Con il Giubileo impazza il mercato nero (e vietato) di reliquie online
- Postato il 15 aprile 2025
- Di Panorama
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Con l’avvicinarsi del Giubileo degli adolescenti e la canonizzazione di Carlo Acutis, il giovane milanese morto a 15 anni e già proclamato “patrono di internet”, anche il mercato delle reliquie sembra essersi aggiornato ai tempi. Non più solo teche polverose o altari di provincia: oggi il sacro si vende online, a colpi di clic. Sui siti di vendite online, fiorisce un commercio inquietante che offre molto più delle solite immagini votive: ossa, capelli, brandelli di abiti, perfino frammenti che si dice appartengano a santi e papi. Basta una manciata di euro per accaparrarsi – almeno in teoria – un capello di Benedetto XVI o un frammento osseo di San Giuseppe Cottolengo. Ma dietro questa apparente devozione si cela un’altra realtà: quella di un mercato borderline, dove la fede si trasforma in merce e il confine tra sacro e truffa si fa sempre più sottile. Perché non solo la Chiesa vieta espressamente la vendita di reliquie autentiche, ma gran parte di quelle in circolazione sono falsi ben confezionati, destinati più all’inganno che alla venerazione.
La legge e il diritto canonico parlano chiaro: le reliquie autentiche non si possono vendere, tanto meno acquistare da privati. Eppure, molti venditori online riescono ad aggirare il divieto con un escamotage tanto semplice quanto fraudolento: nei loro annunci dichiarano esplicitamente di vendere solo il reliquiario, ovvero il contenitore dell’oggetto sacro, “con ciò che contiene”, come se il contenuto fosse un dettaglio irrilevante. È un modo per camuffare la vendita vera e propria della reliquia, e per sfuggire alle maglie della legge e dei regolamenti ecclesiastici. Una strategia che permette di mettere in commercio pezzi che dovrebbero essere preservati e venerati, trasformandoli in oggetti da collezionismo, più che da culto.
Gli annunci sono chiari: si possono trovare ex ossibus di San Cottolengo per 180 euro, frammenti ossei di San Nicola di Bari a 160, e addirittura parte del vestito di Santa Teresa del Bambin Gesù a cifre simili. Le presunte reliquie di Carlo Acutis, il cui corpo è custodito nel Santuario della Spogliazione ad Assisi, sono tra le più richieste. Di recente, un annuncio che offriva ciocche dei suoi capelli è stato rimosso dopo l’intervento del vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, che ha denunciato il caso come un possibile sacrilegio o una truffa, chiedendo il sequestro degli oggetti e aprendo un’indagine contro ignoti. Ma nonostante le denunce, il mercato continua a prosperare, con venditori che riescono a mantenere l’anonimato grazie all’uso di pseudonimi, rendendo difficile l’intervento delle forze dell’ordine.
Un’altra reliquia acquistabile per circa 120 euro sono i capelli di Papa Benedetto XVI. In questo caso, il venditore non si preoccupa nemmeno di fornire una prova concreta dell’autenticità, ma si limita a includere una copia scansionata di un certificato di provenienza.
E non finisce qui. Per chi cercasse qualcosa di più sostanzioso, c’è la reliquia “ex ossibus” di San Leone Papa Confessore, proposta per 850 euro. Ancora una volta, nessuna prova concreta della veridicità dell’oggetto, solo una copia del certificato. E se l’offerta sembra già incredibile, compare anche una ciocca di capelli e un campione di sangue di Santa Madre Teresa, in vendita per 193 dollari, accompagnati da una foto 10×15 e da un certificato firmato da una certa “Sister Y. Sandoval”, che avrebbe lavorato a stretto contatto con la santa di Calcutta. Nessuna verifica indipendente possibile, solo un’altra offerta che mescola devozione e dubbio.
Per i collezionisti più esigenti, c’è persino un reliquiario con capelli di San Padre Pio, venduto a 1.464 euro. Nessuna documentazione ufficiale, solo la copia di un certificato e una descrizione che promette un “oggetto sacro di prima classe”. Prezzi da asta d’arte, ma zero garanzie.
Il problema, però, non è solo la mercificazione di oggetti religiosi. Il nodo centrale è che questi venditori, consapevoli o meno, violano le regole della Chiesa e alimentano un circuito dove il confine tra fede e farsa è sempre più labile. Se davvero le reliquie vendute fossero autentiche, nessuno avrebbe il diritto di metterle sul mercato. Se non lo sono, si tratta di truffe belle e buone. In entrambi i casi, chi compra viene ingannato.
“Per ottenere reliquie autentiche bisogna rivolgersi ai vescovi o ai postulatori, cioè gli avvocati del Vaticano che seguono le cause di beatificazione e canonizzazione. Le reliquie possono essere donate gratuitamente, ma in alcuni casi si può chiedere un contributo economico per coprire le spese legate alla lavorazione del reliquiario o alla gestione burocratica della richiesta. Le reliquie si distinguono in tre tipi: A, che sono parti del corpo del santo, come ossa, sangue, capelli; B, cioè oggetti o indumenti che sono stati a contatto diretto con il corpo; e C, che sono stati solo a contatto con una reliquia autentica. Dal 2017, con una direttiva del Vaticano, non è più consentito prelevare parti del corpo dei nuovi beati e santi, quindi le reliquie di tipo A non possono più essere prodotte”, spiega David Murgia, presidente del GRIS – Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa, riconosciuto dalla CEI.
Cosa può dirci delle reliquie in vendita?
“La reliquia non è un oggetto magico o un feticcio, ma un segno spirituale. È qualcosa che ha valore per ciò che rappresenta: la vicinanza di un santo, un punto di contatto con la grazia, la testimonianza di una vita vissuta nella fede. Ma proprio per questo è fondamentale che sia autentica. Dal 2017, le reliquie autentiche vengono sigillate con ceralacca e un numero progressivo, per contrastare le falsificazioni. Eppure, contraffarle resta facile. Chi mette in vendita una reliquia commette simonia, un delitto gravissimo. Non solo incorre nella scomunica, ma tradisce lo spirito stesso del Vangelo. La fede, almeno quella vera, resta fuori da queste vetrine virtuali. E chi cerca un segno del divino finisce, troppo spesso, con l’acquistare solo una buona imitazione.”