Come Citroën ha reso l’auto un mezzo per tutti: dalla mitica 2CV alla recente C3

  • Postato il 30 luglio 2025
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Mangualde, Portogallo, 27 luglio 1990, ore 16:00. Un silenzio strano avvolge lo stabilimento. Poi, da una delle linee di produzione più iconiche d’Europa scivola fuori lei: una Charleston bigrigia, l’ultima delle Citroën 2CV, vera ribelle su quattro ruote. A salutarla, una banda musicale, come in un funerale, ma anche come in una festa. Perché quella macchina era un’idea, e quando un’idea è forte resiste alla chiusura della linea di montaggio. Ma cosa l’ha resa tanto memorabile? Per capire cosa ha rappresentato la 2CV dobbiamo fare un netto salto indietro.

Origini: una macchina per il popolo

Anni ’30. In Francia si respira aria di cambiamento (e pure di guerra, ma lasciamo perdere per un attimo): Pierre-Jules Boulanger, il nuovo boss di Citroën, riceve una bella cartella sulla scrivania, contenente al suo interno un’indagine di mercato: “Che tipo di macchina vogliono le persone normali?”. Le caratteristiche vengono messe nero su bianco, a cominciare dal prezzo, alla portata del proletariato, che finalmente poteva coprire distanze prima irraggiungibili, senza bisogno di essere piloti.

Doveva portare due contadini – gente coi pantaloni sporchi e gli zoccoli ai piedi – magari con fieno, sacchi, galline, tutto il necessario. Mantenere i 60 km/h con appena tre litri ogni 100 km, abbastanza per coprire intere vallate, collegare villaggi, saltare ostacoli geografici, che prima sembravano muri. E, infine, superare il test più spietato: passare su una buca con un uovo nel cestino e arrivare a destinazione con l’uovo ancora intatto. Nessuna storia romanzata a posteriori, il banco di prova veniva eseguito sul serio.

E allora via al progetto TPV (Toute Petite Voiture): una “macchinetta” rivoluzionaria. Il primo prototipo spunta nel ’37, “brutto forte”, dicono i giornalisti, ma a Boulanger fanno spallucce, convinti di muoversi nella direzione giusta: l’estetica è l’ultima delle priorità, piuttosto l’obiettivo è quello di portare mobilità, là dove le strade asfaltate si interrompevano e cominciava la fatica. Quindi, scoppia la guerra e i piani saltano, costringendo ad accantonare i prototipi, nella speranza di una ritrovata pace. Eppure, la 2CV ingoia il colpo e nel ’48 spunta al Salone di Parigi, in una presentazione antiborghese, tra lo scetticismo generale e persino qualche battuta, ma questa rivoluzione pacifica a trazione anteriore strega il mercato, spingendo le liste d’attesa a superare l’anno.

Qui arriva la parte spesso taciuta. Nella 2CV, oltre all’ingegno francese, lascia traccia del proprio passaggio un cervello italiano: Walter Becchia, classe 1896. Nato a Casale Monferrato, scappa dal fascismo e si fa le ossa in Francia, prima alla Talbot-Lago, dopodiché in Citroën ed è lui che costruisce il cuore pulsante della 2CV, un bicilindrico raffreddato ad aria, orizzontale, solido come una zappa, e parco come un uomo di campagna. Non a caso, il primo motore Tipo A aveva 375 cc, 9 cavalli, toccava 60 km/h di massima, e beveva pochissimo, conforme alle esigenze del mondo reale. Il motto era “massimo risultato alle minime risorse”, e quando gli portano una moto mezza distrutta durante la guerra, Becchia ha il colpo di genio, una volta esaminato il propulsore pezzo per pezzo.

Simbolo di stile e ribellione

Nel 1951 la 2CV è talmente richiesta che per riceverne una bisogna attendere diciotto mesi. Invece di cavalcare l’entusiasmo, Citroën preferisce restare fedele all’impostazione originaria, modificando solo l’essenziale, pertanto, il motore viene gradualmente potenziato, passando dai 9 cavalli iniziali fino a raggiungere i 29, con una velocità massima che negli anni Settanta arriva a toccare i 120 km/h. Al di là dei numeri, mantiene lo spirito di un mezzo semplice, concreto, resistente, costruito attorno alle esigenze pragmatiche delle persone.

Con gli anni, la 2CV finisce nelle mani dei preti di campagna, dei figli dei fiori, degli studenti parigini in rivolta, dei manager radical chic e di celebrità, tipo Claudio Baglioni. Nonostante non rispetti i canoni classici di una “bella macchina”, compare persino in film e serie TV, tra cui Solo per i tuoi occhi, dove accompagna James Bond in un inseguimento rocambolesco su strade di montagna; Off to the Revolution by a 2CV, road movie italiano che la mette al centro di un viaggio generazionale attraverso l’Europa; Sor Citroën, commedia spagnola diventata cult, con una suora al volante; e ancora La Pantera Rosa, Il ragazzo di campagna, Morire d’amore.

L’equilibrio si spezza negli anni ’80, nel momento in cui l’industria inizia a chiedere macchine più snelle, aerodinamiche, facili da produrre su larga scala. Citroën risponde con la AX, una nuova utilitaria progettata per stare al passo con i tempi, e il successo commerciale non tarda ad arrivare. Lo stabilimento di Mangualde, cuore operativo della 2CV, viene destinato alla produzione del nuovo modello, segnando il tramonto operativo di un mito, coerentemente con l’epoca; tuttavia, quell’ultimo esemplare del 1990, in livrea Charleston, ha il sapore netto di una chiusura simbolica.

L’elettrico popolare

Il pensiero che Citroën abbia perso contatto con le sue origini crolla alla prova dei fatti. Ancora oggi, la Casa del Double Chevron porta avanti la stessa missione e la nuova C3 ne è la testimonianza più evidente. Disponibile sia nella versione a benzina sia nella nuova Hybrid 100 e-DCS6, dotato di motore efficiente e doppia frizione automatica, rappresenta l’evoluzione naturale di un approccio realistico alla guida.

Il vero salto consiste nella ë-C3, elettrica compatta capace di percorrere fino a 440 chilometri in ambito urbano, con ricarica rapida all’80% in soli 26 minuti. Il tutto con prezzi di listino popolari, alla portata di molti, non costruito per stupire ma per funzionare, del resto l’elettrico da vetrina lo sa fare chiunque (o quasi), invece quello democratico, utile, quotidiano, ne sono capaci in pochi. Nei primi sei mesi del 2025, la C3 è stata l’auto a benzina più venduta in Italia, e pure la best seller nel suo segmento tra le elettriche, un trionfo netto, impossibile da ignorare.

Siccome anche chi consegna pacchi o ripara caldaie merita tecnologia, comfort, e un veicolo su misura, Citroën si rivolge ai professionisti con la nuova C3 Van, proposta in diverse motorizzazioni, compreso il full electric, una degna metamorfosi dell’antenata mai dimenticata. Chissà, forse un giorno lo rivedremo in una 2CV a batteria del futuro, comunque vada, l’essenza risiede nell’idea, a prescindere dalla nostalgia, e la Casa d’oltralpe la continua a coltivare. A modo suo.

 

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