Contraccettivo e Viagra, ovvero i farmaci che hanno rivoluzionato i costumi e le relazioni affettive

  • Postato il 6 luglio 2024
  • Di Il Foglio
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Contraccettivo e Viagra, ovvero i farmaci che hanno rivoluzionato i costumi e le relazioni affettive

I farmaci sono migliaia, ma solo uno è universalmente noto come la “pillola”. È una medicina un po’ strana: non allevia il dolore come gli analgesici né salva la vita come gli antibiotici. Ha però rivoluzionato i costumi sessuali e le stesse relazioni affettive tra uomo e donna. Prima della sua scoperta, le gioie del sesso erano associate quasi esclusivamente al concepimento. Per i credenti di ogni fede era Dio a governare la vita. Eppure fin dall’antichità più remota si è sempre tentato di spezzare il rapporto tra sesso e nascita con gli stratagemmi più stravaganti. Il mesopotamico “Papiro di Petri” (1850 a. C.) suggerisce l’uso di una sorta di diaframma fatto di sterco di coccodrillo. L’egiziano “Papiro Ebers” (circa 1550 a. C.) quello di un tappo di cotone medicato. Il Talmud, quello del “moch”, una sorta di tampone. La Historia animalium di Aristotele (V secolo a. C.) quello di un unguento di piombo mescolato a incenso e a olio d’oliva.
 

Nella Grecia classica erano usati come contraccettivi anche i semi di melagrana, in memoria della dea Persefone che li aveva mangiati nell’oltretomba, dando origine – secondo il mito – al periodo sterile e improduttivo dell’inverno. Per prevenire la gravidanza, la Bibbia cita il coito interrotto, nella Cina imperiale le donne bevevano pozioni a base di piombo e mercurio. Le donne europee nel Medioevo si legavano intorno alle cosce testicoli di donnola, ghirlande di erbe, amuleti di ossa di gatto, oppure camminavano per tre volte intorno al punto in cui aveva urinato una lupa incinta. Nel Cinquecento l’anatomista Gabriele Falloppio, in un trattato sulla sifilide, si vanta di aver inventato un preservativo, composto da una guaina di lino imbevuta in una sostanza chimica, che impediva la trasmissione della malattia. D’altronde, per lunghi secoli la gravidanza e il parto erano state tra le cause principali di morte, e fare un figlio fuori dal matrimonio restava un marchio d’infamia. Inoltre, costituivano per le donne, non solo dei ceti più umili, il calvario di una esistenza interamente consacrata a gravosissime responsabilità domestiche (cfr. Thomas Hager, Homo Pharmacus, Codice edizioni, 2021).
 

In ogni caso, ancora nell’Ottocento tutto ciò che accadeva durante nove mesi nell’utero di una gestante restava un mistero. Ovviamente la gravidanza poteva essere evitata con l’astinenza, o dotando gli uomini di profilattici del tutto inaffidabili e confezionati con i materiali più disparati, dagli intestini di pecora macerati nell’aceto ai sacchetti di lino fissati al pene con nastri colorati. Con il Novecento, invece, la storia della sessualità subisce una svolta radicale. Sono gli Stati Uniti a promuoverla. Nei decenni successivi alla Grande guerra, l’americana Rockefeller Foundation comincia a investire una parte cospicua dei suoi immensi capitali nel campo della biologia molecolare. Molteplici erano le ragioni per lanciarsi in questa avventura: il timore di sovvertimenti sociali e politici generati dalla depressione economica, il dilagare della criminalità urbana, le rivendicazioni dei movimenti per la parità di genere. Verso la fine degli anni Trenta, il fisiologo austriaco Ludwig Haberlandt riesce a interrompere l’ovulazione in assenza di gravidanza, trapiantando frammenti di tessuti ovarici di femmine animali incinte in femmine non incinte. Sconvolto dalla violenza delle critiche di chi lo accusava di voler alterare l’armonia della creazione divina, nel 1932 si suicida.
 

Terminato il secondo conflitto mondiale, il declino demografico contribuì ad accantonare le ricerche sul funzionamento degli ormoni sessuali (progesterone, testosterone, estradiolo). Uno dei pochi scienziati da cui non vennero abbandonate fu il biologo americano Gregory Pincus (1903-1967), cofondatore nel 1944 della Worcester Foundation. Negli anni Cinquanta, lui e il suo più stretto collaboratore, l’emigrato cinese Min Cheh Chang, conoscono Margaret Sanger. Figura leggendaria per le sue lotte a sostegno del suffragio femminile, nel 1921 era stata arrestata dalla polizia poco prima del meeting inaugurale della Lega per il controllo delle nascite. L’episodio, noto come “l’incidente di Town Hall”, fu il momento saliente dello scontro dell’attivista con il clero americano. L’arcivescovo di New York, Patrick Joseph Hayes, rende pubblica una durissima lettera pastorale diretta alla donna che nel 1914 aveva fondato “The Woman Rebel”, una rivista sul controllo delle nascite. Tuttavia, grazie al sostegno di influenti uomini d’affari e a un intelligente contegno misurato, Sanger rovescia a suo favore l’attacco dell’arcivescovo, trasformandolo in un veicolo pubblicitario delle sue battaglie per i diritti civili.
 

Sanger rispose a Hayes in un articolo del 20 dicembre 1921 sul New York Times, in cui faceva appello ai valori della democrazia americana, chiamando in causa la libertà delle altre chiese americane minacciata dall’ostruzionismo dottrinario di Hayes. Da quel momento in poi, la paladina del “birth control”, nonostante la sua origine cattolica irlandese, si contrappose costantemente alle posizioni “oscurantiste” della Chiesa di Roma. Già militante del Partito socialista, con un’esperienza d’infermiera alle spalle nei sobborghi newyorkesi, aveva aperto alcune cliniche in cui le donne potevano usufruire di una consulenza ginecologica gratuita e apprendere l’uso dei metodi contraccettivi. Nonostante l’anatema di Hayes, le donne cattoliche continuarono ad affollare il suo ambulatorio a Brownsville. Insieme a Katharine McCormick, una vecchia amica erede del cospicuo patrimonio della International Harvester Company, non esitò quindi a sovvenzionare i lavori di Pincus e Chang con l’obiettvo di arginare il flagello degli aborti clandestini.
 

Non era un’impresa facile. Negli Usa allora erano in vigore le Comstock Laws, promulgate nel 1873 per reprimere le condotte oscene e immorali. Nel Massachusetts, dove Pincus conduceva le sue ricerche, le pratiche contraccettive potevano costare anche cinque anni di prigione. Cionostante, poté proseguire nel suo lavoro confidando nelle laute donazioni di Sanger e McCormick. Affiancato da John Rock, un ginecologo che come lui studiava gli ormoni sessuali, entrò in contatto con la Syntex, una piccola azienda farmaceutica messicana. E proprio da un consulente della Syntex, il chimico viennese Carl Djierassi, arrivò la soluzione: si potevano estrarre gli steroidi da una specie locale di patata dolce gigante, chiamata “cabeza de negro”.
 

Alla metà degli anni Cinquanta era pronta la prima pillola contraccettiva della storia moderna. Poiché non era possibile sperimentarla negli Stati Uniti, Pincus si recò a Portorico. Qui, nella primavera del 1956, nella circoscrizione di Rio Piedras, il quartiere più popoloso della capitale San Juan, fu somministrata a centinaia di donne. Ma i test risultarono disastrosi. Le “cavie umane” denunciavano cefalee, nausea, vertigini, coaguli di sangue. Tuttavia, l’anno successivo la Fda (“Food and Drug Administration”) approvò l’Enovid. Per aggirare gli ostacoli legislativi, nel foglietto illustrativo il farmaco veniva consigliato per la sua capacità di regolarizzare il ciclo mestruale. L’inibizione del sistema riproduttivo era astutamente menzionata soltanto come un possibile effetto collaterale. Nel 1967 già ben tredici milioni di donne si servivano nei paesi occidentali dell’Enovid per il controllo delle nascite. Oggi la pillola “rosa” più consumata al mondo, con 150 milioni di confezioni vendute annualmente, è Yasmin, ideata dalla casa farmaceutica tedesca Schering (acquisita nel 2006 da Bayer), la prima a lanciare una pillola anticoncezionale in Europa nel 1961. Dieci anni dopo, 10 marzo 1971, il suo commercio fu legalizzato in Italia grazie anche alle battaglie dell’Aied (Associazione per l’educazione demografica), del Partito radicale e dei movimenti femministi.
 

La prima sperimentazione a Portorico. I test risultarono disastrosi, ma un anno dopo, nel 1957, la Fda approvò negli Stati Uniti l’Enovid


