Come Mamdani convinse la madre e regista Mira Nair a rinunciare a Harry Potter per raccontare gli immigrati a New York
- Postato il 5 novembre 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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Cuore di mamma in tempi di social. Quando Zohran Mamdami è diventato ufficialmente sindaco di New York, Mira Nair ha postato timidamente una storia su Instagram dove svetta il primo piano del figlio 34enne ed esplode tra festoni e stelle filanti la scritta “Zohran sei bellissimo”. Chissà se nel 1991 quando Nair realizzava Mississippi masala, il secondo lungometraggio che l’avrebbe poi resa celebre negli ambiti festivalieri e d’essai, ha mai pensato che quel neonato che teneva tra le braccia sarebbe diventato primo cittadino della Grande Mela. Molti biografi della regista indiana ricordano comunque che molto afflato politico del figlio deriva dalla sua carriera di cineasta.
Laureata in sociologia a Delhi, poi a 19 anni ospitata a Harvard con una borsa di studio, conseguirà nel milieu liberal dei primi anni Settanta una specializzazione in Studi Visivi e Ambientali. Nair si dedica subito al documentario, un approccio al cinema di forte realismo. Tanto che i suoi primi lavori – Jama Masjid Street Journal, India Cabaret, So far from India – esaminano con perizia entomologica vite ai margini, dalle spogliarelliste di Bombay agli immigrati indiani che vivono in clandestinità a New York. Molti osservatori del suo cinema dell’epoca sostengono che Nair avesse l’obiettivo con l’esposizione di quei soggetti di “mettere a disagio il pubblico”.
Per Salaam Bombay, il lungo d’esordio del 1988, che le porterà addirittura una nomination all’Oscar per il miglior film straniero e ad una Camera d’Or a Cannes, quell’aderenza al reale avrà uno sviluppo di finzione nella storia dei bambini che vivono nelle baraccopoli di Bombay, interpretati da veri minorenni abitanti ai margini degli slum indiani. Nair fonderà l’organizzazione Salaam Baalak Trust per aiutare proprio questi bambini attori nel film ad una vita economicamente migliore. Una goccia nel mare, si dirà.
Nel 1991, Nair gira il suo secondo film, questa volta a produzione anglo-statunitense, Mississippi Masala. Molti ricorderanno che il film tratta di una famiglia di origine indiana che nel 1972 viene cacciata dall’Uganda dall’allora dittatore Idi Amin e si trasferisce da dei parenti negli Stati Uniti, appunto in Mississippi. Il film illustra un cortocircuito di “dislocazione culturale” più che di razzismo tout court. Infatti mentre il padre della famiglia esiliata diffida degli afroamericani memore del trattamento in Uganda, la figlia Mina si integra facilmente e anzi, si fidanza con un pulitore di tappeti interpretato da Denzel Washington, allora in rampa di lancio nel firmamento hollywoodiano. Il film ebbe collaborazioni illustri come il direttore della fotografia Ed Lachman, mentre la produzione subì parecchie pressioni affinché i protagonisti indiani fossero interpretati da attori bianchi. Mississippi Masala s’impone ancora una volta nei circuiti d’essai anche europei.
Nel 1996 Nair gira Kama Sutra un drammone erotico in costume, ambientato nell’India nel settecento, con una lotta a suon di sesso tra una principessa e la sua serva per ottenere le grazie di un principe. Una sorta di La favorita ante litteram che viene sbertucciato dalla critica azzimata e progressista dell’epoca. Nel 2001 Nair torna alla ribalta con Monsoon wedding, celebrazione colorata ed esuberante di un elemento tradizionale della società indiana in un contesto contemporaneo. Tanti gli elogi ma anche qualche acceso detrattore, Monsoon Wedding vince a sorpresa il Leone d’Oro a Venezia nel 2001 con a capo della giuria Nanni Moretti che eleva il dramma “mite” a suprema opera d’arte, mentre in Concorso si susseguono Paul, Mick e gli altri di Ken Loach, Canicola di Ulrich Seidl, The others di Amenabar, Come Harry divenne un albero di Goran Paskaljevic.
Il 2004 è l’anno della svolta commerciale. Con un’ulteriore versione di La fiera delle vanità, interpretata da Reese Witherspoon, Nair abbandona totalmente il realismo delle origini ma sull’altra sponda non trova nemmeno il successo economico. Nel 2006 con The Namesake torna il tentativo dell’affresco sugli immigrati del Bengala occidentale di prima generazione nelle periferie di New York. L’affresco familiare complesso e ramificato che oscilla tra Stati Uniti e India, prodotto dalla Fox diventa il primo vero successo al box office per la regista indiana. Nair peraltro ha sempre ricordato che è stato proprio suo figlio, ovvero il neo sindaco di New York appena 15enne a convincerla di mollare l’offerta per un capitolo di Harry Potter per portare a termine The Namesake.
Due anni dopo porterà sullo schermo il biopic Amelia sulla controversa figura di Amelia Earhart (interpretata da Hilary Swank fresca vincitrice di un Oscar per Million dollar baby), l’aviatrice statunitense pioniera della circumnavigazione del globo, che scompare misteriosamente in volo nel luglio del 1937 in mezzo all’Oceano Pacifico. Nel 2012 Il fondamentalista riluttante apre la Mostra del Cinema di Venezia ed è il tentativo forse più politico della Nair nell’affrontare ancora una volta l’integrazione tra culture differenti, soprattutto per il protagonista, un professore pakistano diventato un importante analista finanziario a Wall Street ma che dopo gli attentati dell’11 settembre è costretto a tornare in patria. Un salto dal mondo induista a quello islamico molto complesso e in parte anche criticato, ma che mostra come Nair abbia trasformato il suo approccio al cinema da una forma di documentarismo oltranzista a quello del thriller hollywoodiano liberal a tesi.
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