Che cosa è la scuola? Chiedilo a…
- Postato il 11 agosto 2025
- Di Panorama
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Che cosa è la scuola? Chiederlo a don Lorenzo Milani significa sentirsi dire che è «una cosa seria», talmente seria da dover essere “rivolta ai poveri, agli ultimi, a quelli che partono svantaggiati”. Per lui, scuola vuol dire parola, e parola vuol dire dignità: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Chiederlo a Maria Montessori, per scoprire che è “il luogo dove si coltiva la libertà attraverso la disciplina”, dove il bambino non è un vaso da riempire, ma una fiamma da alimentare. “Aiutami a fare da solo”, ti bisbiglia il suo metodo, che fa della fiducia il suo fondamento. Se lo chiediamo a Gianni Rodari, la scuola diventa una palestra di fantasia, scelta e coraggio: “Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?”
La scuola, per lui, è il luogo dove le parole si allungano, si deformano, si moltiplicano e diventano gioco, sogno, libertà. La scuola quindi può parlare di guerra, anzi deve farlo, trovando le parole giuste per non scandalizzare, ma per educare al rifiuto di questa dinamica relazionale aberrante. Chiederlo a Piero Calamandrei significa sondare la tematica sociopolitica di cui la scuola deve sentirsi protagonista. Il padre costituente, in un celebre discorso agli studenti del 1950, ammoniva così: “Trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere.” La scuola è lo strumento più potente che la democrazia ha per perpetuare se stessa. Vale la pena chiederlo a Malala Yousafzai, sopravvissuta al fanatismo per difendere il diritto all’istruzione, per ritrovare nella scuola resistenza, emancipazione, futuro: “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”. Come non chiederlo a Italo Calvino, che nella scuola vide un’occasione di rigore e leggerezza insieme. Se la letteratura insegna a vedere ciò che non è evidente, allora la scuola è il luogo dove lo sguardo si allena a vedere oltre l’apparenza. Chiedilo a Enaiatollah Akbari – protagonista di “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda – che ha attraversato montagne e confini per cercarla, la scuola, ricordando il suo maestro, martire per la libertà dei suoi studenti. Per Enaiat era ricordo e una promessa lontana, qualcosa che somigliava a un porto sicuro, a un posto dove sedersi e restare.
E ora chiedilo a un bambino che ogni mattina affronta la strada della lingua, dell’integrazione, della povertà in una delle tante scuole – spesso del primo ciclo – presenti in Italia. Per lui la scuola è ancora frontiera, ma anche rifugio. È lo spazio dove si gioca la speranza, è ancora, forse, occasione di riscatto. Chiedilo adesso a un bambino di Gaza, se ci riesci. Se riesce a parlarti da sotto le macerie, o sopra i silenzi, forse ti dirà che la scuola era una finestra sul mondo, o molto poeticamente una parte data per scontata della sua quotidianità prima che la lavagna si frantumasse, finché un’esplosione non ha spento tutto. E allora capirai che la scuola è anche ciò che si perde quando la guerra vince.
Chiedilo adesso a un insegnante precario, che ogni settembre cambia città, alunni, cattedra, come in una lotteria. Per lui scuola è attesa e scommessa, ma anche delusione ogni anno più forte. Chiedilo a un insegnante stanco, logorato dalla burocrazia, dai tagli, dal rumore che soffoca le parole. Per lui scuola è fatica che a volte perde il senso. Chiedilo a un insegnante appassionato, che entra in aula con serietà e serenità, che imposta la relazione con studenti e colleghi con professionalità e l’affetto che i ruoli consentono, che studia ancora. Per lui scuola è scelta, anche nelle difficoltà di uno stipendio inadeguato e di un ruolo sociale irriso e mortificato. E infine, chiedilo a uno studente qualsiasi, a fari spenti, senza social, telecamere, lontano da tentazioni di colpi di teatro che facciano scalpore. Ti parlerà forse della noia, del suono della campanella, delle verifiche a sorpresa. Ma poi ti dirà magari anche delle sue amicizie, di una professoressa che ha creduto in lui, di un giorno in cui ha capito chi voleva essere e chi no. E allora capirai che la scuola, in fondo, è questo: uno spazio fragile, dolente e potente dove si può sbagliare, provare, annoiarsi, appassionarsi, cambiare. Dove succedono cose, che sono la vita, e che accoglie milioni di persone che meritano un trattamento migliore di quello che hanno in aula, sui giornali, in busta paga e nei discorsi di tutti, politica compresa.