Con Francesco d’Assisi non dimenticare i Santi Bartolo Longo e Giuseppe Moscati. Anniversari dialoganti di verità cristiana


Pierfranco Bruni

Con Francesco d’Assisi, il Santo della povertà fortificante e dell’umiltà vivificante, la “storia” dei Santi è tempo non solo di cristianità, ma anche di umanità. I Santi sono un legame di fede nella fede o nella laicità di ognuno di noi.

Il 2026 è l’anno che ricorda Bartolo Longo, costruttore di carità e preghiera, figura emblematica della profonda meridionalità delle genti e della geografia dei Sud. Ho avuto modo di scriverne e di parlarne: la carità della preghiera e la quotidianità vissuta come fede rendono la sua memoria un testimone vivo nel nostro tempo.

Bartolo Longo è stato ufficialmente proclamato santo il 19 ottobre 2025 da Papa Leone XIV, insieme ad altri sei nuovi santi in una celebrazione solenne a San Pietro, in presenza di decine di migliaia di fedeli. La sua opera – tra cui la fondazione del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei e numerose iniziative di carità – è considerata esempio di amore autentico per Dio e per il prossimo.

Ho sempre legato la figura di Bartolo Longo a un altro Santo al quale sono profondamente legato: San Giuseppe Moscati, il medico dei poveri. A lui è dedicata, tra altri luoghi di culto, anche la Chiesa di San Giuseppe Moscati, un luogo di preghiera e memoria per quanti guardano a lui come modello di fede vissuta e di carità operosa.

La celebrazione della morte di San Giuseppe Moscati ricorrerà nel 2027, l’anno successivo alla ricorrenza di Bartolo Longo. Sono i luoghi degli occhi oranti che mi portano a Paolo, in quel viaggio paolino che ho incontrato nella parola del Francesco di Paola. Il tempo sembra non mutare nulla, e forse ci illudiamo di mutarlo noi. L’illusione potrebbe raggiungere il delirio, ma c’è la fede in Cristo che ci restituisce il valore della pietà, dell’attesa e della speranza. San Giuseppe Moscati è una costante e mi pone sempre nella prospettiva dell’attesa, tra scienza, filosofia e sacro, dove chi cerca di andare oltre il sentimento della contemplazione trova saggezza e grande misericordia.

Ricordo spesso una frase di Santa Giuseppina Bakhita: «Sono stanca perché ho due valigie da portare, tutt’e due pesanti. Una è mia, piena di debiti; l’altra è piena di meriti di Gesù. Appena sarò sulla porta del Paradiso, coprirò i miei debiti con i meriti della Madonna. Poi aprirò l’altra valigia e dirò: “Eterno Padre, ora giudicate per quello che vedete”». E spesso, pensando a San Giuseppe Moscati, mi giungono le parole di Bakhita.

Nella spiritualità del mistero cammina la religiosità che ha i suoi dubbi e le sue verità. Il mistico non ha certezze: cerca la verità e chiede alla verità di farsi ascoltare soprattutto nei tempi dell’inquieto vivere, come armonia e tremore (Kierkegaard), o come tragico sentire la vita (Unamuno). La religiosità è dentro la filosofia. Agostino ha precorso i tempi della nostalgia dell’uomo e ha recuperato il dimenticato.

Il mistico e lo “sciamano” sono due figure che interiorizzano il sentire, l’ascoltare, il donare. La religiosità dei popoli, fatta di antropologia, ha le sue memorie e i suoi radicamenti dal Tibet alla Mecca, da Gerusalemme a Roma. Ma nella profondità di questo esercizio spirituale mi ritorna la figura carismatica di San Giuseppe Moscati.

La domanda “Perché Giuseppe Moscati?” non trova risposta nel mio aver scritto diverse pagine su di lui, né nel legame biografico o nelle date, né nel rapporto con il mio maestro di letteratura. Forse è perché il suo sguardo mi porta alla serenità contemplante dell’accettazione e alla profezia che è oltre la speranza.