Gilles Brindley era un personaggio eccentrico: eminente scienziato e insieme eclettico compositore musicale, aveva inventato il “logical bassoon”, una specie di fagotto elettronico. Famoso per le sue monografie sulla fisiologia della retina, nutriva un interesse particolare anche per la fisiologia dell’erezione maschile. Fu per questo protagonista di un aneddoto bizzarro che gli è valso un posticino nella storia della medicina. Nel 1983, durante una conferenza di urologia a Las Vegas, salì sul palco in tuta da ginnastica per parlare della disfunzione erettile. In quegli anni le uniche terapie conosciute erano di tipo meccanico: pompette, palloncini, stecche di plastica e protesi metalliche venivano impiantate chirurgicamente per provocare un’erezione artificiale. Brindley, invece, aveva cominciato a iniettare diverse sostanze nel suo pene, sperando di trovare quella in grado di suscitare un’erezione di tipo chimico e non meccanico. Dopo aver proiettato una trentina di diapositive sui suoi esperimenti, confessò ai suoi colleghi si essersi fatto un’iniezione nell’albergo in cui alloggiava. Poi, all’improvviso, si abbassò i pantaloni della tuta per esibire il miracolo. Accortosi delle perplessità della platea, tra l’imbarazzo generale si tirò giù anche lo slip per apparire più convincente. Le proteste scandalizzate del pubblico in sala lo costrinsero a ricomporsi rapidamente. La sua audace performance non aveva avuto il successo che forse meritava, non foss’altro perché l’intuizione di Brindley anticipava in qualche modo quanto sarebbe accaduto poco più tardi a Sandwich, sede di un importante centro di ricerche della Pfizer.
 

Nella cittadina della costa meridionale dell’Inghilterra, un team di scienziati del colosso farmaceutico fin dal 1985 cercava un farmaco in grado di dilatare i vasi sanguigni per far fluire il sangue più facilmente e lenire così i sintomi dolorosi dell’angina pectoris. Nel 1988 progettò un farmaco dal nome fantascientifico, UK-94280, che avrebbe dovuto agevolare il rilassamento dei vasi sanguigni. Il farmaco fu testato su pazienti con cardiopatie coronariche. E, come molti farmaci al loro esordio, fallì miseramente. C’era però un effetto collaterale che attirò subito l’attenzione dell’équipe di Pfizer. Alcuni giorni dopo la sua somministrazione, i pazienti maschi raccontarono che le loro prestazioni sessuali erano migliorate notevolmente. L’opportunità di curare uno dei disturbi endemici dell’età senile fu colta al volo. E l’opportunità era ghiotta, in quanto i baby-boomer che stavano invecchiando rappresentavano un mercato potenzialmente gigantesco. Un ricercatore di Pfizer, Chris Wayman, si mise subito all’opera. Costruì una sorta di uomo-robot, con congegni elettrici che sostituivano i nervi e con frammenti di tessuto di pene, prelevati da pazienti impotenti, che sostituivano le zone intime. Wayman osservò che i vasi sanguigni rilassati trasportavano una quantità maggiore di sangue e gonfiavano l’organo riproduttivo maschile. Il Sildefanil, come venne chiamato il nuovo farmaco, ora aspettava solo di essere sperimentato sull’uomo in carne ed ossa.
 

Pfizer investì somme ingentissime per testare migliaia di volontari. L’efficacia del Sildefanil si rivelò straordinaria. Ma per incrementare le vendite era necessario trovare un nome più seducente. Fu scelto quello di Viagra, per la sua allusione alla potenza virile (vigore) e allo scorrere dell’acqua (Niagara). Nel 1996 Pfizer brevettò il nuovo farmaco e nel 1998 la Fda rilasciò la licenza commerciale. Il 4 maggio di quell’anno la rivista Time gli dedicò la copertina, con l’immagine di un signore attempato, vagamente somigliante al famoso comico Rodney Dangerfeld, che abbraccia una bionda svestita mentre ingerisce una pillola quadrangolare blu. Il New York Times lo definì “il miglior lancio di un farmaco mai avvenuto negli Stati Uniti”. Il valore delle azioni di Pfizer salì all’istante del 60 per cento. Nonostante i suoi concorrenti si fossero messi subito in lizza proponendo prodotti analoghi (in primis, Cialis e Levitra), il Viagra rimase il re dei farmaci contro la disfunzione erettile, trasformando profondamente il comportamento sessuale degli anziani e offrendo lo spunto a un numero sterminato di barzellette. C’era però un problema. Negli Stati Uniti la pillola blu era rimborsata dalle compagnie di assicurazione, diversamente dalla pillola rosa. Questa disparità di trattamento sollevò un mare di polemiche che si trascinò fino al 2012, quando il ministro della Salute dell’amministrazione Obama ingiunse alle imprese di inserire la contraccezione femminile nei piani sanitari sottoposti all’Affordable Care Act.
 

Pfizer investì somme ingentissime per testare migliaia di volontari. L’efficacia del Sildefanil si rivelò straordinaria, ma serviva un altro nome


La posizione dominante del Viagra nel mercato continuò proprio fino al 2012, quando raggiunse il picco delle vendite, per poi iniziare una discesa accelerata dalla scadenza del brevetto, che lasciava campo libero alla produzione di farmaci generici a prezzi più bassi. La luna di miele del Viagra con gli anziani non era ancora finita, ma il suo monopolio era ormai un ricordo del passato.

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