Che fine ha fatto il “salario minimo alla milanese” proposto da Beppe Sala?

  • Postato il 9 novembre 2024
  • Di Il Foglio
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Che fine ha fatto il “salario minimo alla milanese” proposto da Beppe Sala?

A Milano c’è chi parla di “alto tradimento”. Sono troppi quelli costretti a cambiare casa e città per gli affitti troppo alti, e molte aziende non trovano addetti per garantire servizi essenziali. Esagerazioni, forse. Sta di fatto che Beppe Sala ha lanciato da tempo la proposta per un “salario minimo” alla milanese, parlando di “un contratto sociale entrato in crisi: Milano offre ancora lavoro e opportunità, ma non prospettive. Chi lavora a Milano finisce, in un numero crescente di casi, per non potersi permettere di vivere in città e al tempo stesso risparmiare per costruirsi un futuro”, ha scritto il sindaco presentando l’evento ‘Per un salario giusto a Milano’, tempo fa. Per chiarire, più di recente: “Laddove si produce più ricchezza bisogna distribuire meglio in termini salariali, dove c’è più ricchezza ne devono godere di più i dipendenti privati ma anche quelli pubblici”. Perché “il costo della vita a Milano è di oltre il 30 per cento più alto rispetto a tante altre città”, ha rincarato Alessia Cappello, assessore al Lavoro.

   

La fotografia (Istat) dei salari è presto fatta. Mentre la metropoli lombarda vanta una retribuzione media annua di 32.472 euro lordi, uno stipendio inferiore a 17 mila euro va in tasca a quasi la metà (40%) dei lavoratori nella Città metropolitana di Milano. Il 47% dei giovani con un posto di lavoro guadagna meno di 14 mila euro l’anno, una somma che trasforma in un miraggio l’indipendenza economica. Tutti i 14.676 stagionali sul territorio, inoltre, hanno messo in tasca una retribuzione annua lorda inferiore a 7.000 euro.

 

Luca Stanzione, sindacalista Cgil dialogante – che ha sempre sostenuto il salario nazionale minimo – va subito al punto e spiega: “A livello locale la normativa non lo consente. A Milano c’è la necessità di intervenire sui salari a partire dalla contrattazione di secondo livello, che copre il 30% dei lavoratori. Resterebbe escluso dunque il 70% di chi ha un contratto. Servono altre leve dunque, come il welfare territoriale, un sistema incentivante per le imprese che non aderiscono al sistema di rappresentanza affinché possano aumentare i salari. E poi è necessario che il codice degli appalti venga rispettato dalle imprese in subappalto: per questo serve l’impegno concreto del comune di Milano e di tutte le istituzioni locali, Regione compresa”. Il segretario della Camera del Lavoro di Milano insiste sulla necessità di un “intervento shock da parte delle aziende e delle istituzioni per trattenere sul territorio giovani e famiglie”.

   

A Milano – secondo i dati del progetto di ricerca CITILab, realizzato dal dipartimento di Sociologia e ricerca sociale di Milano-Bicocca, finanziato da Fondazione Cariplo – quella che sembrava un’opportunità è diventata un nemico: si tratta del “part-time involontario”. La forma contrattuale a tempo ridotto è molto più diffusa tra le donne, mentre gli uomini hanno contratti prevalentemente a tempo pieno. A gennaio 2024, a Milano il part-time rappresentava il 29% circa per le donne rispetto al 14% circa degli uomini (Istat). Questa disparità contribuisce ad accrescere il divario di genere su più fronti e, come è noto, spesso dipende dalla necessità delle donne di conciliare le responsabilità lavorative con quelle familiari – attività di cura, non retribuita, ancora fortemente sbilanciata sulle donne. I lavori a tempo parziale, inoltre, possono offrire meno opportunità di progressione di carriera rispetto ai lavori a tempo pieno. Le donne, infine, sono spesso sovra-rappresentate in settori e ruoli lavorativi che offrono più spesso opportunità di lavoro part-time, come il settore dei servizi, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione. Questi settori tendono anche ad avere retribuzioni medie inferiori rispetto ad altri settori dominati dagli uomini, il che amplifica la disparità. Dunque a Milano il caro vita rischia di pesare il doppio sulle donne. Tra le aziende che hanno scelto di rafforzare il sistema di welfare a Milano c’è Edison. Lo chiamano company social housing ma è di fatto il piano casa lanciato dalla società per tutti i giovani laureati assunti su tutto il territorio nazionale che hanno bisogno di un’abitazione a prezzi calmierati nella città sede di lavoro, Milano compresa. Il piano “Una casa per i giovani”, è rivolto ai giovani che non hanno un alloggio. A loro Edison dà la possibilità di affittare un bilocale arredato a un affitto accessibile, in una zona che si trova entro mezz’ora dalla sede di lavoro e collegato con mezzi pubblici. E’ un’idea.

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Autore
Il Foglio

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