calcaterra, ordinario di Diritto del lavoro, non è insensato estendere la responsabilità colposa anche ai datori di lavoro. Ovviamente esiste anche un profilo doloso, che è quello esaminato nel processo a Kinshasa contro i presunti esecutori materiali del triplice omicidio. Tuttavia ritengo non vada ignorato quanto avvenuto prima del triplice omicidio (il fatto doloso) che costituisce un fatto colposo che va esaminato in tutti i suoi risvolti e in tutti i suoi antefatti e conseguenze”. Precisa l’avvocato: “Il procedimento ancora in corso è il ‘contenitore’ del primo processo terminato con il non luogo a procedere. Come tale ha un’imputazione preliminare ancora fluida che, laddove si individuassero dei presupposti, li configurerebbe come reato. Ecco, siamo ancora a monte, molti dei fatti non sono stati ancora accertati ed è qui che c’è ancora spazio di azione”. E sulla possibile archiviazione risponde: “A noi non risulta, abbiamo chiesto di essere informati su eventuali provvedimenti dei pm e ad oggi non abbiamo ricevuto ancora nessun avviso. Il pm ora valuterà i temi di meditazione che abbiamo offerto, se li riterrà utili procederà. In caso contrario, dovrebbe motivare la sua decisione. Per questo ho ritenuto di depositare la memoria a tutti i possibili destinatari, perché nulla resti inesplorato”.

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