Concordato preventivo tra fisco e partite Iva, anche il bis delude ma per Leo è un “gran successo”. Ecco cosa non torna

  • Postato il 2 ottobre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Ancora una volta la montagna ha partorito il topolino. Martedì si è chiusa ufficialmente la seconda edizione del concordato preventivo biennale per il 2025-2026. E secondo i commercialisti il tasso di adesione si fermerà sotto il 10% dei potenziali destinatari, in ulteriore calo rispetto al 13% registrato nel 2024 quando a sottoscrivere l’accordo con il fisco sulle tasse da pagare per il successivo biennio erano state 584.565 partite Iva su 2,6 milioni di autonomi soggetti agli Indici di affidabilità fiscale e 1,7 milioni di forfettari che applicano la flat tax. Per ItaliaOggi a dire sì all’accordo con l’Agenzia delle Entrate sono stati solo in 40mila. Presentato dal viceministro Maurizio Leo come strumento per rendere gradualmente “virtuosi” gli autonomi e le piccole imprese, la cui propensione all’evasione è superiore al 67%, e garantire certezza del gettito, il concordato ha insomma mancato l’obiettivo. L’esponente di Fratelli d’Italia lo ritiene “un gran successo” perché “un numero consistente di soggetti che sono usciti dalla zona d’ombra per entrare in un’area di affidabilità”, ma come vedremo l’interpretazione non regge.

In attesa dei dati ufficiali, vale la pena innanzitutto ricordare tutti i passaggi intermedi con cui il governo ha tentato di rendere appetibile l’operazione che avrebbe dovuto far emergere dal nero i probabili evasori facendoli arrivare, alla fine del biennio coperto dal concordato, a ottenere un indice di affidabilità fiscale pari a 10. Nell’estate 2024 sono arrivati prima un piccolo incoraggiamento – il primo anno sarebbe stato tassato solo il 50% del maggior reddito oggetto dell’intesa – e poi un maxi sconto sulle tasse da pagare sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello concordato con il fisco: attraverso l’applicazione di aliquote bassissime, dal 10 al 15%, a chi avesse aderito è stato in pratica abbuonato fino a più del 70% delle maggiori imposte in teoria dovute.

Subito dopo il governo, di fronte allo scarso interesse per la misura, ha cercato di rilanciarla dando via libera al ravvedimento speciale”: una generosa sanatoria su eventuali redditi evasi tra 2018 e 2022: alle partite Iva è stato offerto di mettersi in regola pagando un’imposta sostitutiva dell’Irpef del 10, 12 o 15%, a seconda della loro affidabilità fiscale, sul reddito già dichiarato incrementato di una quota fissa legata sempre al punteggio Isa. Lo scorso luglio abbiamo scoperto che in media ognuno ha versato o rateizzato in media solo 6.700 euro per sanare cinque anni di evasione. Più avanti, dopo la carota è stata la volta del bastone (immaginario), con i discutibili spot sulla lotta all’evasione lanciati dal Mef.

Non è comunque bastato per far fruttare la strategia che, a fronte dell’insufficiente capacità di accertamento delle Entrate, punta a “tendere la mano” ai contribuenti mediamente più inclini a evadere perché diversamente da dipendenti e pensionati hanno la possibilità di nascondere una parte dei loro redditi. Nel 2024 sui 460mila partite Iva soggette agli Isa che hanno aderito solo 160.000 avevano punteggi di affidabilità fiscale bassi e concordando hanno effettivamente dichiarato di più. Gli altri erano già sopra la sufficienza e hanno firmato, evidentemente, perché prevedevano un aumento dei ricavi. Vale a dire che l’operazione è tutta a loro vantaggio. Tra i forfettari, esclusi dalla seconda tranche, a sottoscrivere l’opzione sono stati solo in 120mila, forse attirati anche dalla possibilità di conservare la flat tax anche se avessero superato il tetto di 85.000 euro di fatturato.

Il risultato è che il gettito – 1,6 miliardi quello atteso dalla prima edizione – rischia di essere inferiore a quanto lo Stato avrebbe potuto incassare senza la misura. Tanto più se si considera che non sono pochi i contribuenti che scelgono spontaneamente di indicare in dichiarazione dei redditi ricavi che non risultano dalle scritture contabili per ottenere i vantaggi già riservati ai più affidabili: nel 2023, senza concordato, erano stati 166.118, stando all’ultima ricognizione della Corte dei Conti nel Giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato.

Lo stesso paradosso andrà in scena quest’anno, se saranno confermate le anticipazioni di ItaliaOggi secondo cui solo il 30-40% dei nuovi firmatari parte da una pagella fiscale molto bassa. L’aggiunta del ravvedimento speciale rende l’operazione ancora più problematica, visto che lo strumento permette a chi ha evaso di mettersi in regola pagando molto meno di quanto sarebbe dovuto senza l’accordo. Riducendo gli introiti. Altro che gran successo.

L'articolo Concordato preventivo tra fisco e partite Iva, anche il bis delude ma per Leo è un “gran successo”. Ecco cosa non torna proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti