Chi può difendere l'autonomia della scienza? Mistero della fede

  • Postato il 3 luglio 2025
  • Di Il Foglio
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Chi può difendere l'autonomia della scienza? Mistero della fede

Al mio stupore espresso per la presa di posizione della Pontifica Accademia in tema di libertà di ricerca, devo aggiungere quello occorsomi nel leggere sul sito di Uccr - Unione Cristiani Cattolici Razionali - che le persecuzioni della scienza da parte della Chiesa non sarebbero mai esistite e che non ci sarebbe nulla di cui meravigliarsi se oggi è un’Accademia pontificia a indicare la strada verso la ricerca libera. Siccome sono abituato a cercare il consiglio degli esperti quando non mi muovo nei terreni di mia competenza, mi sono rivolto per cercare lumi al mio amico Gilberto Corbellini, filosofo e storico della scienza. 

Insieme ci sembra utile ricordare che proprio quell’Accademia è emanazione di un'istituzione religiosa che, per secoli, ha imposto un sistema di licenze preventive che costringeva ogni studioso di filosofia naturale, astronomia, medicina o quant'altro chiedere il consenso del teologo di turno e del vescovo locale: il nihil obstat e l’imprimatur erano veri e propri bollini di conformità, e senza di essi non si pubblicava una riga. Quando nel 1616 la Congregazione dell’Indice bollò il copernicanesimo come “falso e contrario alle Sacre Scritture”, non era certo un episodio isolato o un fraintendimento: era la prassi stabilita da Paolo IV e consacrata dal Concilio di Trento, che vietava ai fedeli qualsiasi libro giudicato eretico o “superstizioso”. Un decennio più tardi, Galileo Galilei venne processato, costretto all’abiura e confinato agli arresti domiciliari, anche perché la sua “osservazione delle macchie solari e dei satelliti di Giove” andava oltre il confine che l’Inquisizione considerava ammissibile. E ci si perdoni, ma asserire che al tempo il rifiuto di quanto Galileo descriveva fosse razionale non implica affatto che la risposta dovesse essere un processo per possibile eresia, con i relativi rischi di imprigionamento e di condanna; fa ridere sostenere che la Chiesa non abbia al tempo agito diversamente da come farebbe una qualunque istituzione scientifica. Sarebbe come dire che, invece della revisione anonima, un nostro articolo dovesse essere giudicato dal tribunale ecclesiastico, con i relativi rischi. Se Giovanni Paolo II ha definito “errore” quel processo, ci pare inutile arrampicarsi sul debole Feyerabend per lavarsi la coscienza. Non per nulla, poco prima di Galileo, nel 1600, Giordano Bruno fu bruciato a Campo de’ Fiori: non solo per panteismo, ma perché la sua visione di un universo infinito scardinava il dogma della creazione di un mondo unico e finito.

L’Uccr dice che sarebbe una favola che gli scienziati siano stati perseguitati dall’Inquisizione, citando gli studi della storica Ada Palmer, la quale sostiene che solo una dozzina di loro furono perseguiti e alcuni condannati, ma a pene lievi (non tutti assolti!) e che la Chiesa non era contro la scienza, ma  difendeva soltanto i dogmi teologici da derive eretiche o comportamenti, come quello di Galilei, che potevano favorire le eresie. Se la Chiesa Cattolica fosse o meno contro la scienza è una questione di lana caprina, perché è comunque contro il metodo scientifico, in quanto assume che l’ermeneutica teologica sia superiore. Talmente superiore che andava difesa con processi, torture, prigionia e talvolta il rogo.

Dobbiamo essere più felici, o meno addolorati, ora che sappiamo che dodici scienziati non sono stati bruciati, ma che in quanto non scienziati, però, sono state uccise dall’Inquisizione, secondo le stime più plausibili, da 5mila e 10mila persone. Non includendo le persone torturate, imprigionate, umiliate pubblicamente, multate, etc. in quanto non conformi in materia di credenze religiose. Il fatto di aver assolti (quasi) dodici scienziati non assolve la Chiesa Cattolica dal male perpetrato.

