Con Trump è sempre più a rischio la democrazia liberale
- Postato il 11 novembre 2024
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Il Quotidiano del Sud
Con Trump è sempre più a rischio la democrazia liberale
Per la storica Ben-Ghiat Trump potrebbe indebolire la democrazia liberale preparando gli americani a una forma di potere autoritaria
A 47 mesi dall’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill, per il quale è stato incriminato a livello federale per cospirazione e ostruzione al processo elettorale, e con 34 condanne per falsificazione di documenti aziendali, Donald Trump ha trionfato nelle elezioni presidenziali del 2024. Accuse e condanne, combinate con le sue dichiarazioni in campagna elettorale su un rafforzamento dei poteri presidenziali e una revisione delle istituzioni federali, che hanno portato analisti politici e giornalisti a sollevare timori sul futuro della democrazia americana.
Testate come The Atlantic e The New York Times hanno espresso preoccupazione per l’effetto che una seconda presidenza Trump potrebbe avere sulla democrazia liberale e sul rispetto dei ‘checks and balances’ previsti dalla Costituzione, cioè il sistema di controllo reciproco tra i tre poteri fondamentali dello Stato: l’esecutivo (Presidente), il legislativo (Congresso) e il giudiziario (Corte Suprema e altri tribunali federali). Un principio ideato dai fondatori per evitare che uno solo di questi poteri prevalga sugli altri e per proteggere la democrazia.
TRUMP E LA DEMOCRAZIA LIBERALE SOTTO ATTACCO
Il timore è che la seconda amministrazione Trump potrebbe trasformare il governo federale in uno strumento di “lealtà al capo”, indebolendo l’integrità istituzionale e alimentando rischi di repressione politica e corruzione. La possibile espansione dell’autorità esecutiva, unita alla tendenza di Trump a delegittimare gli oppositori politici e a contestare le elezioni, alimenta paure di un declino irreversibile verso un modello autoritario, contrario ai principi democratici della tradizione parlamentare americana. Se da un lato il presidente può porre il veto sulle leggi approvate dal Congresso, che può a sua volta superarlo con una maggioranza qualificata, dall’altro la Corte Suprema può dichiarare incostituzionali le leggi o le azioni dell’esecutivo. Con una solida maggioranza repubblicana alla Camera e quella appena acquisita dagli stessi al Senato, si teme che il Presidente possa trovarsi in una posizione di controllo eccessivo, minacciando la divisione dei poteri e i diritti dei cittadini.
IL PIANO DI TRUMP SUL DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA
Trump ha già dichiarato in un’intervista del 24 ottobre scorso, che in caso di elezione avrebbe licenziato il procuratore speciale degli Stati Uniti Jack Smith, colui che ha guidato le azioni penali federali per i suoi tentativi di ribaltare la sconfitta elettorale del 2020 e per aver nascosto nella sua residenza privata documenti Top Secret, “entro due secondi” dal giuramento.
Secondo nove fonti anonime citate dalla Reuters nel maggio scorso, mai smentite dai repubblicani, il piano di Trump per il Dipartimento di Giustizia (Doj) sarebbe composto da due obiettivi principali. Il primo obiettivo è riempire il Doj con conservatori leali, che difficilmente si opporrebbero a ordini controversi provenienti dalla Casa Bianca. Il secondo è una ristrutturazione interna del dipartimento, che concentrerebbe le decisioni critiche nelle mani dei fedelissimi dell’amministrazione, anziché dei funzionari di carriera. Anche l’Fbi, spesso ritenuta prevenuta dai repubblicani, potrebbe subire nuove limitazioni, e molte delle sue funzioni verrebbero trasferite ad altre forze di polizia.
LO STUDIO DI RUTH BEN-GHIAT
Steve Bannon, uno dei principali alleati di Trump e figura già processata e condannata dal Doj per oltraggio al Congresso, appena uscito di prigione (sic!) ha confermato questa visione, dichiarando: «Trump ritiene che il Dipartimento di Giustizia abbia problemi istituzionali. Non si tratta solo di sostituire il personale: è necessario epurare il Doj, ma anche riformarlo radicalmente».
Trump non può più essere visto come una parentesi nella storia politica americana. La sua influenza si è radicata al punto da rappresentare non un’anomalia, ma l’immagine di un profondo cambiamento sociale e politico, ormai entrato nella storia degli Stati Uniti. Secondo Ruth Ben-Ghiat, storica e autrice di “Strongmen: Mussolini to the Present”, Trump ha lavorato per preparare il popolo americano ad accettare una nuova forma di potere, facendo appello alla forza e alla stabilità incarnate da leader autoritari come Vladimir Putin e Xi Jinping.
La vittoria repubblicana negli stati decisivi non ha solo riportato Trump alla presidenza, ma ha consolidato una nuova narrativa nazionale: quella di una nazione in trasformazione, in cui il disincanto popolare verso l’establishment e il desiderio di un cambiamento radicale hanno ormai preso il sopravvento. La politica americana ha intrapreso un nuovo corso, in cui l’idea di Trump come “incidente politico” è stata completamente superata.
IL POPULISMO ANTI-ELITE
Questa vittoria sancisce la sua affermazione come una forza permanente e dirompente, in grado di modellare l’America secondo una visione che sfida i principi tradizionali. La portata del suo impatto è tale che il populismo anti-élite e la disillusione verso la democrazia rappresentativa sono diventati tratti centrali di un movimento che sta ridisegnando il volto politico del paese. L’ascesa di Trump a simbolo duraturo di un nuovo movimento segna, per molti osservatori, l’inizio di una fase critica per il sistema liberale della democrazia rappresentativa americana.
Con la sua vittoria, l’idea di una democrazia fondata sul compromesso e sulla pluralità appare messa a dura prova, sostituita da un modello che esalta l’autorità e il consolidamento del potere nelle mani di una singola figura. Questa campagna elettorale ha dimostrato come Trump sia riuscito a instillare nell’elettorato la convinzione che il sistema tradizionale abbia fallito, aprendo le porte a un nuovo assetto politico più concentrato e meno aperto alle istanze di equilibrio.
LA LODE A XI JINPING E PUTIN
Leader come Putin e Xi Jinping, che Trump non ha esitato a lodare, rappresentano agli occhi di molti americani la stabilità che Trump stesso promette. Il rischio è che l’America, allontanandosi dai valori di partecipazione democratica e di contrappesi istituzionali, si avvii verso una forma di governo più autoritaria. La rappresentanza come espressione della volontà popolare sembra destinata a essere sostituita da una leadership monolitica, alimentata dal disincanto popolare e consolidata da un consenso basato su promesse di ordine e controllo, a scapito della libertà individuale e della diversità di opinioni che la democrazia liberale promuoveva. Il sistema americano si trova quindi davanti a un bivio storico, con Trump come emblema di un possibile tramonto dei valori della democrazia liberale che hanno plasmato il Paese, divenendo un modello per tutto il mondo occidentale.
Il Quotidiano del Sud.
Con Trump è sempre più a rischio la democrazia liberale