Chirurgia in 3D: in Inghilterra il primo volto ricostruito in modo artificiale
- Postato il 2 novembre 2025
- Di Panorama
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Un uomo di 75 anni del Devon, Dave Richards, è diventato protagonista di una storia che sembra uscita da un romanzo ma che è perfettamente reale: durante una gita in bicicletta è stato travolto da un guidatore ubriaco che lo ha trascinato sotto il veicolo, provocandogli gravissime lesioni tra cui ustioni di terzo grado su un lato del volto e del collo, la perdita dell’occhio sinistro e la frattura del bacino e di più costole. Dopo mesi di interventi chirurgici tradizionali, Dave è stato trasferito al Bristol 3D Medical Centre, dove gli è stata realizzata una protesi facciale completamente stampata in 3D, calibrata nei minimi dettagli: tono della pelle, colore dei capelli, simmetria del volto e adattamento ai movimenti naturali. La protesi non è un semplice “guscio”, ma una vera e propria soluzione per restaurare identità, fiducia e qualità della vita.
La stampa 3D applicata alla chirurgia ricostruttiva rappresenta un vero salto tecnologico rispetto alle tecniche tradizionali. Grazie a una scansione 3D del volto e alle parti danneggiate, è possibile progettare e stampare protesi facciali personalizzate, adattabili all’anatomia di ciascun paziente. Nel caso di Dave la protesi comprendeva guancia, naso e occhio mancanti, ed essendo realizzata con materiali biocompatibili, può essere rimossa e riapplicata quotidianamente. I benefici sono evidenti: miglioramento estetico, aumento della fiducia in sé stessi, reinserimento sociale e supporto funzionale alla pelle residua. Tuttavia, la tecnologia presenta limiti significativi: manutenzione e durata della protesi, costi elevati, disponibilità limitata e necessità di un team multidisciplinare di chirurghi plastici, ingegneri e tecnici specializzati. Nonostante la precisione della stampa 3D, non è ancora possibile ricostruire completamente tutti i tessuti biologici come muscoli, nervi e capillari, né risolvere tutte le conseguenze funzionali di traumi estremi come quello subito da Dave. Il caso di Dave Richards ha implicazioni che vanno oltre il singolo paziente e segna un passo avanti per la chirurgia ricostruttiva digitale. Dimostra che la combinazione di medicina personalizzata, tecnologia digitale e lavoro multidisciplinare può restituire non solo funzionalità biologica, ma anche dignità e qualità della vita. Sul piano clinico, la protesi stampata in 3D potrebbe diventare parte integrante del trattamento ricostruttivo per altri pazienti con lesioni gravi. Sul piano sociale, apre discussioni sull’accessibilità, l’equità nell’uso di tecnologie avanzate e la preparazione dei pazienti e delle famiglie a risultati realistici. Sul piano etico, è fondamentale distinguere tra protesi estetica, ricostruttiva e terapeutica, perché l’obiettivo non è modificare l’identità, ma ripristinare il volto dopo un trauma devastante. Per il pubblico, questa vicenda rappresenta una speranza concreta: la stampa 3D non è più un’idea futuristica, ma una realtà che già oggi può cambiare vite. Resta da lavorare su costi, accesso e formazione, ma la strada verso una chirurgia digitale personalizzata è ormai aperta.