Concordato biennale, la maggioranza chiede al governo di estendere la sanatoria anche a chi aderisce per il biennio 2025-2026

  • Postato il 8 maggio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La commissione Finanze della Camera spinge per un allargamento della sanatoria sui redditi evasi dalle partite Iva che accettano il concordato preventivo biennale. I parlamentari di maggioranza, nel parere approvato ieri sul decreto correttivo della misura con cui il viceministro Maurizio Leo puntava a rendere (gradualmente) gli autonomi più virtuosi nel rapporto con il fisco, chiedono infatti al governo di concedere l’opzione del “ravvedimento speciale anche ai contribuenti che entro il 30 settembre aderiranno per il biennio 2025-2026. Vorrebbe dire riaprire le porte al condono forfettario che consente di mettersi in regola a prezzi di saldo per i mancati versamenti del passato. Una possibilità che era stata inizialmente riservata a chi ha detto sì alla proposta delle Entrate lo scorso anno, concordando reddito e relative tasse per il 2024 e 2025.
Il ravvedimento, va ricordato, consentiva ai contribuenti di regolarizzare le annualità fiscali dal 2018 al 2022 versando un’imposta sostitutiva con aliquote variabili in base al punteggio Isa – tra il 10% e il 15% per l’Irpef, il 3,9% per l’Irap – su un imponibile costituito dal reddito già dichiarato incrementato di una quota fissa che dipende sempre dal punteggio Isa: il 5% per chi ha un Indice di affidabilità fiscale pari a 10 (il più alto), il 10% per chi si piazza tra 8 e 10 ed è quindi ritenuto “affidabile” dalle Entrate, il 20% in caso di Isa “pari o superiore a 6 e inferiore a 8”, il 30% per Isa tra 4 e 6, il 40 se l’Isa è tra e 4, il 50% se si ferma sotto il 3. Ora i deputati chiedono di estendere il periodo sanabile anche al 2023, ipotesi che l’anno scorso era stata scartata visto che all’epoca per quell’annualità era ancora possibile presentare dichiarazione.
L’obiettivo dichiarato è anche stavolta rendere più appetibile lo strumento. Ma il flop della precedente tornata, chiusa con l’adesione di sole 584mila partite Iva su una platea di 2,6 milioni di autonomi soggetti agli Indici di affidabilità fiscale e 1,7 milioni di forfettari che applicano la flat tax, ha dimostrato come la scappatoia per le pendenze pregresse sia inefficace se i contribuenti sono consapevoli che il rischio di controlli resta risibile viste le insufficienti risorse umane e materiali delle Entrate. La seconda tornata parte ulteriormente azzoppata visto che proprio il decreto all’esame delle commissioni parlamentari abroga il concordato per i forfettari. Ora spetta al governo decidere se accogliere la richiesta come avvenuto lo scorso anno, quando le norme sul concordato sono state modificate in extremis proprio per introdurre la sanatoria chiesta in quel caso dalla commissione Finanze del Senato. I ritocchi auspicati peraltro non si fermano qui: in un’altra osservazione si chiede di prevedere che l’omesso versamento non rilevi ai fini della decadenza dal concordato se il responsabile regolarizza la propria posizione pagando entro 60 giorni da quando ha ricevuto l’avviso bonario.
In positivo va segnalato che il decreto, così come uscito dal consiglio dei ministri, mette un limiti all’applicabilità della flat tax sostitutiva sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello concordato con il fisco. Un maxi regalo concesso nell’agosto 2024, in uno dei correttivi arrivati in corsa, sempre con la logica di ingolosire le partite Iva. Il provvedimento varato a inizio aprile sancisce che non si potrà scegliere la tassa piatta (dal 10 al 15%, in base al punteggio Isa) se la cifra in ballo supera gli 85mila euro. In quel caso verranno applicate invece le normali aliquote Irpef del 43% e Ires del 24%. Una novità suscettibile di effettivi positivi sul gettito, nota la relazione tecnica, che pure in via prudenziale non stima il possibile maggior introito. La previsione, come ha evidenziato la deputata dem Maria Cecilia Guerra intervenendo in commissione, fa comunque cadere il velo sul fatto che “l’asserita assenza di effetti finanziari negativi” legati al regime opzionale “non fosse allora fondata su valutazioni attendibili”.

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