Cioran mi parla e l’angoscia è un pensiero stanco
- Postato il 16 settembre 2025
- Antropologia Filosofica
- Di Paese Italia Press
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Pierfranco Bruni
Cioran abita l’angoscia del tempo in fuga. È un tormento che non ha mai voluto accettare la metafisica eppure la metafisica lo ha rincorso tra i labirinti di Eliade che hanno condotto al focolare domestico. Tutto non ha senso. O ha troppo senso per avere un orizzonte di senso. Le sue lacrime hanno sempre la voce dei Santi. Si immolano per non rubare lo spazio del castello.
Il filosofo che cercò il nulla e trovò il tutto si perse nel deserto dei pensieri. I pensieri si sfaldano. Anzi diventano materia e si sfaldano nel cielo plumbeo degli orizzonti.
Non chiede pretese ma tempo. I pensieri si stadicano nel tempo e il tempo impassibile continua la sua durata nel momento in cui l’uomo si sgretola diventando macerie. La memoria è una rovina che non si compone più. Tutto si scompone si decompone si azzera.
Dio esiste? Dio esiste ma è diventato malinconia. Dio è nostalgia nella modernità della catastrofe. Con Dio esiste solo l’io.
Ma l’io non riesce a riappacificarsi con Dio. Le contraddizioni sono anima persa. Siamo uomini tristi perché non sappiamo accogliere accettare pazientare. Di cosa avremmo bisogno?
Sconfitti dall’eterno ci consideriamo immortali. Per avere un sorriso dobbiamo fare in modo di uccidere l’orologio. Senza sapere che tutti siamo orologiai venditori di ore e misuratori di istanti superiamo il crepuscolo per aspettare il tramontare.
Se dovessimo trovarci in un bosco il timore sarebbe una aggressione. Compratori di follia. Preghiamo soltanto nella notte buia. Il bene e il male sono un agguato ma non sappiamo riconoscere fino a che punto sostenere l’oltre.
Siamo esiliati. Siamo senza limiti. Siamo deriva. Di là dal mare c’è una vela ma il vento è tempestosa. Siamo senza bussola. Cosa si dovrebbe fare? Raccogliere il silenzio e consegnarsi alla pazienza.
Santa Teresa d’Avila ha superato la soglia del castello per avvistare la sabbia dei deserti oltre il suo palazzo nel quale le luci splendono per fede ma non per virtù. Per Grazia ma non per beatitudine. Troppo vasto il suo spazio tanto da non contenere il tempo.
Cooran ascolta le ombre ed è troppo assente per colmare una distanza. La sua assenza crea una voragine nel nevischio dell’inverno. Ci sono molti inverni nel nostro cammino e nessuno conosce il desiderio perché è troppo pieno ol destino. Siamo viventi nel destino. O siamo morenti nel dubbio di essere ancora in vita.
Siamo eredi della trasgressione o la trasgressione ci rende eredi nell’impossibilità di vivere una esistenza disegnata in un bagliore di nascita.
L’angoscia è sorella della agonia terribile che vorrebbe fermare il racconto del tempo e trasformarlo in mito. Ci mancano le coordinate. Siamo stati gettati nel quotidiano che respira la modernità fallace e banale. Siamo eredi dei flagellati. Prendendo in prestito questo termine di Cioran ci rendiamo disponibili ad essere flagellatori. Cristo ci osserva.
Chi di noi avrà il coraggio di confrontarsi con Cristo e raccontare la propria verità? Cammino lungo le strade dei pensieri. I pensieri diventano la vaghezza del vuoto. Oltre c’è sempre il tramonto.
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