Né si può sostenere, come fa Uccr, che i problemi vi furono solo in un secolo, o in un periodo ancora più limitato: già nel 415 d.C. la filosofia neoplatonica di Ipazia di Alessandria fu stroncata in un gesto di cieca violenza religiosa, primo simbolo di un conflitto fra pensiero scientifico e fanatismo. Nel 1115 Arnaldo da Brescia fu impiccato e il corpo bruciato come eretico, mentre il suo maestro Abelardo la scampò di poco. Nel 1210, a Parigi, le autorità ecclesiastiche bandirono intere opere di Aristotele sulla fisica e sulla cosmologia, e nel 1277 il vescovo Étienne Tempier proibì 219 proposizioni aristoteliche e averroiste ― dalla negazione della creazione al rifiuto del vuoto ― paralizzando la libera discussione sulla natura. All’inizio del Trecento il medico e astrologo Pietro d’Abano finì accusato di eresia e, morto in carcere, vide persino la propria effigie bruciata in pubblico; pochi anni dopo, nel 1327, Cecco d’Ascoli fu l’unico docente universitario medievale arso vivo per dottrine astrologiche considerate incompatibili con il libero arbitrio.

Anche dopo Galileo la Chiesa ha per secoli continuato ad interferire con la libertà di insegnamento e di formulazione di nuove teorie. Le opere di Keplero restarono nell’Indice dei libri proibiti fino al 1835, quelle di Cartesio dal 1664 fino a decenni più tardi, mentre Lazzaro Spallanzani e altri naturalisti settecenteschi vedevano i loro studi di fisiologia e di chimica scrutinati o vietati dalle autorità religiose. Nel 1817 Erasmus Darwin fu inserito nell’Indice per le sue teorie proto-evoluzioniste; nel 1860 un sinodo di vescovi tedeschi condannò in blocco l’evoluzione dell’uomo da progenitori animali, mentre due anni più tardi il Sillabo di Pio IX colpiva il naturalismo e il razionalismo che osavano fare a meno della Rivelazione. Nel 1907 Pio X lanciò la sua crociata anti-modernista, soffocando ogni nuvola di critica teologica o scientifica; e ancora nel 1962 la Congregazione per la Dottrina della Fede ammonì ufficialmente le opere di Teilhard de Chardin per le loro interpretazioni evoluzionistiche e panteiste.

L’Indice fu definitivamente abolito dalla Chiesa solo nel 1966. Eppure, Uccr oggi sostiene che non vi sia nulla di sorprendente se un ente emanazione diretta della Chiesa cattolica — già custode di strumenti di censura preventiva, di Indici dei libri proibiti e di inquisizioni tematiche — interviene per difendere la libertà degli scienziati. Non dovremmo quindi stupirci, se oggi a difesa della scienza libera interviene chi per secoli silenziava, ostracizzava o addirittura giustiziava chi osava spingersi fuori dalle maglie dottrinali? È comprensibile che la Pontificia Accademia delle Scienze, convocando premi Nobel e specialisti di ogni disciplina, voglia mostrare che oggi la Chiesa non è più un nemico della ragione; ma è proprio il contrasto con la memoria storica a suscitare stupore: la Chiesa, custode di un’eredità inquisitoria, riprende il ruolo di baluardo della ricerca laddove le istituzioni laiche — spesso paralizzate da vincoli burocratici, conflitti di interesse e tagli indiscriminati al fondo per la ricerca — faticano a garantire la piena autonomia del pensiero.

La domanda dell’articolo di cui qui si discute non è “perché la Chiesa difende la scienza?”, ma “come è possibile che le nostre istituzioni laiche, nate per promuovere la conoscenza e difendere la libertà di studio, siano così silenti di fronte agli interessi economici e politici che soffocano progetti scomodi, mentre parla la Chiesa per mezzo della sua accademia?” Uccr pretende di farci credere che non vi sia nulla di cui meravigliarsi, ma cancellare dalle nostre coscienze la storia delle censure, dei roghi, dei processi e delle autocensure significa tradire il senso stesso di libertà accademica, proprio in contrasto con ciò che la Pontificia Accademia ha dichiarato. Se oggi applaudiamo a un dialogo che porta i cattolici a confrontarsi con i laboratori, non possiamo dire che non sia un fatto recente e straordinario, frutto di un percorso in cui la Chiesa ha riconosciuto tardivamente che la verità scientifica non può più essere giudicata “presa di posizione” teologica.

