Che quello sullo Stretto sia davvero un ponte (e non una livella)

  • Postato il 23 agosto 2025
  • Attualità
  • Di Artribune
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Il Ponte sullo Stretto è senza dubbio una delle espressioni più interessanti del concetto di valore simbolico. Se nella maggior parte dei casi, quando si discute di valore simbolico ci si riferisce a qualcosa che esiste, qui il valore simbolico e identitario si basa sulla sua sola ipotesi di esistenza. Se tale argomentazione è senza dubbio d’interesse per chi si occupa degli aspetti identitari, essa purtroppo ripropone una dimensione che è fin troppo comune nel nostro Paese, nel quale un concetto acquisisce potenza attraverso la meccanica delle tifoserie: noi contro loro; i favorevoli e i contrari.

Un ponte che divide

Chi si voglia occupare della storia dello Stretto di Messina sotto il profilo culturale, troverà di sicuro interesse l’insieme di narrazioni che si sono susseguite negli anni e di come, nel corso del tempo, le proposte e le obiezioni si sono avvalse di argomentazioni e tematiche di volta in volta centrali per la società del tempo: la tecnica, l’economia, l’utilità, l’ambiente, la cultura.
Sullo sfondo, le proteste degli abitanti e di tutti coloro che, come è giusto che sia, si oppongono ad un cambiamento di cui non hanno contezza né controllo e di cui non conoscono l’esito, e che percepiscono come una decisione imposta dall’alto piuttosto che come una soluzione ad una problematica da loro stessi evidenziata. Ma sullo sfondo ci sono anche le retoriche politiche, che hanno diviso il Paese in tantissime circostanze, e che troppo spesso, purtroppo, si riuniscono all’insegna dei NO piuttosto che di un Si alternativo e propositivo. Si tratta forse di una delle figure retoriche più ironiche che il nostro dibattito pubblico abbia mai prodotto: un ponte che invece di unire, separa. 

Da grandi opere derivano grandi responsabilità

Al di là di queste indicazioni, però, quella del Ponte sullo Stretto rappresenta anche una grandissima ambizione tecnica e politica: la volontà di unire la Sicilia con la terraferma, quantomeno sotto il profilo logistico, forse per alimentare quell’unità che in altri campi risulta ancora troppo lontana dall’esser raggiunta. Atteso che trattandosi di una grande opera le argomentazioni di chi è favorevole e di chi è contrario si fondano su punti di vista personali ugualmente legittimi (non per retorica, ma perché trattandosi di un’opera ancora in essere è impossibile affermare con certezza che non porterà lo sviluppo economico sperato, o che al contrario sicuramente possa abilitarlo), è però possibile sviluppare una riflessione che, preso atto della volontà del Governo di voler entrare nella storia come il Governo che ha dato avvio ai lavori del Ponte, possa in ogni caso favorire il più possibile il ritorno sociale e culturale che tale costruzione può apportare.

Il Centro Direzionale di Daniel Libeskind per il Ponte sullo Stretto
Il Centro Direzionale di Daniel Libeskind per il Ponte sullo Stretto. Render del progetto originale

Perché un ponte non basta

Un’azione che, chiaramente, non può riguardare soltanto il Ponte, ma che deve diffondersi lungo i territori che tale ponte intende unire. È chiaro che dal progetto alla costruzione, tutte le regole e le normative che vigono per i comuni cittadini in materia di tutela e conservazione del paesaggio debbano valere anche per lo Stato. Così come è pacifico sia auspicabile ottenere un ponte esteticamente gradevole e che magari abiliti alla fruizione di parti di territorio non ancora valorizzate (sia emerso che sommerso). Non si tratta, tuttavia, di tutela o di abbellimenti: se si vuole realmente costruire un ponte, e non solo un’opera ingegneristica, sarà necessario valorizzare attivamente i luoghi che tale ponte unisce. Non soltanto in termini autostradali, ma come luoghi che possano testimoniare nel tempo la trasformazione che tale ponte può rappresentare nei prossimi decenni. Senza una profonda comprensione culturale e sociale di ciò che si va a realizzare, il rischio è di trasformare le due sponde in una sorta di dogana invisibile, mentre sarebbe importante stimolare in modo concreto la vitalità culturale, sociale e di piccola imprenditoria che può emergere da questa grande opera. In un mondo interconnesso quale il nostro, non sarà sufficiente avere la possibilità di attraversare il ponte per poter incrementare i rapporti tra l’Italia continentale e la Sicilia. Sarà necessario promuovere tali rapporti al di là delle interconnessioni di lunga percorrenza, superando anche delle distanze culturali che, proprio in virtù dello Stretto, rappresentano oggi una memoria stratigrafica della distanza tra le due regioni. 

Il Ponte è uno strumento. Che utilizzo ne faremo?

Ogni grande opera porta dei cambiamenti. Alcuni positivi. Altri negativi. Non c’è molto da discutere. Ciò che invece merita attenzione e discussione è la possibilità di realizzare questa grande opera in modo intelligente, tenendo conto del contesto, e non affidando l’intero sviluppo alla sola sensibilità ingegneristica, che è fondamentale per costruire l’opera e farla tenere su, ma che di certo da sola non basta a renderla funzionale. Se vogliamo che questo investimento possa un giorno essere realmente considerato come positivo, non dobbiamo guardare soltanto ai miliardi stimati e quelli potenzialmente recuperabili con i pedaggi o con l’aumento delle esportazioni o dei passaggi di merci intermodali. Dobbiamo piuttosto puntare l’attenzione su ciò che questo ponte può abilitare, perché non si tratta di una mera struttura finanziaria, ma di una connessione fisica, che unisce fisicamente due territori, due cittadinanze. Il Ponte è uno strumento e come ogni strumento, serve a poco se non è utilizzato per ottenere uno specifico fine.

Stefano Monti

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L’articolo "Che quello sullo Stretto sia davvero un ponte (e non una livella)" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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