Commercio ittico: nastro trasportatore per i PFAS

  • Postato il 26 dicembre 2025
  • Di Focus.it
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Attraverso gli scambi mondiali di pescato le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) si diffondono da un capo all'altro della Terra, arrivando anche nel piatto di consumatori di Paesi in cui sono meno presenti. Uno studio pubblicato su Science spiega come il commercio ittico mondiale sia diventato un sistema di spedizione garantito di questi composti chimici industriali resistenti ai principali processi di degradazione. E come la loro gestione sia ormai da considerare un problema globale.. Pesce grande mangia pesce piccolo. Che mangia PFAS. Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), o acidi perfluoroacrilici, sono una famiglia di composti chimici con una struttura che conferisce loro una particolarità stabilità termica, oltre a proprietà idrorepellenti e oleorepellenti. Sono acidi molto forti prodotti dall'uomo e usati in moltissimi abiti industriali (dal packaging alimentare all'abbigliamento tecnico, dai prodotti farmaceutici alle vernici) per aumentare la resistenza alle alte temperature, all'acqua e al grasso. Le stesse proprietà che li rendono desiderabili per il mercato fanno sì, però, che abbiano un'elevatissima persistenza nell'ambiente, dove si accumulano con effetti poco rassicuranti e ancora poco noti sulla salute nostra e degli ecosistemi.. I PFAS contaminano ormai le acque e le falde acquifere e una volta arrivati in mare, sono assorbiti dai più piccoli organismi alla base della catena alimentare, come il plancton. Attraverso di essi si accumulano nel corpo dei pesci che se ne nutrono, risalendo così i vari gradini della scala trofica fino ai predatori più grandi. I pesci più grossi che finiscono nei nostri piatti, cacciatori di creature più piccole, sono pertanto quelli in cui l'accumulo di PFAS nei tessuti è più significativo.. Import-export di PFAS. Un gruppo di scienziati dell'Università di Harvard ha usato modelli computerizzati comprendenti 212 specie ittiche per mappare il modo in cui i PFAS si muovono nella catena alimentare marina, e ha poi validato quanto scoperto in test di laboratorio sui pesci pescati in diversi Paesi. A questo punto, usando i dati sul commercio ittico globale, i ricercatori hanno cercato di capire come i PFAS si spostino, insieme ai pesci che contaminano, da un punto all'altro del Pianeta.. La deduzione più interessante è che lo smercio di pescato agisce da fattore di ridistribuzione del rischio di entrare in contatto con i PFAS attraverso il cibo. Anche i consumatori di una nazione con acque relativamente poco contaminate possono assorbire livelli elevati di PFAS, se nel loro Paese si consuma molto pescato proveniente da una nazione dove questo tipo di inquinamento è più persistente. Per esempio, i consumatori dell'Italia (Paese in cui comunque il rischio PFAS è molto sentito) comprano solo l'11% del loro pescato dalla Svezia, ma da questo pescato proviene oltre il 35% della loro esposizione ai PFAS.. Inquinamento senza confini. A che cosa servono queste analisi? Di certo non ad attribuire colpe e responsabilità a un Paese o all'altro (né a scagionare il proprio). Piuttosto, la ricerca fornisce uno spunto per riflettere sulla diffusione degli inquinanti industriali perenni, che non sono più, o non sono mai stati, un problema locale, ma sono una questione di interesse globale. Visto che di certo non smetteremo di mangiare pesce, sarebbe più utile trovare alternative più sostenibili a questo tipo di sostanze, e approfondire i loro effetti sulla nostra salute..
Autore
Focus.it

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