Nondimeno, la Pontificia Accademia parla di “autonomia” e non di “libertà” della ricerca scientifica. Per autonomia si intende che la scienza è libera nella misura in cui riconosce di doversi dare delle regole etiche che sono quelle, in questo caso per definizione, cattoliche. Orbene nella sua “autonomia” la scienza deve riconoscere che l’embrione è persone dal concepimento e quindi non è legittimo fare ricerche su embrioni abbandonati e donati o su cellule staminali embrionali. Nel nome di questo dogma, cioè di un’asserzione che non ha base logica o scientifica, si sono create sofferenze per le donne e le coppie che non hanno potuto avere accesso alla fecondazione assistita sulla base della buona pratica clinica. E il divieto irrazionale di fare ricerca su embrioni e staminali embrionali ritarda l’avanzamento delle conoscenze embriologiche e la scoperta di nuove cure per malattie devastanti e letali. Verrebbe da sviluppare qualche argomento teologico in merito alla tesi che la vita ha un valore, e che dandogli un valore falsamente metafisico si causano sofferenze alle vite vere. Ma non siamo teologi.

Naturalmente la medicina deve ammettere, nella sia “autonomia”, che la vita è un dono di Dio e che nessuno ne può disporre. Neppure chi è ateo. Ergo chi si trova a patire dolori, fisici e morali, intollerabili e chiede aiuto a morire, in base all’impegno etico del medico di guarire o lenire le sofferenze, non deve trovare ascolto. E poi ci sono gli studi sulla coscienza o sul libero arbitrio. La Pontificia Accademia ha espresso spesso il concetto, che è anche nel suo statuto del 1976, che la Chiesa Cattolica valorizza la scienza e incoraggia il progresso ma la conoscenza scientifica deve essere collocata in un contesto metafisico e morale più ampio.

Lasciamo da parte i tristi sermoni sull’intelligenza artificiale che deve essere al servizio dell’uomo e le ovvietà dell’”algoretica”. Ancora nel 2018 Papa Francesco ha affermato che la comunità scientifica “non deve essere considerata separata e indipendente”, ma al servizio dell’umanità e del suo sviluppo secondo valori di “armonia tra verità di scienza e verità di fede” e alla “luce della trascendenza divina”. Questo significa che sebbene la Chiesa riconosca le basi biologiche delle funzioni mentali umane, considera la persona qualcosa di più della sua biologia. Il libero arbitrio, per esempio, non può essere confutato dalle neuroscienze, anche se è dimostrato le nostre scelte dipendono da processi inconsci o emotivi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica recita, a paragrafo 1735, che “se l’uomo non è libero, come può essere responsabile di fronte a Dio?”

La scienza è benvenuta. Ma a condizione che sia aperta alla verità metafisica e rispetti il mistero della persona. Orbene, i 3000 pazienti in coma vegetativo persistente da anni, ricoverati nelle circa 5000 RSA (12 per cento gestite da enti religiosi) che non si sveglieranno più perché le strutture nervose che supportano la coscienza sono distrutte (e lo sappiamo), sono ancora persone? Anche se sono prive di ogni autonomia e quindi non godono della partecipazione ad  alcuna metafisica o mistero? Certo se lo sono gli embrioni, che non hanno nemmeno i neuroni. Quindi prevedibile che la Chiesa, che per fortuna non mette in discussione per ora la morte cerebrale, si schiererà contro l’uso degli strumenti che presto consentiranno di valutare il grado di distruzione del cervello e quindi di decidere, attraverso direttive anticipate di non accettare di essere tenuti artificialmente in vita, in assenza di una quantità desiderata di coscienza. Come questo si concili con l’ultimo pronunciamento della Pontificia Accademia, è un mistero della fede, e, onestamente, non ci interessa discuterne oltre.

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Il Foglio

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