Cosa c’è alle radici del conflitto India-Pakistan. L’analisi del gen. Caruso

  • Postato il 26 aprile 2025
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  • Di Formiche
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L’attacco terroristico di Pahalgam, con il suo tragico bilancio di 26 vittime principalmente turisti, ha riportato al centro dell’attenzione internazionale una delle più pericolose rivalità geopolitiche al mondo. La tensione tra India e Pakistan, due potenze nucleari confinanti, minaccia di trasformare quella che appare come l’ennesima crisi bilaterale in un potenziale conflitto armato dagli esiti imprevedibili.

Le radici storiche del conflitto

La rivalità indo-pakistana affonda le sue radici nella traumatica partizione del 1947, quando la fine del dominio britannico portò alla divisione del subcontinente lungo linee religiose. La nascita di un Pakistan a maggioranza musulmana e di un’India a maggioranza induista fu accompagnata da violenze intercomunitarie che causarono centinaia di migliaia di morti e il più grande spostamento forzato di popolazioni della storia moderna. Il Kashmir, regione a maggioranza musulmana ma governata da un maharaja induista, divenne immediatamente oggetto di disputa. La decisione del sovrano di accedere all’India in cambio di protezione contro le incursioni di miliziani pakistani scatenò il primo conflitto indo-pakistano (1947-48). L’intervento delle Nazioni Unite portò a un cessate il fuoco che divise di fatto il Kashmir tra i due paesi, senza risolvere la questione di fondo.

Negli anni successivi, India e Pakistan si scontrarono militarmente altre due volte: nel 1965, nuovamente per il Kashmir, e nel 1971, quando l’India sostenne l’indipendenza del Bangladesh (allora Pakistan Orientale). Nel 1999, ormai potenze nucleari, i due paesi combatterono ancora nel distretto di Kargil, rischiando un’escalation potenzialmente catastrofica.

Le tensioni recenti

Dal 2000 ad oggi, le relazioni bilaterali hanno seguito un andamento ciclico di tentativi di distensione interrotti da crisi acute. Particolarmente grave fu la crisi del 2019, quando un attentato suicida a Pulwama uccise 40 paramilitari indiani. La risposta di Delhi fu un raid aereo contro un presunto campo terroristico a Balakot, in territorio pakistano, seguito da una controffensiva aerea di Islamabad e l’abbattimento di un caccia indiano.
Nel 2019, il governo Modi revocò unilateralmente lo status speciale di semi-autonomia del Kashmir indiano, aumentando il controllo federale sulla regione. Questa decisione, volta ufficialmente a integrare meglio il territorio e combattere l’insurrezione, ha alimentato ulteriormente il risentimento locale e le tensioni con il Pakistan.

La crisi attuale

L’attacco di Pahalgam del 22 aprile 2025 rappresenta l’episodio più sanguinoso dal 2019 e ha innescato una rapida escalation diplomatica. L’India ha accusato il Pakistan di sostenere i terroristi, identificando presunti collegamenti con il gruppo Lashkar-e-Taiba. In risposta, ha chiuso il valico di frontiera Attari-Wagah, sospeso il Trattato sulle Acque dell’Indo (cruciale per l’agricoltura pakistana), revocato i visti ai cittadini pakistani e ridotto la presenza diplomatica. Il Pakistan ha risposto con misure speculari: chiusura dello spazio aereo alle compagnie indiane, sospensione di tutti gli scambi commerciali, revoca dei visti (eccetto per i pellegrini sikh) ed espulsione di funzionari militari indiani. Soprattutto, ha dichiarato che qualsiasi tentativo di bloccare il flusso delle acque dell’Indo sarà considerato “un atto di guerra”.

Prospettive future: i rischi di escalation

Gli analisti sono ormai concordi nel ritenere che non si tratti più di capire se l’India risponderà militarmente, ma piuttosto quando e con quale intensità lo farà. Il primo ministro Modi si trova in una posizione delicata: avendo promesso pubblicamente di “perseguire fino alla fine del mondo” i responsabili dell’attacco, deve ora dimostrare determinazione per non perdere credibilità, specialmente in un momento politicamente sensibile per il suo governo.
Il ventaglio di opzioni militari a disposizione di Nuova Delhi è ampio e presenta diversi gradi di escalation. L’India potrebbe optare per azioni coperte contro obiettivi terroristici, una tattica che offrirebbe il vantaggio della negabilità plausibile. In alternativa, potrebbe decidere di riprendere i bombardamenti transfrontalieri lungo la Linea di Controllo, segnalando una risposta visibile ma contenuta. Seguendo il precedente del 2019, Modi potrebbe autorizzare raid aerei limitati contro presunti campi terroristici in territorio pakistano, sul modello dell’operazione di Balakot. La soluzione più drastica prevederebbe l’impiego di missili da crociera contro obiettivi strategici specifici, un’opzione che rappresenterebbe una significativa escalation nella risposta indiana alle provocazioni pakistane.

Ciascuna di queste strade comporta rischi calcolati e potrebbe innescare reazioni a catena difficili da prevedere, specie considerando che entrambi i paesi possiedono arsenali nucleari. Ogni scenario comporta il rischio di una risposta pakistana, potenzialmente innescando un ciclo di rappresaglie. Sebbene il possesso di armi nucleari abbia storicamente funzionato da deterrente per un conflitto su larga scala, la storia recente dimostra che entrambe le parti sono disposte a intraprendere azioni militari limitate. Decisivo sarà il ruolo delle potenze internazionali nel gestire la crisi. Tuttavia, gli Stati Uniti, tradizionalmente mediatori chiave, appaiono oggi meno focalizzati sulla regione, mentre le tensioni globali rendono più difficile una risposta coordinata della comunità internazionale. Il paradosso del Kashmir rimane irrisolto: una regione di straordinaria bellezza naturale, trasformata in uno dei luoghi più militarizzati del pianeta, dove la popolazione locale continua a pagare il prezzo più alto di una disputa che trascende ormai la sola questione territoriale per abbracciare elementi identitari, religiosi e nazionalistici profondamente radicati nelle narrative di entrambi i paesi.

Autore
Formiche

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