In Moscati profezia e speranza sono un fraseggio dell’anima. È un uomo che ha la capacità di assentarsi dalla scienza per offrirsi al dono della fede come mistero e non come mera teologia. È già dentro il mistico stesso, un cristiano che lega non tanto alla tradizione giudaico-cristiana, ma alla contemplazione della preghiera come Respiro dell’anima. In questo si ritrova un dialogo possibile col sacro che supera divisioni dottrinali e tocca il cuore stesso della spiritualità.

Moscati è un Santo nel nostro tempo: mostrarlo con il camice bianco nelle iconografie tradizionali è testimonianza di una fisicità quotidiana che si perde nel senso profondo dello sguardo, senza bisogno di specchio. Il Santo, la cui vita vissuta non si perde ma si trasfigura, è l’umanità della preghiera che non si impone ma diventa orizzonte sacro della fede.

San Giuseppe Moscati è sì un santo popolare, e questo sentimento del “popolare” non lo pone nella dimensione della sola ragione, ma lo porta oltre la ragione stessa. La sua azione è una costante misericordia che non si esaurisce nella teologia istituzionale ma si radica nella carità concreta dell’agire quotidiano.

Il dialogo tra Bartolo Longo e Moscati, e la storia stessa di Pompei e di Napoli, resta una testimonianza ontologica nel cammino del cristiano e della fede popolare. A volte sembra che la fede e il mistero si svolgano fuori dalle mura ecclesiali. Io, che non vivo la Chiesa come mero apparato teologico, cerco in Moscati il Santo del popolare che rende visibile il travaglio di Padre Pio e il sentiero mistico di Natuzza Evolo.

Il Santo è oltre la Chiesa istituzione pur restando nella Chiesa come misericordia. La Napoli di San Giuseppe Moscati non è solo la Napoli della Chiesa istituzione, ma la Napoli della santità popolare: non come uomo di “atti teologali”, ma come mistero, fede e carità.

Moscati vive dentro un’antropologia dell’umanesimo popolare che ha come riferimento fondamentale “nel nome di Cristo in Dio”. Egli vede nella Chiesa il punto di riferimento più alto e fa della sua fede un esercizio nelle azioni. Al contrario, Natuzza – pur nella sua spiritualità profonda – è una laica che subisce ferite e mortificazioni, come accadde a padre Pio.

Diceva Bakhita: «Guardate e vedete quanto misteriose sono le vie della Provvidenza di Dio e quanto è grande la Sua misericordia». Quella misericordia si ritrova nelle azioni e nelle parole di Moscati, negli angeli di Natuzza, nella grazia di Padre Pio: un filo che lega la sofferenza alla Provvidenza.

La Provvidenza mariana e profonda è il carisma di San Bartolo Longo. Maria al centro dell’Universo, il Rosario come mistico viaggio nel tempo dell’uomo che diventa caritatevole. Longo stesso lasciò questa vita con queste parole: «Il mio unico desiderio è quello di vedere Maria, che mi ha salvato e mi salverà dalle grinfie di Satana».

Non dimenticare di ritornare su queste personalità: credo che sia importante per penetrare il mistero e il senso del mistico nella fragile modernità che ci abita.

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Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo, direttore del Ministero dei Beni Culturali e, dal 31 ottobre 2025, membro del CdA dei Musei e Parchi Archeologici di Melfi e Venosa, nominato dal Ministro della Cultura; presidente del Centro Studi “Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.

Nel 2024 è stato Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.

Incarichi in capo al Ministero della Cultura:

Presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

Presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

Segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.

È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse” e presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con studi su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e sulle linee narrative e poetiche del Novecento che richiamano le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.

Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale esplora le matrici letterarie dei cantautori italiani e il rapporto tra linguaggio poetico e musica, tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

Studioso di civiltà mediterranee, Bruni unisce nella sua opera il rigore scientifico alla sensibilità umanistica, ponendo al centro della sua ricerca il dialogo tra le culture, la memoria storica e la bellezza come forma di identità.
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