“Ci rubano il lavoro”: i giovani in Cina contro il nuovo visto per attirare professionisti stranieri

  • Postato il 15 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno impoverito le università americane, tra tagli alla ricerca, controlli sugli scienziati stranieri, e reso assai più costoso l’ingresso nel Paese per lavoratori qualificati col rincaro dei visti H-1B. A fronte delle decisioni della Casa Bianca, la Cina è tra i principali soggetti avvantaggiati, con molti istituti della Repubblica popolare che – già classificati tra i migliori al mondo per le materie scientifiche e tecnologiche – puntano ancor di più ad attrarre talenti da tutto il mondo. Per farlo Pechino ha lanciato dal 1° ottobre un nuovo visto proprio per facilitare l’ingresso dei laureati stranieri – per studio o per affari – delle migliori università del mondo in scienze, tecnologia, ingegneria o matematica. Ma la decisione è stata accolta da una valanga di polemiche, in un Paese dove la disoccupazione giovanile è in aumento e anche per i neolaureati trovare un’occupazione è tutt’altro che semplice. Non si sa se il visto possa consentire a chi lo riceve di lavorare o soltanto di effettuare scambi formativi e commerciali, ma il requisito è il conseguimento di una laurea triennale in scienze, tecnologia, matematica o ingegneria presso un’università prestigiosa. Quello della sola laurea triennale è un punto peraltro ampiamente criticato, visto che molti giovani cinesi anche con un titolo di studio più avanzato dicono di non trovare un impiego a causa di una concorrenza molto aggressiva.

A fare luce sulla polemica è il New York Times: tantissimi i commenti razzisti nei confronti degli indiani dopo che i medi di Nuova Dehli “hanno parlato del visto cinese come possibile alternativa al visto americano H-1B, che ora prevede una tassa di 100mila dollari”. Sui social, poi, si sono riversati anche i commenti razzisti e xenofobi di molti influencer, specie dopo le dichiarazioni di Henry Huiyao Wang, presidente del Center for China and Globalization, un gruppo di ricerca di Pechino, che ha elogiato il nuovo visto. Un boom di reazioni infiammate a cui ha reagito anche il Partito comunista cinese, il cui portavoce, dalle colonne del Quotidiano del popolo ha definito le critiche “stravaganti”. A difesa delle decisioni del governo anche Hu Xijin, ex caporedattore del tabloid nazionalista Global Times, che si è affrettato a osservare quanto gli stranieri siano più numerosi in Giappone e Corea del Sud rispetto alla Cina.

Negli ultimi anni è stato il governo per primo ad aumentare la xenofobia, mettendo in guardia la popolazione dai pericoli di nazioni ostili e dalle “trappole” tese da potenziali spie. Un clima del sospetto che in questa circostanza si fa sempre più pressante, in un Paese che “storicamente avuto livelli minimi di immigrazione e permangono numerose barriere culturali e legali per gli stranieri che desiderano rimanere a lungo termine”. Una proposta avanzata cinque anni fa che voleva alleggerire i requisiti di ingresso aveva infatti incontrato le stesse resistenze che si osservano oggi.

In Cina la crescita sta rallentando così come l’occupazione, ed entrambi sono fattori determinanti per evitare disordini. Alla base delle fatiche dei neolaureati c’è la crisi del settore immobiliare e dell’istruzione, i due ambiti nei quali storicamente venivano maggiormente impiegati. In ambito tecnologico e AI invece servono “decine di milioni di candidati qualificati in più rispetto a quelli che ha” Pechino. Per quanto la Cina “produca il maggior numero di laureati in materie scientifiche e tecnologiche al mondo”, è da ricordare che “questi laureati rappresentano una percentuale inferiore della forza lavoro totale rispetto a molti paesi occidentali”.

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Il Fatto Quotidiano

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