Conte e Schlein, il fallimento: inchiodati da anni al 34,5%
- Postato il 1 aprile 2025
- Di Libero Quotidiano
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Conte e Schlein, il fallimento: inchiodati da anni al 34,5%
Il fallimento dell'operazione Schlein, e il motivo per cui l'aristocrazia decaduta del Pd (Gentiloni, Prodi, Fassino, Franceschini, Zanda...) vuole liberarsi di lei prima delle prossime elezioni politiche, o quantomeno costringerla a invertire rotta, è in un numero: 34,5%.
Immaginiamo due prodotti sugli scaffali di un supermercato, ad esempio due profumi (nessun riferimento a chili ruba negli aeroporti). Uno dei quali, chiamiamolo Partito democratico, cambia ricetta e in poco tempo diventa identico al concorrente che anni prima aveva sbaragliato il mercato, quello col marchio M5S. Il risultato è che ci sono due profumi a contendersi la stessa quota di consumatori. Gli altri brand, intanto, che si rivolgono ad acquirenti con gusti diversi, continuano a essere venduti come e più di prima.
È quello che succedendo ai due principali partiti d'opposizione, e ormai c'è una robusta serie storica che lo dimostra. Il 25 settembre 2022 il Pd prese il 19,1% dei voti, mentre il Movimento Cinque Stelle non andò oltre il 15,4%. La somma dà quel numero lì: 34,5%. La ditta, espulsa dai palazzi del governo, decise allora di cambiare guida. Ma dalla lotteria delle primarie uscì vincitrice colei che avrebbe dovuto perdere.
Quando Elly Schlein fu eletta segretaria, a metà marzo del 2023, i sondaggi davano il Pd al 19,2% e il M5S al 15,9%. Insieme, quindi, facevano il 35,1%.
Quindici mesi dopo, il Pd che si presenta alle Europee ha assunto l'identità della sua leader. Alle urne conquista il 24,1% delle schede. I cinque punti in più rispetto alle elezioni politiche li ha tolti tutti al M5S, sceso al 10%. La somma fa 34,1%: siamo sempre lì. L'andazzo prosegue sino ad oggi, con le curve dei due partiti speculari: se quello di Schlein cede un punto, è quello di Giuseppe Conte a guadagnarlo, e viceversa. L'ultima media dei sondaggi elaborata da YouTrend fotografa il Pd al 22,9% e il M5S all'11,8%. Sommati, fanno il 34,7%.
La morale è che aver reso il Pd un partito sessantottino, con forti venature anti-capitalistiche, anti-occidentali e anti-israeliane e intriso di fondamentalismo ecologista, ha messo i democratici in competizione diretta con i Cinque Stelle. Le due identità sono ormai sovrapponibili.
Questa rincorsa continua al M5S, che sabato 5 aprile potrebbe portare esponenti vicini a Schlein (o addirittura lei stessa) nella piazza pacifista organizzata da Conte proprio per fare concorrenza al Pd, avrebbe un senso politico se la segretaria intendesse sfidare l'ex premier alle prossime elezioni. Lei, invece, «testardamente unitaria», ha deciso di puntare tutte le fiches sull'alleanza coi Cinque Stelle.
I due partiti più forti del presunto «campo largo» sono quindi impegnati a cannibalizzarsi a vicenda, anziché a sottrarre voti agli avversari. Compito, questo, che spetterebbe innanzitutto al Pd, il quale, a differenza del M5S, ha (o aveva) una certa cultura di governo e presa sugli elettori del ceto medio.
A guadagnare dalla radicalizzazione del Pd sono Giorgia Meloni e i suoi alleati. Mentre Schlein e Conte si litigano quel 34,5% di elettorato, con oscillazioni di mezzo punto, inferiori al margine d'errore dei sondaggi, agli italiani che vogliono un prodotto diverso non resta che cercare sugli altri scaffali. Incluso quello in cui sono posizionati i partiti del centrodestra, che nel suo complesso è salito dal 43,8% delle Politiche al 48,7% stimato oggi.
Cinque punti in più dopo aver governato due anni e mezzo in una delle fasi più difficili del dopoguerra: se non è un inedito nelle democrazie occidentali, poco ci manca. La destra dovrebbe fare un monumento a Schlein, e pregare che sopravviva a tutte le congiure che stanno ordendo i maggiorenti del Pd.
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